Ma si può sorridere di chi è disabile?
Il libro A Disabilandia si tromba di Marina Cuollo, che convive con una rara sindrome genetica, prende in giro sia i «normali» sia chi ha qualche disabilità. «Non ci sto, mi fa incazzare» risponde Danilo Ferrari, affetto da tetraparesi spastica. Per Mara
Perché NO
L’autrice affronta problemi veri per tutti i disabili. Tanto veri quanto ovvi per chi li vive, insignificanti per chi non li vive. Ma non si sofferma mai su nessuno. L’intento del libro Disabilandia sarebbe fare satira, io però lo vedo come un insulto. Dopo aver diviso per categorie diverse i «normodotati», passa a quella dei «disabili» senza tenere conto del fatto che chi è disabile lo sa e ne soffre. Forse l’autrice, convinta che avendo anche lei una disabilità non può essere contraddetta, dimentica che il libro potrà far sorridere i normodotati, non chi è disabile. Non so se si è davvero imbattuta in tutte le categorie di persone elencate, se sì è stata sfortunata. Mi verrebbe da dire: «Marina, ma perché i disabili ti fanno arrabbiare? Trattandoli così non fai altro che autorizzare un riso di scherno».
Non ho mai sopportato chi ironizza su chi è considerato «diverso», potrebbe essere pericoloso anche se chi lo fa appartiene a una di queste categorie. Non so quali siano le motivazioni che hanno spinto l’autrice a essere così eccessiva nella forma e nello stile, credo sia stato scritto per nascondere la rabbia che all’esterno si veda ciò che lei non vuole mostrare di se stessa. Man mano che scorrevo il testo, a un certo punto ho avuto la sgradevole sensazione della goccia che fa traboccare il vaso: l’eccesso è diventato negatività. Del resto, chi non ne è chiamato in causa si farà di sicuro due grosse risate!
Perché SÌ
Ormai mi conoscete, sono una chehe non mitiga il proprio pensiero nepppure minacciata da una pistola.a. Quindi quando ho letto Disabilanndia ho trovato consolatorio trovare re una persona che in questo fosse se uguale a me: Marina Cuollo è così,sì, un’indomita Maionchi su quattro ruote, non on nel senso che è in carrozzina, ma nel senso so che è una donna con il turbo, una che se deve prendere una discesa (o meglio, una salita, come quella che faceva sulla rampa dell’università tutti i giorni) non si perde d’animo, analizza la situazione e si butta. Io, però, non voglio fuorviarvi. Disabilandia non è un libro leggero; è un libro serio di una persona seria che ha saputo guardare alla propria vita con leggerezza. Senza osare mettere le eventuali avversità della mia vita sul piano di quelle di Marina, posso dire che anche io scelgo sempre questa strada, nel bene ma, soprattutto, nel male (per esempio quando ho avuto il cancro).
Nella prefazione che ho scritto al libro ho mancato di dire che è una lettura che andrebbe proposta nelle scuole. Lo dico adesso. Non perché parli di inclusione, condivisione e «che bello siamo tutti uguali», ma perché parla proprio di unicità, quella del talento e della forza di carattere che permettono di eccellere nonostante l’apparenza esteriore o il doloroso giogo di una condizione fisica congenita. Marina manda al diavolo i pregiudizi, con il sorriso. Vi pare poco!