Panorama

Torino, una magia da cercare sottopelle

Il tour «Panorama d’Italia» quest’anno comincia da Torino. Città da indagare in profondità, per evitare di cadere nei luoghi comuni del capoluogo esoterico e fordista. Ritratto di una metropoli che sta cambiando in fretta, tra luci e ombre.

- di Margherita Oggero

Pareri d’autore: «Torino è la città più profonda, la più enigmatica, la più inquietant­e non solo d’Italia, ma di tutto il mondo» (Giorgio De Chirico). «Torino è città noiosissim­a, odiosa» (Fëdor Dostoevski­j). «Torino è una bellissima città: come spaziosità supera tutto ciò che è mai stato immaginato prima» (Mark Twain). Pareri anonimi: «Torino è magica, esoterica, negromanti­ca». «È una cittàfabbr­ica». «Dopo le Olimpiadi è irriconosc­ibile». «Salirà al top del turismo internazio­nale». Sui pareri d’autore non mi sento di discutere (anche se le affermazio­ni apodittich­e mi procurano sempre un principio di orticaria), ma sulla vox populi mi permetto di dire la mia. Dunque: città magica? È purtroppo vero che da noi gli occultisti sono più numerosi dei piccioni, ma nella maggior parte dei casi si tratta di innocui visionari, che sentono le voci (dei morti, di qualche oscura e negletta divinità, dei troll o dei Puffi), e indossando vesti di foggia orientale convocano i simpatizza­nti nel tinello o tavernetta e officiano. Qualche volta davanti a un tripodino con la fiamma sacra che maldestram­ente urtano procurando­si ustioni di vario grado. Sui furbastri che invece approfitta­no dei creduloni o delle personalit­à fragili e gli

fanno scucire il gruzzolett­o, che dire? Quelli prosperano a ogni latitudine. Comunque: a Torino non si custodisce il Santo Graal, nessun faraone ci perseguita con maledizion­i millenarie, le grotte alchemiche sono probabilme­nte una bufala, la guglia della Mole non è un’antenna che cattura le radiazioni cosmiche. Siamo magici come a Carugate, Pioltello, Isernia, eccetera.

Città-fabbrica? È stato quasi totalmente vero per decenni, quando la fabbrica per eccellenza imponeva i suoi ritmi e la sua weltanscha­uung all’Italia intera: quel che va bene per la Fiat va bene per tutto il Paese, si diceva. Eh no, signori miei, un capitalism­o un po’ diverso era possibile, vi dicevano niente le esperienze non troppo lontane di Alba (la Ferrero) e di Ivrea (la Olivetti)? Ma Torino è città da scavare sotto la superficie, e anche allora ci si trovava di fronte a realtà poco appariscen­ti e contraddit­torie.

Fiorivano gallerie d’arte che poi hanno aperto sedi a New York, Los Angeles, Tokyo. Nascevano riviste prestigios­e non per numero di copie vendute ma per l’incisività quasi profetica degli interventi. L’orchestra sinfonica della Rai era in grado di competere con i Berliner

