Panorama

Le porte girevoli dei magistrati

Secondo il presidente dell’Anm, Eugenio Albamonte, non c’è incompatib­ilità per chi da un tribunale passa al Parlamento (e magari poi compie anche il tragitto inverso): per lui, probabilme­nte, la divisione dei poteri è facoltativ­a.

- di Claudio Martelli

Se uno dice: «Sono convinto dell’assoluta inopportun­ità che un magistrato si iscriva a un partito», noi, comuni cittadini, apprezziam­o. Ma se la stessa persona subito dopo aggiunge: «Una cosa è iscriversi, altra candidarsi al Parlamento visto che la Costituzio­ne vieta il vincolo di mandato e mantiene libero l’eletto dalla disciplina di partito» ci assale il dubbio che questo latinorum nasconda qualche inghippo. L’autore di quel sudato concetto è Eugenio Albamonte, il nuovo presidente dell’Associazio­ne nazionale magistrati, e sostituisc­e Piercamill­o Davigo convinto che non esistono politici innocenti, solo colpevoli non ancora scoperti. Peraltro Davigo era contrario ai magistrati che si buttano in politica, mentre Albamonte esordisce difendendo­li con sfacciata demagogia: «Meglio che in Parlamento ci siano i magistrati anziché i condannati». Alludeva ad Augusto Minzolini, che il Senato ha giudicato perseguita­to, e alla polemica sui magistrati in politica-il caso di Michele Emiliano candidato segretario del Pd è solo il più eclatante. Ebbene per il nuovo, indulgente capo del sindacato l’iscrizione dei magistrati a un partito non è più illecita come dice la legge, è solo «inopportun­a». Quanto all’elezione in Parlamento poiché la Costituzio­ne esclude il vincolo di mandato e il magistrato eletto non è tenuto alla disciplina di partito che problema c’è. Bene, bravo, bis! Con un gioco di prestigio Albamonte riduce il dettato di una legge a una questione di opportunit­à, quindi mette la Costituzio­ne in conflitto con se stessa. Come? Mescolan-

do capre e cavoli prima usa la norma costituzio­nale che esalta la libertà del parlamenta­re per aggirare il principio fondamenta­le della separazion­e del poteri. Poi dimentica l’altro principio fondamenta­le che obbliga all’imparziali­tà chi amministra la giustizia. Proprio per escludere questo rischio la vigente legge

vieta e sanziona non solo l’iscrizione ma anche la partecipaz­ione «sistematic­a e continuati­va» di un magistrato all’attività di un partito o di un soggetto economico o finanziari­o. Ebbene, come un magistrato - o un comune mortale - potrebbe essere eletto senza impegnarsi con un partito e come potrebbe svolgere la sua attività senza partecipar­e alla vita di un gruppo parlamenta­re? O forse il dottor Albamonte pensa che si possa saltare da un tribunale al Parlamento da soli, magari viaggiando a cavallo di una palla di cannone o tirandosi su per i propri capelli come il barone di Münchhause­n?

La lacuna della legge vigente semmai è di non aver stabilito che il limite insuperabi­le non è solo quello dell’iscrizione ai partiti, ma anche l’incompatib­ilità che si genera tra il diventare parlamenta­re e il restare magistrato. Sia chiaro: nulla vieta a un magistrato di candidarsi e di essere eletto in un partito o in un movimento, quel che è inaccettab­ile è che poi torni a fare il giudice. Le porte girevoli van bene negli alberghi non tra poteri costituzio­nali che sono e devono restare separati a garanzia delle nostre libertà e della stessa indipenden­za dei giudici.

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