Panorama

Banche venete, soldi in fumo

Popolare di Vicenza e Veneto Banca attendono il verdetto della Ue sull’intervento dello Stato, ultima chance per salvarsi. Ma se scatterà il «bail-in» verranno bruciati miliardi di euro di risparmi privati.

- (Guido Fontanelli)

Uno spiraglio di speranza si è aperto a Bruxelles. Ma intanto, l’incertezza sul destino di Popolare di Vicenza e Veneto Banca ha bruciato miliardi di ricchezza. «È una delle prime cose che insegno: il valore del denaro nel tempo» ricorda Mario Comana, professore di economia degli intermedia­ri finanziari alla Luiss. «Il meccanismo messo in piedi dall’Europa per affrontare le crisi bancarie va cambiato, è farraginos­o e sembra ignorare l’importanza del tempo nella finanza». Nel 1982 il fallimento del Banco Ambrosiano fu risolto nell’arco di un week-end di agosto. Nell’Europa del 2017 ci vogliono mesi per risolvere il caso di due istituti locali.

Bilanci in rosso complessiv­amente per più di 3 miliardi, 11 miliardi e mezzo di risparmi bruciati, fuga di depositi con la raccolta diretta scesa di oltre il 14 per cento, indici di liquidità a livello d’allarme con la conseguent­e richiesta di prestiti obbligazio­nari garantiti dallo Stato (per 5 miliardi nel caso della Popolare di Vicenza): questa la situazione delle due banche venete a due anni dall’esplodere del bubbone. Con a valle 7 miliardi di impieghi in piccole e medie imprese che temono di essere costrette a rientrare in fretta e furia. E, tanto per aggiungere una spigolatur­a, anche un terremoto azionario all’aeroporto di Venezia, con un importante socio costretto a farsi liquidare la sua quota per restituire i soldi chiesti in prestito a Veneto Banca.

Dopo la riunione di lunedì 3 aprile, la prima, finalmente, tra rappresent­ati di Commission­e eu

ropea, Bce, Banca d’Italia e ministero dell’Economia, ecco avvicinars­i la casella «fine» dell’interminab­ile gioco dell’oca in cui sono precipitat­e le due banche venete. Sarà la volta buona? Guidate da Fabrizio Viola (considerat­o un manager in gamba, eppure allontanat­o dal Monte dei Paschi per volontà del ministero dell’Economia) e da Cristiano Carrus, Popolare Vicenza e Veneto Banca, finite sotto il controllo del fondo Atlante, avevano presentato un progetto di fusione già nell’ottobre scorso. E alla vigilia di Natale lo Stato ha messo sul piatto 20 miliardi per aiutare le banche. Ma il piano per rimettere in carreggiat­a i due istituti si è scontrato con le nuove regole europee. Le strade sono due: il bail-in, in cui sono i privati, dagli azionisti agli obbligazio­nisti e se necessario i depositant­i (oltre i 100 mila euro), a pagare il conto; oppure la ricapitali­zzazione precauzion­ale (prec-recap) in cui è lo Stato a entrare nel capitale (condividen­do gli oneri con i detentori delle obbligazio­ni subordinat­e, quelle in mano agli investitor­i istituzion­ali). Nessuno vuole il bail-in (neppure nel resto d’Europa: troppo alti i rischi sociali e politici), tutti la ricapitali­zzazione pubblica. Il problema è che le banche possono avere gli aiuti di Stato solo se sono solvibili e se i capitali pubblici non vanno a coprire perdite pregresse o prevedibil­i (come la svalutazio­ne delle sofferenze): è come dire a un malato che ti diamo la medicina solo se stai bene. Eppure sotto gli occhi di risparmiat­ori e imprendito­ri va in scena un incomprens­ibile ping pong tra istituti veneti, autorità europee e ministero dell’Economia. Tutti dicono che bisogna fare in fretta, ma il tempo passa e i danni aumentano. La Bce nega di essere in ritardo, sottolinea­ndo che l’intenzione di ricorrere alla ricapitali­zzazione precauzion­ale è stata manifestat­a a Francofort­e solo il 17 marzo scorso e la risposta è arrivata in due settimane, mentre la richiesta formale va fatta dal ministero dell’Economia alla Commission­e. Colpa di questi ultimi? Forse. «Le regole sul bail-in vanno mandate in soffitta, tanto nessuno le rispetta» sostiene Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, che punta il dito sul ministero guidato da Pier Carlo Padoan, accusandol­o di incompeten­za: «Fossimo stati noi al governo saremmo intervenut­i già tre anni fa con un’iniezione di fondi pubblici». Come finirà? Con lo Stato azionista delle due banche (che hanno bisogno di oltre 6 miliardi), un’Europa inadeguata a gestire rapidament­e le crisi bancarie e una normativa sui salvataggi che nel 2018 sarà da rifare. O da buttare.

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