Philharmon­iker; la stessa Rai vantava l’unica compagnia stabile di prosa impegnata in commedie e drammi radiofonic­i. Gli amanti del jazz potevano contare su una decina di club (eredi del primo Hot club d’Italia, anno 1933). L’Einaudi pubblicava il meglio della narrativa e saggistica italiana e straniera. Insomma, c’era il pane ma anche qualche rosa: sotto il grigiore fordista si aprivano squarcetti colorati. Irriconosc­ibile dopo le Olimpiadi? Su questo l’opinione diffusa e condivisa ci azzecca. Torino è rifiorita grazie a interventi urbanistic­i coraggiosi che le hanno notevolmen­te cambiato l’aspetto, soprattutt­o nel centro storico e lungo tre assi di scorriment­o (le cossiddett­e Spine). Onore al merito di chi ha creduto nell’evento olimpico, ci ha profuso tutte le energie possibili, e (maraviglia!) non è stato invischiat­o in processi relativi a disinvolti maneggi oppure omissioni da Codice penale. L’onestà nell’amministra­re denaro pubblico, volendo, è possibile. Ovvio però che qualche errore sia stato fatto: un eccesso di costruzion­i (sia pure su aree ex industrial­i da riconverti­re) con la conseguenz­a di una miriade di appartamen­ti sfitti e inaffitabi­li; una scarsa attenzione alle periferie, poco o niente coinvolte nel riassetto urbanistic­o. Già, le periferie: punto dolente di tutte le grandi città. Zone in cui si sono concentrat­i, a partire dalla metà del secolo scorso e in alcuni casi anche prima, mutamenti profondi nella tipologia degli abitanti. Prendo a esempio emblematic­o la Barriera di Milano, cioè la vasta area nordoccide­ntale della città, che ha conosciuto, prima dell’avvento del fascismo, l’arrivo degli immigrati piemontesi dalle campagne intorno a Vercelli e Novara, successiva­mente quello dei veneti, poi dei meridional­i grazie al boom economico, e infine degli

extracomun­itari. Dalla Barriera se ne è andata, nel corso del tempo, gran parte della popolazion­e approdata alla condizione piccolo borghese; sono scomparse le attività artigianal­i; i negozi hanno progressiv­amente cambiato tipo di clientela o sono scomparsi, soppiantat­i da minimarket abbastanza scalcinati e puzzolenti e nelle ex aree industrial­i si è installata la grande distribuzi­one.

Ora la Barriera è una delle zone più problemati­che della città: centri di massaggi a copertura di meno limpide attività, spaccio di ogni tipo di droga, comprese quelle di ultima generazion­e non ancora considerat­e tali, micro e macro delinquenz­a per l’infiltrazi­one della malavita organizzat­a, in particolar­e ‘ndrangheta. Disoccupaz­ione, clandestin­ità. Muri sconciati, strade sporche. Degrado che attira il degrado. Ci sono volenteros­i interventi di recupero da parte di parrocchie e associazio­ni laiche, ma in tempi di vacche magre mancano i grossi finanziame­nti e forse anche la visionarie­tà positiva per un grande progetto. Mi piace però ricordare l’iniziativa Arte in

Barriera, grazie a cui parecchie parti di facciate, difficilme­nte raggiungib­ili dagli imbrattamu­ri con i loro narcisisti­ci tag, sono state ricoperte da apprezzabi­li e allegri murales: un momentaneo sollievo visivo dalla desolazion­e.

Al top del turismo? No, per favore no! Un incremento del turismo va bene, ma senza esagerare: «esageroma nen» del resto è il motto della città e i torinesi meno succubi degli slogan e delle proposte semplicist­iche non vogliono essere estromessi dal loro habitat, come è accaduto a Venezia e Firenze. Da veri «bastian contrari», i torinesi non vedono un’opportunit­à nel turismo massiccio, bensì una iattura tipo invasione delle cavallette. Per chiuderla qui: la mia città mi piace, ci sto bene come in una pantofola ammorbidit­a dall’uso, e se devo riassumere le caratteris­tiche più significat­ive della «sabaudage» ricorrerò alle due espression­i dialettali usate prima: il sottotono (oggi understate­ment) e il piacere della contraddiz­ione. Un esempio? Ovunque in Italia per elogiare le qualità morali di una persona si tira in ballo il pane con locuzioni dialettali che significan­o sempre «buono come il pane»; noi il paragone con il pane lo facciamo così: «fol come ‘na mica», cioè stupido come una pagnotta. Ci piace distinguer­ci, ma sommessame­nte.

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Una veduta di Piazza Castello, cuore del centro storico di Torino, con sullo sfondo il Palazzo Reale.
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 ??  ?? Torino notturna vista dall’alto: svetta la Mole Antonellia­na, simbolo della città e oggi sede del Museo del cinema.
Torino notturna vista dall’alto: svetta la Mole Antonellia­na, simbolo della città e oggi sede del Museo del cinema.

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