Elezioni, le scelte del centrodestra
Le prossime Comunali diventano un banco di prova e di maturità per il fronte dei moderati: se la scelta per Genova convince, le sperimentazioni che si tentano in Sicilia preoccupano.
Sulla carta i tre partiti del centro-destra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) insieme nei sondaggi, superano il 33%: sono sopra di 6 punti ai grillini (27%) e di 7 al Pd (26%). Insomma, non ci sarebbe storia. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E il mare sono le contraddizioni di questo schieramento che sulla carta ha sempre rappresentato la maggioranza degli italiani, ma per errori, miopie, egoismi, spesso si è fatto male da solo. E, come sempre, non ha fatto tesoro delle lezioni passate.
Eppure, quando si muove all’unisono, il centro-destra diventa competitivo dappertutto. Ad esempio, la candidatura di Marco Bucci, un manager molto conosciuto a Genova, che ha trovato l’ok di tutti nel giro di poche settimane, ha grandi possibilità di strappare alla sinistra la Stalingrado d’Italia. Lo schieramento si è ritrovato su questo nome, quasi naturalmente, valutando la caratura del personaggio e i sondaggi e, concentrandosi, più sulle chance di vittoria della coalizione che non sugli egoismi dei singoli partiti. Completamente agli antipodi è, invece, la vicenda siciliana. Qui si ripetono le storie che hanno dissipato le fortune elettorali di uno schieramento che al suo debutto alle politiche, riuscì a conquistare tutti i seggi disponibili (il famoso 61 a zero).
Per il candidato alle regionali, accantonata l’idea delle primarie (nata senza un perché e morta senza una ragione), si è fatta avanti l’ipotesi dell’ex-rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla. Un ottimo nome che nasce, però, con una caratterizzazione politica ambigua: si immagina una candidatura che apra al Pd (una sorta di partito della Nazione fuori tempo massimo), sacrificando un pezzo di centrodestra, rappresentato da Nello Musumeci che correrà in solitaria. Questo è il risultato delle alchimie della vecchia guardia di Gianfranco Miccichè, Saverio Romano e Totò Cuffaro, che già in passato sono costate al centro-destra la Regione. Il problema è che quanto sta avvenendo oggi, è una coazione a ripetere degli errori di tanti anni. Si torna a parlare, come in passato, di «laboratorio siciliano», una formula tanto cara all’intramontabile democristiano Cuffaro, da esportare nel continente: un’espressione trita e ritrita, finita nel museo delle cere, dietro la quale si nascondono le solite lotte interne di potere, fatte di fazioni, di personalismi esasperati, di ambizioni sfrenate. Al Comune di Palermo la storia non cambia.
Il capoluogo siciliano sembra finito sotto l’egemonia culturale dell’Italia dei valori che furono: il sindaco Leoluca Orlando contro l’ex-capogruppo dell’Idv, exconsigliere Pd e oggi candidato anche del centrodestra, Fabrizio Ferrandelli. Se ci si aggiunge il candidato grillino, sembra il festival del giustizialismo italiano. E mentre nelle elezioni regionali Pd e una parte del centrodestra dovrebbero andare a braccetto, al Comune di Palermo si ritroveranno in schieramenti contrapposti. Inconvenienti delle sperimentazioni siciliane. Sperimentazioni estremamente pericolose, visto che, gira che ti rigira nei mille giochi della politica isolana, il profilo del centrodestra, in una lista civica sotto il nome di un candidato ex-Idv ed ex-Pd, è completamente scomparso. Insomma, siamo alla tattica del Camaleonte, nel paese del Gattopardo. Una tattica che pure un personaggio come il Cav, pronto ad essere «concavo o convesso» a seconda della necessità, ci si può scommettere, stenta a comprendere.