Le porte girevoli dei magistrati
Secondo il presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, non c’è incompatibilità per chi da un tribunale passa al Parlamento (e magari poi compie anche il tragitto inverso): per lui, probabilmente, la divisione dei poteri è facoltativa.
Se uno dice: «Sono convinto dell’assoluta inopportunità che un magistrato si iscriva a un partito», noi, comuni cittadini, apprezziamo. Ma se la stessa persona subito dopo aggiunge: «Una cosa è iscriversi, altra candidarsi al Parlamento visto che la Costituzione vieta il vincolo di mandato e mantiene libero l’eletto dalla disciplina di partito» ci assale il dubbio che questo latinorum nasconda qualche inghippo. L’autore di quel sudato concetto è Eugenio Albamonte, il nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, e sostituisce Piercamillo Davigo convinto che non esistono politici innocenti, solo colpevoli non ancora scoperti. Peraltro Davigo era contrario ai magistrati che si buttano in politica, mentre Albamonte esordisce difendendoli con sfacciata demagogia: «Meglio che in Parlamento ci siano i magistrati anziché i condannati». Alludeva ad Augusto Minzolini, che il Senato ha giudicato perseguitato, e alla polemica sui magistrati in politica-il caso di Michele Emiliano candidato segretario del Pd è solo il più eclatante. Ebbene per il nuovo, indulgente capo del sindacato l’iscrizione dei magistrati a un partito non è più illecita come dice la legge, è solo «inopportuna». Quanto all’elezione in Parlamento poiché la Costituzione esclude il vincolo di mandato e il magistrato eletto non è tenuto alla disciplina di partito che problema c’è. Bene, bravo, bis! Con un gioco di prestigio Albamonte riduce il dettato di una legge a una questione di opportunità, quindi mette la Costituzione in conflitto con se stessa. Come? Mescolan-
do capre e cavoli prima usa la norma costituzionale che esalta la libertà del parlamentare per aggirare il principio fondamentale della separazione del poteri. Poi dimentica l’altro principio fondamentale che obbliga all’imparzialità chi amministra la giustizia. Proprio per escludere questo rischio la vigente legge
vieta e sanziona non solo l’iscrizione ma anche la partecipazione «sistematica e continuativa» di un magistrato all’attività di un partito o di un soggetto economico o finanziario. Ebbene, come un magistrato - o un comune mortale - potrebbe essere eletto senza impegnarsi con un partito e come potrebbe svolgere la sua attività senza partecipare alla vita di un gruppo parlamentare? O forse il dottor Albamonte pensa che si possa saltare da un tribunale al Parlamento da soli, magari viaggiando a cavallo di una palla di cannone o tirandosi su per i propri capelli come il barone di Münchhausen?
La lacuna della legge vigente semmai è di non aver stabilito che il limite insuperabile non è solo quello dell’iscrizione ai partiti, ma anche l’incompatibilità che si genera tra il diventare parlamentare e il restare magistrato. Sia chiaro: nulla vieta a un magistrato di candidarsi e di essere eletto in un partito o in un movimento, quel che è inaccettabile è che poi torni a fare il giudice. Le porte girevoli van bene negli alberghi non tra poteri costituzionali che sono e devono restare separati a garanzia delle nostre libertà e della stessa indipendenza dei giudici.