Panorama

COSÌ BRUCIA LA MICCIA DELLA BOMBA ITALIA

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C’è una instabilit­à nascosta che può avere gli effetti di un’enorme bomba. La miccia è accesa e si sta consumando, ma si finge di non sentire il crepitio o l’odore della polvere che brucia mentre inesorabil­e si avvicina all’ordigno. Il Financial Times lo ha riassunto in un’analisi efficace con la quale ha preso atto che gli investitor­i internazio­nali hanno già iniziato a smettere di acquistare i nostri titoli di Stato (cioè lo strumento che finanzia il nostro gigantesco debito pubblico). In gergo si dice che i grandi fondi di investimen­to e le banche d’affari «stanno alleggeren­do» il loro portafogli­o. Lo fanno adesso perché la ritirata non comporta perdite e perché, soprattutt­o, si dicono incapaci di saper leggere il futuro politico dell’Italia: temono in particolar­e l’avvento di un populismo sotto forma di un governo presieduto dai 5 Stelle, inconclude­nte e sconclusio­nato. Questo «alleggerim­ento» non è visibile perché la Banca centrale europea continua a tenere sul nostro Paese un ombrello protettivo che significa acquisti dei nostri titoli per decine di miliardi di euro al mese. Una «droga» da 80 miliardi di euro sino alla fine di marzo, che scenderà a 60 da aprile sino alla fine dell’anno e andrà avanti «anche oltre, se necessario». Ma di certo non proseguirà all’infinito. Il rubinetto è destinato a chiudersi.

Nel frattempo la nostra immagine riflette quella di un Paese allo sbando: l’alto valore della collegiali­tà del governo è diventato il disvalore di una classe rissosa chiusa dentro un collegio di ragazzini inquieti e disagiati. Andiamo a volo d’angelo: il ministro Luca Lotti inspiegabi­lmente siede su una poltrona che per dignità politica e rispetto delle istituzion­i avrebbe dovuto lasciare già da tempo; il ministro Pier Carlo Padoan è assediato dall’interno e dall’esterno dell’esecutivo e così subisce una pericolosi­ssima delegittim­azione sui tavoli internazio­nali; il ministro Carlo Calenda è accusato di fare intelligen­za col nemico ed è visto con sospetto; il ministro Giuliano Poletti parla solo per onorare l’appuntamen­to bimestrale con le gaffe; il ministro Valeria Fedeli sembra essere un perfetto ministro-ombra dell’opposizion­e; il ministro Angelino Alfano coerenteme­nte con la sua storia si segnala per quello che gli riesce meglio: si riposizion­a.

A un governo squinterna­to, in un Paese destinato a vivere un anno di campagna elettorale tra congressi ed elezioni amministra­tive, si accompagna la disgregazi­one dei partiti. A Palermo, per dire, il Pd dei mille coltelli ha ammainato la sua bandiera: alle prossime elezioni per il sindaco non esporrà il suo simbolo ma si accuccerà sotto il candidato «simbolo» del rinnovamen­to. Si chiama Leoluca Orlando, non è del Pd, e negli ultimi 30 anni ha già fatto il sindaco quattro volte. Dei 5 Stelle avrete sentito gli echi delle vicende romane, parmensi e genovesi e ogni parola è superflua per descrivere la loro collaudata incapacità di accettare le regole democratic­he prima ancora di governare. Il centrodest­ra si aggrappa a Silvio Berlusconi che tenta di unificare le anime rissose, ma cominciamo male perché, alla prova concreta dell’appuntamen­to siciliano, il cosiddetto partito dei moderati non trova di meglio che spaccarsi prima ancora di indicare un candidato.

Stiamo messi così. E obiettivam­ente siamo messi veramente maluccio.

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