L’Italia espelle due jihadisti alla settimana
I kosovari collegati alla cellula di Venezia, gli imam estremisti, la colf aspirante bombarola... Sono i seguaci della guerra santa rimpatriati dal Viminale. In due anni se ne sono registrati 162 casi. Peccato che molti siano poi rimasti a piede libero.
«Se avete bisogno di carta igienica per i vostri sporchi bisogni (…) ho tutti i profili cominciando dal più sporco… Putin, che Allah lo distrugga». Così si esprimeva sul presidente russo Fisnik Bekaj, uno dei quattro arrestati nel blitz di Venezia all’alba del 30 marzo. Il kosovaro di 24 anni, reduce della guerra santa in Siria, con regolare permesso di soggiorno, faceva parte di una cellula del terrorismo islamico pronta a piazzare una bomba sul ponte di Rialto e a colpire piazza San Marco. «Fisnik si schiera contro la Russia in relazione all’intervento in Siria contro l’Isis e giustifica attentati in Russia individuata come nemico mortale dello Stato islamico» si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, scritta prima della bomba nella metropolitana di San Pietroburgo il 3 aprile.
Oltre ai sospetti terroristi finiti in manette, l’inchiesta del procuratore aggiunto di Venezia Adelchi D’Ippolito ha individuato altri kosovari che ruotavano attorno alla cellula, ma difficili da condannare in un’aula di tribunale. Per questo motivo il 3 aprile sono stati espulsi «per motivi di sicurezza nazionale» Arxhend Bekaj, Mergim Gekaj, entrambi residenti regolarmente a Venezia, e Idriz Haziraj di Treviso, tutti ventenni. Il gruppetto guardava video di attentati e il filmato con sottotitoli in italiano di un mujahed dello Stato islamico che mostra come sgozzare una persona uccidendo un prigioniero. Il 22 marzo, in una conversazione intercettata, Gekaj (uno degli espulsi) e gli arrestati rivelavano la nuova rotta della guerra santa: «Possiamo andare in Egitto… Sinai, a organizzarci bene… gli albanesi (allude ai foreign fighters, ndr)… combattono al confine con Israele».
Forse poco rilevante dal punto di vista penale, ma pericoloso in prospettiva. «Quando non ci sono prove per arrestarli, ma elementi che li fanno considerare potenziali minacce, scatta l’espulsione firmata dal ministro dell’interno» spiegano a Panorama dal gabinetto del Viminale. «Anche se capita che nei Paesi di origine non li arrestino, è meglio che restino a casa loro piuttosto che in Italia».
L’«arma» delle espulsioni, con il divieto di rientrare per 10 anni nel nostro Paese, si è rivelata efficace. Dall’inizio dell’anno il ministro dell’Interno Marco Minniti ha già espulso 30 soggetti a rischio terrorismo: in pratica, più di due alla settimana nel primo trimestre rispetto ai 66 dell’intero 2016. Negli ultimi due anni sono state espulse 162 persone potenzialmente pericolose, compresi 13 imam della guerra santa e due esponenti di centri culturali islamici. La parte del leone la fanno i marocchini che sono 58, più di un terzo, seguiti da 49 tunisini, quattro algerini e tre egiziani. I nordafricani vivevano soprattutto in Piemonte e Lombardia, ma alcuni sono stati espulsi dal Sud Italia. I balcanici sono 23 fra kosovari, albanesi e macedoni annidati soprattutto nel Nord Est, come la rete di Venezia.
Il 25 febbraio l’intelligence ha fatto espellere un 34enne tunisino nella provincia di Perugia, simpatizzante dello Stato islamico, che voleva partire per la Siria. L’aspetto curioso è che «l’elemento di orientamento radicale faceva parte di un sodalizio di spacciatori tunisini», secondo il Viminale. Nello
38 DETENUTI IN ITALIA 270BIS CON IL (TERRORISMO) 400 DETENUTI MONITORATI A RISCHIO RADICALIZZAZIONE 2.859 PERQUISIZIONI SU SOSPETTI 884 PERSONE INDAGATE IN STATO DI LIBERTÀ 412.447 SPAZI WEB MONITORATI 510 CONTENUTI WEB OSCURATI 13 PROFILI FACEBOOK E TWITTER OSCURATI