Noi che restiamo a L’Aquila
Il sisma del 2009 ha devastato la città. Ancora oggi sono evidenti i segni di una ricostruzione difficile. Ma molti giovani non si sono arresi. E invece di andarsene hanno scelto con coraggio di ripartire proprio da qui.
Ancora oggi restano evidenti i segni del sisma che nel 2009 ha devastato L’Aquila. E nonostante la ricostruzione non sia conclusa, sono tanti i giovani abruzzesi che non si sono arresi. E che invece di andarsene hanno scelto di ripartire proprio da qui. Panorama racconta le loro storie di coraggio e determinazione.
La regina degli Appennini è ormai una città a due volti. Dovrebbe essere ribattezzata L’Aquila bicipite: perché il capoluogo dell’Abruzzo, a otto anni dal devastante terremoto che l’ha quasi raso al suolo, non è riuscito a ricomporre ancora la sua immagine. All’ombra della basilica di San Bernardino o attorno alla Fontana luminosa - gli unici due tesori architettonici tornati pienamente a nuova vita - le abitazioni restano cumuli di macerie, i teli bianchi dei cantieri rivestono palazzi che si trasformano di notte in fantasmi, impalcature e inferriate continuano a bloccare l’accesso a vicoli abbandonati. Eppure dietro questo paesaggio di rovine, una periferia di moderne case antisismiche lascia sperare in un futuro diverso. Architetture d’avanguardia, come il palazzo dell’Ordine degli architetti o la nuova sede dell’Azienda nazionale delle strade, si alternano a recuperi più tradizionali come quello del settecentesco Palazzo del governo.
Faticosamente una nuova Italia sta prendendo volto: l’Italia dei giovani che, di fronte a crisi e catastrofi, non vogliono lasciare il proprio Paese, inventandosi attività originali nei buchi neri aperti dal terremoto o dalle mancanze della politica. Gino, il liutaio che realizza violini a mano proprio in quel centro storico da cui i rinomati professionisti di un tempo sono tutti fuggiti. Luna, la socia della libreria Polarville che, insieme al suo fondatore Giuliano, è riuscita a trasformarla di nuovo in punto d’aggregazione grazie a incontri con autori ed esposizioni artistiche. E ci sono poi Mario, col suo studio di registrazioni, e Olly, impegnata in un bistrot da cui si liberano irresistibili profumi per stanare i desideri dell’antica Aquila. Tanti piccoli mondi sospesi, che fanno della città di oggi quasi un set cinematografico surreale, un non-luogo illuminato dalle luci asettiche dei cantieri, ma riscaldato al contempo dal sorriso di chi sa di aver trovato finalmente la propria via. Grazie a questi pionieri dell’ingegno, persino i container non appaiono più ripari provvisori. Né i semafori rossi meri segnalatori d’emergenza. Sono solo indizi di un futuro che ha smesso di preoccuparsi del tempo, per riprendersi piuttosto il gusto della vita: perché non esiste casa, né città o luogo che possano definirsi tali, senza persone capaci di scriverne la storia di ogni giorno.