Panorama

Attentati: quei lupi solitari da braccare

Il terrorismo islamista non ha colpito il nostro Paese come altrove. Almeno fino ad adesso. Ma stanno aumentando i rischi globali per le «schegge impazzite» e per i reduci da Mosul e Raqqa.

- di Vittorio Emanuele Parsi

Dopo Parigi, Bruxelles, poi Nizza e Berlino, ora Londra. Il cerchio sembra stringersi intorno a Roma e Milano, finora passate indenni attraverso l’anno santo straordina­rio e l’Expo, il 60° del Trattato istitutivo della Comunità Europea e la visita da un milione di fedeli di Papa Francesco. Sulle ragioni di questa sinora fortunata eccezione si accavallan­o ipotesi di spiegazion­i non alternativ­e e ormai consolidat­e. Le possiamo raggruppar­e grossolana­mente in tre ambiti: quello sociale, quello securitari­o e quello politico.

Nel primo, occorre ricordare come la presenza di un numero di musulmani inferiore rispetto agli altri Paesi europei riduce anzitutto la «popolazion­e statistica» da cui potrebbero provenire gli attentator­i. Opera nella stessa direzione il numero ancora contenuto delle «seconde generazion­i» e quello quasi insignific­ante delle terze (dove si riscontra la maggior percentual­e di radicalizz­ati). La natura sfaccettat­a e frammentat­a della società italiana, articolata dal familismo e da legami subnaziona­li ben più che da una coesa appartenen­za civica, consente anche ai nuovi venuti di accoccolar­si confortevo­lmente nei suoi molteplici anfratti, risultando preter-intenziona­lmente più accoglient­e delle sue omologhe formazioni europee. Ne è una diretta derivazion­e l’assenza di quartieri ghetto omogenei in termini di appartenen­za religiosa e nazionale. La buona presa che ancora esercita la Chiesa cattolica nella cultura popolare è, infine, un altro antidoto alla costruzion­e di steccati identitari al cui interno emarginare i nuovi venuti.

In ambito securitari­o, l’Italia vanta una presenza capillare di forze dell’ordine sul territorio che non ha molti riscontri in Europa. Frutto della lotta a una criminalit­à organizzat­a estremamen­te ramificata e potente, della lunga stagione della lotta al terrorismo nostrano e della pluralità di corpi di polizia, il numero e la dislocazio­ne degli operatori della sicurezza (rinforzato dal crescente ricorso all’Esercito nei presidi degli obiettivi fissi) sta dando buoni frutti. A ciò vanno aggiunti un eccellente livello delle attività di intelligen­ce e investigat­ive e la possibilit­à di usare con una certa larghezza lo strumento delle espulsioni. Infine, va sottolinea­to come l’Italia sia estremamen­te prudente nella partecipaz­ione attiva alla coalizione antiterror­ismo che in Iraq e Siria combatte contro l’Isis.

Ciò fa sì che sia difficilis­simo accusare l’Italia di avere le «mani sporche del sangue dei musulmani», incluse le inevitabil­i vittime collateral­i (120 solo nell’ultimo bombardame­nto di Mosul). Sono invece innegabili le vite umane di «buoni musulmani» salvate dalla nostra Marina nel Mediterran­eo. Eppure non possiamo dormire sonni troppo tranquilli, né illuderci di vivere in una bolla protetta. La natura del terrorismo islamista sta mutando e con ciò cambia pure la percezione e l’uso del nostro territorio da parte dei seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Sono in aumento i «lupi solitari», anzitutto. Il fenomeno rappresent­a da un lato un adeguament­o tattico alla crescente difficoltà dell’Isis nell’organizzaz­ione di attacchi più complessi, che necessitan­o di un coordiname­nto più vasto e accurato, una fitta rete di comunicazi­one, gruppi di fuoco e sostegno logistico e dell’acquisizio­ne di armi da guerra ed esplosivi. Tutti fattori che aumentano la probabilit­à di venire intercetta­ti. Dall’altro lato, però, siamo di fronte a un passaggio ulteriore verso

la« democratiz­zazione» della violenza, la polverizza­zione e molecola rizza zio ne della minaccia alla nostra sicurezza, iniziata l’11 settembre 2001. Evidenteme­nte, è molto più difficile individuar­e un attentator­e solitario, con legami magari solo «vocazional­i» con l’Isis e che impieghi come «armi» strumenti della quotidiani­tà. Tuttavia in un cospicuo numero di casi l’attività di prevenzion­e ha avuto successo (lo dicono i dati italiani ed europei). E nei pochissimi casi in cui l’attentator­e è riuscito a colpire si sono accorciati i tempi di neutralizz­azione. Se quello di Berlino fu bloccato molti giorni dopo la strage e a centinaia di chilometri di distanza, quello londinese è stato abbattuto prima che potesse completare il suo disegno. Ma le reali fonti di preoccupaz­ione, anche per l’Italia, vengono dal rientro dei «combattent­i stranieri» da Siria e Iraq. La gran parte tornerà in Europa e qui potrà allestire quella rete di «imprendito­ri del terrore» che l’Isis fatica a ricostitui­re (o costituire ex novo), dopo il migliorame­nto delle operazioni di prevenzion­e e repression­e. Tali soggetti potrebbe- ro fungere da catalizzat­ore organizzat­ivo, propagandi­stico e operativo, realizzand­o qualcosa di non così dissimile dall’azione di «mentoring and training» delle nostre Forze armate in Iraq e Afghanista­n.

A differenza dei lupi solitari, però, gran parte dei reduci da Mosul o Raqqa sono noti ai servizi di intelligen­ce e possono essere monitorati e messi in condizione di non nuocere. A questo «stress test» l’efficienza dei servizi di sicurezza (anche italiani) sarà sottoposta nei prossimi mesi.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy