Attentati: quei lupi solitari da braccare
Il terrorismo islamista non ha colpito il nostro Paese come altrove. Almeno fino ad adesso. Ma stanno aumentando i rischi globali per le «schegge impazzite» e per i reduci da Mosul e Raqqa.
Dopo Parigi, Bruxelles, poi Nizza e Berlino, ora Londra. Il cerchio sembra stringersi intorno a Roma e Milano, finora passate indenni attraverso l’anno santo straordinario e l’Expo, il 60° del Trattato istitutivo della Comunità Europea e la visita da un milione di fedeli di Papa Francesco. Sulle ragioni di questa sinora fortunata eccezione si accavallano ipotesi di spiegazioni non alternative e ormai consolidate. Le possiamo raggruppare grossolanamente in tre ambiti: quello sociale, quello securitario e quello politico.
Nel primo, occorre ricordare come la presenza di un numero di musulmani inferiore rispetto agli altri Paesi europei riduce anzitutto la «popolazione statistica» da cui potrebbero provenire gli attentatori. Opera nella stessa direzione il numero ancora contenuto delle «seconde generazioni» e quello quasi insignificante delle terze (dove si riscontra la maggior percentuale di radicalizzati). La natura sfaccettata e frammentata della società italiana, articolata dal familismo e da legami subnazionali ben più che da una coesa appartenenza civica, consente anche ai nuovi venuti di accoccolarsi confortevolmente nei suoi molteplici anfratti, risultando preter-intenzionalmente più accogliente delle sue omologhe formazioni europee. Ne è una diretta derivazione l’assenza di quartieri ghetto omogenei in termini di appartenenza religiosa e nazionale. La buona presa che ancora esercita la Chiesa cattolica nella cultura popolare è, infine, un altro antidoto alla costruzione di steccati identitari al cui interno emarginare i nuovi venuti.
In ambito securitario, l’Italia vanta una presenza capillare di forze dell’ordine sul territorio che non ha molti riscontri in Europa. Frutto della lotta a una criminalità organizzata estremamente ramificata e potente, della lunga stagione della lotta al terrorismo nostrano e della pluralità di corpi di polizia, il numero e la dislocazione degli operatori della sicurezza (rinforzato dal crescente ricorso all’Esercito nei presidi degli obiettivi fissi) sta dando buoni frutti. A ciò vanno aggiunti un eccellente livello delle attività di intelligence e investigative e la possibilità di usare con una certa larghezza lo strumento delle espulsioni. Infine, va sottolineato come l’Italia sia estremamente prudente nella partecipazione attiva alla coalizione antiterrorismo che in Iraq e Siria combatte contro l’Isis.
Ciò fa sì che sia difficilissimo accusare l’Italia di avere le «mani sporche del sangue dei musulmani», incluse le inevitabili vittime collaterali (120 solo nell’ultimo bombardamento di Mosul). Sono invece innegabili le vite umane di «buoni musulmani» salvate dalla nostra Marina nel Mediterraneo. Eppure non possiamo dormire sonni troppo tranquilli, né illuderci di vivere in una bolla protetta. La natura del terrorismo islamista sta mutando e con ciò cambia pure la percezione e l’uso del nostro territorio da parte dei seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Sono in aumento i «lupi solitari», anzitutto. Il fenomeno rappresenta da un lato un adeguamento tattico alla crescente difficoltà dell’Isis nell’organizzazione di attacchi più complessi, che necessitano di un coordinamento più vasto e accurato, una fitta rete di comunicazione, gruppi di fuoco e sostegno logistico e dell’acquisizione di armi da guerra ed esplosivi. Tutti fattori che aumentano la probabilità di venire intercettati. Dall’altro lato, però, siamo di fronte a un passaggio ulteriore verso
la« democratizzazione» della violenza, la polverizzazione e molecola rizza zio ne della minaccia alla nostra sicurezza, iniziata l’11 settembre 2001. Evidentemente, è molto più difficile individuare un attentatore solitario, con legami magari solo «vocazionali» con l’Isis e che impieghi come «armi» strumenti della quotidianità. Tuttavia in un cospicuo numero di casi l’attività di prevenzione ha avuto successo (lo dicono i dati italiani ed europei). E nei pochissimi casi in cui l’attentatore è riuscito a colpire si sono accorciati i tempi di neutralizzazione. Se quello di Berlino fu bloccato molti giorni dopo la strage e a centinaia di chilometri di distanza, quello londinese è stato abbattuto prima che potesse completare il suo disegno. Ma le reali fonti di preoccupazione, anche per l’Italia, vengono dal rientro dei «combattenti stranieri» da Siria e Iraq. La gran parte tornerà in Europa e qui potrà allestire quella rete di «imprenditori del terrore» che l’Isis fatica a ricostituire (o costituire ex novo), dopo il miglioramento delle operazioni di prevenzione e repressione. Tali soggetti potrebbe- ro fungere da catalizzatore organizzativo, propagandistico e operativo, realizzando qualcosa di non così dissimile dall’azione di «mentoring and training» delle nostre Forze armate in Iraq e Afghanistan.
A differenza dei lupi solitari, però, gran parte dei reduci da Mosul o Raqqa sono noti ai servizi di intelligence e possono essere monitorati e messi in condizione di non nuocere. A questo «stress test» l’efficienza dei servizi di sicurezza (anche italiani) sarà sottoposta nei prossimi mesi.