Datemi una cena spettacolare
Grandi schermi al posto di pareti e tovaglie, enigmi, degustazioni bendate, show acrobatici del Cirque du Soleil. La percezione del gusto si può potenziare stimolando gli altri sensi mentre si mangia. Il cibo (anche quello stellato) non basta più. Ecco i
Quando a Parigi si va alle Folies Bergère (cena, spettacolo, champagne) nessuno si chiede chi è il cuoco. Ma come la mettiamo se lo chef è Ferran Adrià, e l’effetto «son et lumière» (ovvero suono e luce), è quello del Cirque du Soleil? Succede a Heart, che sta per riaprire per la sua seconda stagione a Ibiza, e la domanda è lecita da quando il ristorante di lusso sembra somigliare sempre meno al tempio deputato all’esclusivo piacere gastronomico.
Difatti: «Questo è un lab creato per esplorare i limiti tra gastronomia, musica e arte» dichiara Guy Laliberté, che col Cirque ha rivoluzionato lo spettacolo circense, come Adrià ha sovvertito l’alta cucina. Heart è un luna park culinario con vari gradi di accesso (e di prezzo). Il primo è la Terrazza, una sorta di street food planetario, dal ceviche allo yakitori ai waffles, dove si «fa» l’aperitivo; il secondo è Supper, ai cui tavoli si intrecciano cocktail solidi, dj, acrobazie, mimi, sommelier-prestigiatori, portate immaginifiche da comporre a piacere, da mangiare con le mani, da condividere. All’una di notte tutto si trasforma in discoteque.
Divertente? Di sicuro. Buono? Anche. Forse ristorante non è più il vocabolo adeguato, ma prima di gridare allo scandalo bisogna ricordarsi che già al Bulli, ex mitico ristorante di Adrià, non si andava per cenare, ma per assistere a un’esibizione di funambulismo gastronomico (per esempio: nodini sferici di yogurt; marshmallow di olio di arachidi; acqua ghiacciata di foglie di eucalipto). Adesso, abbinata al suo corrispondente circense ( Delirium, Zumanity, Quidam,
Totem, sono alcuni titoli delle performance), l’esperienza raddoppia e si esalta.
C’è chi non è d’accordo e indica come limite accettabile, per un amante della gastronomia più sofisticata, DiverXo, il ristorante di David Muñoz, genio tatuato e irriverente, il solo tre stelle di Madrid. Le proiezioni qui si limitano a formiche giganti e farfalle all’ingresso, poi è la volta di rosei porci alati e maxi-coni gelati come complementi d’arredo, che si disvelano man mano che i tendaggi che avvolgono i 12 tavoli vengono aperti durante la cena. Sono una ventina di portate turbative come un Bordeaux servito con gocce di sangue di pesce o «Iodio. Spuma marina. Salsa d’aceto» o «Untuosità suprema», somministrati con procedure diverse, tra cui imboccare i clienti bendati. Ma, scena a parte, sono pensate da uno che è un grande asador puntando su sapori esplosivi pescati in libertà. Si affida invece ad Alice nel
Paese delle Meraviglie Vladimir Mukhin, il giovane talento russo che governa le cucine al White Rabbit, il ristorante più acclamato di Mosca, dove lo chef si impegna in prima persona ogni giovedì vestito da Cappellaio matto servendo un menu di dodici porta- te, ispirate alla fiaba. All’iniziale aperitivo scandito da bianconigli alle pareti, segue la cena in un’alternanza di luci stroboscopiche sotto la cupola di vetro al sedicesimo piano del Smolenskiy Passage Shopping Center.
Per entrare nel terzo millennio e assaporare un’emozione meta-gastro-sensoriale bisogna spostarsi al Sublimotion dell’Hard Rock Café, a Ibiza. Qui i professionisti che contano non sono i cuochi, ma i creatori degli effetti speciali che si esprimono con un linguaggio sofisticato: lo chef è «l’emittente», il cliente è «il ricevente», il piatto è «il messaggio», la sala è «il micro-environnement». Dalla cabina di regia la successione delle portate, destinate ai dodici ospiti, è scandita al secondo. Sulle pareti/maxischermo scorrono immagini da 7 milioni di pixel mentre gli amplificatori tuonano. «Quando arriva il nostro snack gelato al centro di un piccolo icerberg, la stanza è a meno trenta; quando serviamo il dessert alla rosa, la temperatura è primaverile» commenta Paco Roncero, chef e proprietario, che si fregia di due stelle a La Terraza del Casino a Madrid, ma che ha qui la sua cassaforte. La tesi è che la percezione del gusto può essere potenziata
stimolando gli altri sensi. Non proprio una novità, dato che ci avevano già pensato i futuristi (degustazione di un’oliva tra profumi intonati, sfregando i polpastrelli su ritagli di damasco e carta vetrata, al suono di brani wagneriani) e poi, man mano, la nouvelle cuisine fino all’inglese Heston Blumenthal che, all’arrivo della torta, procura agli avventori cuffie con le loro melodie infantili preferite.
La cena a Sublimotion costa 1.600 euro a testa, vini esclusi. Prima di rompere il salvadanaio il consiglio è di provare col pop corn. Al cinema in 3D è più buono che a casa? Se non lo è, meglio lasciar perdere.
D’altra parte con un quarto della spesa (viaggio escluso), si può sperimentare la versione originale all’Ultraviolet di Paul Pairet, a Shanghai, che lo spagnolo Roncero ha scopiazzato. Anche qui muri, sedie, tavolo bianco (uno solo, per dieci); proiezioni in alta risoluzione e bocconi concettuali (mare in tempesta e frutti di mare; immagini di prati con profumo di erba e lecca lecca vegetariani), più qualche piatto «vero» per venti portate e quattro ore di performance.
Ma forse la cosa più interessante è la cerimonia iniziatica d’accesso. Per Su-
blimotion, a Ibiza, si viene prelevati da un’auto e scaricati davanti a una porta attraverso cui si accede a un montacarichi che si apre direttamente in sala; per Ultraviolet, a Shanghai, dopo un aperitivo sul Bund, si sale su un bus che percorre un dedalo di strade nel vecchio quartiere di Hongkou e si arresta davanti a un capannone dove una vecchia indirizza i passeggeri verso un ingresso anonimo.
Il nuovo lusso è creare la sensazione di accedere a un rito per pochi. La stessa che eccita i cultori dei cocktail mentre sussurrano la password d’ingresso per i locali «dont-tell-it» (ovvero non rivelarlo), ispirati a quelli degli agli anni del Proibizionismo quando l’entrata era nascosta dentro cabine telefoniche e toilette.
Una trovata adottata da Albert Adrià, fratello di Ferran, per il suo nuovo ristorante di Barcellona, che non a caso si chiama Enigma. Questo il percorso: si prenota (on line); un paio giorni prima della data si riceve un indirizzo, un codice e si pagano un centinaio di euro; si approda a un condominio, si digita il codice e si entra nella prima delle sei stanze grigiocaverna in cui si snoderà il percorso gastronomico. All’ingresso, un’infusione; nella prima stanza la non-scelta del menu, nel senso che si può chiedere in che cosa consiste o procedere alla cieca; in un successivo salottino, cocktail con bocconcini; drink e tapas di design nella zona mixologist; poi bocconi alla plancia nella sezione cucina; a seguire la sala da pranzo e la cena; infine il passaggio al bar per il caffè e piccola pasticceria. Quasi tre ore di enigma e 200 euro.