Il lobbista trova un posto in Parlamento
Sollecitato anche da Maria Elena Boschi, i «portatori d’interessi» alla Camera hanno un registro. E la loro stanza.
Un registro per le lobby. E addirittura una stanza per i lobbisti a Montecitorio, con personal computer e tv a circuito chiuso per seguire i lavori d’Aula e delle commissioni. Con un ritardo di una ventina d’anni rispetto a Francia e Germania, anche l’Italia si dota di qualche regola sulle società di rappresentanza degli interessi. Al contrario degli Usa, in Italia la parola lobbista ha sempre avuto un’accezione negativa. «Dobbiamo cercare di arrivare a una legge per regolamentare le lobby in Italia» affermava nel marzo del 2016 l’allora ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi. Ora, però, le cose si sono evolute e le società di lobbying operano quasi sempre alla luce del sole. Stando al registro per la trasparenza depositato al ministero per lo Sviluppo economico, a oggi risultano iscritti 696 soggetti.
«Se ci sono i lobbisti delle società petrolifere, ci sono quelli delle energie rinnovabili. Anzi, di solito sono i poteri deboli a chiederci di essere rappresentati» racconta Antonio Iannamorelli, direttore operativo di Reti, tra le società di lobbying. «Il fatto di poter entrare in Parlamento come lobbisti garantisce trasparenza e tutela la professionalità. Spero serva a distinguerci da millantatori e personaggi poco seri di cui Roma è piena» spiega.
Il registro, ideato dal deputato Pino Pisicchio, consentirà a ogni società di accreditare due persone. Ma sono previsti anche oneri: a fine anno le agenzie di lobbying dovranno presentare una relazione sul lavoro svolto, su chi si è incontrato e perché. Se finora per incontrare un parlamentare bisognava prendere appuntamento, d’ora in poi i lobbisti registrati potranno accedere liberamente a Montecitorio, come avviene a Bruxelles. La stanza, invece, servirà a evitare il «campeggio» dei lobbisti fuori dalle commissioni, come accade ogni anno in periodo di legge di bilancio.
Non tutti, però, sono entusiasti. «Il rapporto tra la società di lobby e la politica in Italia è migliorato e funziona proprio perché non è regolamentato» sostiene Gabriele Cirieco, fondatore e amministratore di Strategic Advice, altra società del settore. Ben venga la trasparenza, ma un registro che assomiglia a una lista di buoni e meno buoni può avere un effetto distorsivo. La stanza, poi, ha quasi il sapore del ghetto: state lì perché siete cattivi». Secondo i lobbisti, per esempio, va impedito agli ex parlamentari di svolgere attività di lobbying subito dopo la scadenza del mandato, perché, hanno comunque libero accesso ai palazzi del potere e partono avvantaggiati.
« Devono sottostare alle regole come tutti noi» aggiunge Antonio Iannamorelli. Paolo Zanetto, partner dello studio «Cattaneo, Zanetto & Co.», è autore del libro Fare lobby, manuale di public affairs. «Negli ultimi anni si è passati dal lobbismo di relazione - ti aiuto io perché conosco tizio o caio - a quello di contenuto. Ormai chi fa questo mestiere assomiglia più a un topo di biblioteca: conosce a fondo i temi, si documenta, prepara dossier» dice Zanetto. E aggiunge: «Il bravo lobbista è colui che convince il politico che un interesse particolare equivale all’interesse pubblico, che il bene di una tale azienda fa quello della comunità. E lo aiuta a prendere la decisione migliore».
(Gianluca Roselli)