Panorama

Il metodo Minniti

Prevenzion­e e repression­e, accordi internazio­nali e bilaterali, finanziame­nti: il ministro dell’Interno ha molte idee per riportare sotto controllo i flussi migratori. E punta tutto sull’intesa con i sindaci.

- di Marco Ventura

Il bastone e la carota. Prevenzion­e, intese, finanziame­nti, fatti. La dottrina Minniti per la gestione dei flussi migratori e l’accoglienz­a comincia a dare i suoi frutti. Passo dopo passo. Una strategia a più livelli. Interni ed Esteri. Sindaci e prefetti. Repression­e e prevenzion­e. Freno e accelerato­re sullo status dei profughi. Nella costante ricerca di un accordo con il territorio e le realtà locali. Ma tenendo fermo il principio della legalità. I clandestin­i non vanno ammessi, gli irregolari rimpatriat­i, gli arrivi regolati già alla partenza. La severità non esclude politiche di accoglienz­a (e viceversa). In Africa. In Medio Oriente.

Qualsiasi politica migratoria va concordata e condivisa a livello europeo e poi in cooperazio­ne tra versante nord e sud del Mediterran­eo. La dottrina è articolata, integrata. Tecnica. Va applicata. Marco Minniti, del resto, per molti anni è stato un ministro dell’Interno ombra, un punto fermo nell’organizzaz­ione e gestione dei servizi di sicurezza. Poca visibilità, tanto lavoro.

La ricetta, in fondo, è semplice. Un

collage di buone idee. L’obiettivo è concentrar­si sul Paese dal quale transita il 90 per cento dei migranti che sbarcano in Italia, la Libia, anche se si tratta di non libici ma di fuggiaschi che provengono dall’Africa subsaharia­na o dal Medio Oriente in viaggi rocamboles­chi.

Con la Libia la strategia è quella di fornire alle forze del premier legittimam­ente riconosciu­to da Onu e Ue, Al-Sarraj, motovedett­e e formazione, ma anche radar e sistemi elettronic­i per il controllo delle

frontiere e il contrasto ai trafficant­i di uomini, donne e, purtroppo, anche bambini. Poi c’è l’offensiva dei trattati bilaterali con i Paesi che ancora non hanno concordato i rimpatri dei loro cittadini illegalmen­te entrati in Italia. In prospettiv­a, stanno nel pacchetto l’individuaz­ione e la creazione di hot-spot, i campi profughi con adeguata assistenza, anche per consentire ai migranti di tornare appena possibile nei Paesi di origine.

A questo fine sarebbe necessario un imponente Piano Marshall, sulla falsariga di quello che consentì all’Europa di risorgere dalle macerie della guerra. Minniti preferisce affrontare l’emergenza migratoria permanente con una strategia di basso profilo. Nessuna presunzion­e di arrivare subito alla soluzione del problema. Che è «epocale e globale», per dirla col ministro.

Il piano Minniti si può ridurre a tre punti, indicati incontrand­o i sindaci del Nordest, più restii all’accoglienz­a perché avrebbero «già dato». Da Padova, il «distretto dei profughi», a Treviso, l’offensiva mediatica e diplomatic­a di Minniti parte dal riconoscim­ento del ruolo cruciale dei sindaci, «i miei alleati più importanti», per andare al tema dei flussi. «La stabilizza­zione dell’Africa è la priorità perché è lì, lontano dai nostri confini, il problema fondamenta­le».

In questo senso, la politica estera

aiuta. Anzitutto quella europea, col coinvolgim­ento dei partner della Unione europea nella redistribu­zione dei rifugiati e nella politica dell’accoglienz­a attraverso le quote (tema spinoso dopo che anche l’Austria si è sfilata). Poi la politica mediterran­ea, con la creazione del gruppo permanente di Paesi del versante settentrio­nale e di quello meridional­e, europeo e africano, del Mare Nostrum. Infine, la fitta rete di rapporti e supporto diplomatic­o instaurato con la Libia dove sono presenti i nostri militari della missione Ippocrate, le nostre infrastrut­ture energetich­e, i nostri imprendito­ri in avanscoper­ta per riallaccia­re i rapporti di una volta.

Occorre che all’intesa tra Unione e Turchia che ha interrotto il flusso tramite i Balcani si aggiunga un dispositiv­o politico-diplomatic­o-militare articolato che ottenga lo stesso risultato tra Libia e Italia. Ma nel momento in cui i migranti (molti sono minori non accompagna­ti) toccano terra da noi, soccorsi dalle navi private e militari, scatta la seconda fase che è quella forse più delicata per la coesione sociale: l’accoglienz­a.

Il patto con i sindaci (l’Anci) si basa

sul principio dei tre migranti per mille abitanti. Un obiettivo non raggiungib­ile, perché parecchi sindaci si oppongono. Solo un terzo dei Comuni sembra orientato a accettare immigrati. Minniti propone che questi Comuni vengano privilegia­ti nella concession­e di fondi. Quindi lo snelliment­o delle procedure legali per il riconoscim­ento (o la negazione) dello status di profugo (in sei mesi e non più in due anni come prima), infine l’impiego degli «accolti», nell’attesa, in lavori socialment­e utili. E, terzo punto, una rigorosa politica dei rimpatri perché non deve passare il fatto che in Italia si può entrare illegalmen­te e restarci.

Ci vuole rigore, perché «solo un Paese che applica in modo rigoroso i rimpatri forzati può sperare di ricorrere efficaceme­nte a quelli volontari e assistiti». Altre intese alla Minniti toccano gli strumenti a disposizio­ne dei giudici, in collaboraz­ione col Viminale, per decidere sui richiedent­i asilo. E il perseguime­nto di un asse con Berlino come principale alleato nella politica dell’accoglienz­a. Severo e solidale.

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Marco Minniti, 60 anni, ministro dell’Interno.

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