Panorama ha sollevato il caso del vescovo Mazara del Vallo con una copertina del 2014.
chiarezza anche Papa Francesco, che convoca il vescovo Domenico Mogavero in Vaticano per un incontro urgente.
Per il monsignore è un brutto colpo. Dopo aver letto Panorama si aggira infuriato per i corridoi della curia. Mogavero grida al complotto, convoca i fedelissimi e dirama un comunicato per smentire «questa notizia priva di fondamento». Definisce la situazione sotto controllo e riporta dati e cifre del bilancio approvato dal clero in assemblea. Peccato venga sconfessato dalle sue stesse parole pronunciate proprio in quell’assemblea, che Panorama riporta fedelmente anche nel contenuto audio. Al contrario di ciò che scrive nella nota, davanti al corpo sacerdotale Mogavero aveva ammesso «la verità nuda e cruda» e riconosciuto la «situazione di grande difficoltà». La procura di Marsala acquisisce la registrazione e apre un fascicolo d’inchiesta.
Passano circa tre anni. I magistrati indagano e trovano nuovi elementi che li portano a formulare accuse gravissime. Il 17 marzo scorso, la procura di Marsala, a firma del sostituto Antonella Trainito, recapita un avviso conclusione indagini a monsignor Mogavero, in cui gli vengono contestati i reati di truffa e appropriazione indebita.
I tronconi d’inchiesta sono due. Il primo riguarda i lavori per la costruzione della chiesa di San Lorenzo, per i quali la diocesi avrebbe beneficiato di un contributo della Cei, la Conferenza episcopale, di un milione e 474 mila euro, che corrisponde al 75 per cento del valore dell’intera opera. Secondo l’ipotesi accusatoria, il vescovo avrebbe nascosto alla Cei di aver ricevuto, per la stessa opera, un finanziamento della Regione Sicilia, ricavando così un «ingiusto profitto» di 500 mila euro. Tutto ciò grazie ad «artifici e raggiri» consistenti in false documentazioni, falsi contratti, falsi stati di avanzamento dei lavori e di consegna dell’opera. Su tutti gli atti c’è la firma di Mogavero, che è indagato insieme con l’ex vescovo Calogero La Piana, il progettista, il direttore dei lavori, l’esecutore e il responsabile del bando di gara.
C’è poi un secondo filone di inchiesta, nel quale Mogavero viene accusato ancora di truffa e appropriazione indebita, con l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera. In questo caso la procura di Marsala contesta al vescovo di Mazara, che ha delega per operare su tutti i conti correnti della diocesi, di essersi appropriato a più riprese di somme di denaro della curia, attraverso accrediti sul proprio conto corrente personale, prestiti in suo favore, assegni bancari, per un totale di 185.600 euro.
Mogavero ha sempre sostenuto di essere all’oscuro di tutto, scaricando di fatto le responsabilità sull’ex economo don Franco Caruso che, a sua volta, accusato di malversazione, agli inquirenti ha raccontato che il vescovo era a conoscenza di ogni singolo movimento di denaro. Raggiunto al telefono da
Panorama, Nino Caleca, avvocato difensore del monsignore, rilascia questa breve dichiarazione: «Nemmeno nell’ipotesi accusatoria viene ipotizzato che il mio assistito abbia utilizzato a fini personali somme destinate all’opera pastorale. Il vescovo ha sempre rispettato le norme religiose, dimostreremo che ha fatto lo stesso anche con le leggi dello Stato».
Ma quello che è maturato dentro gli uffici della procura, paradossalmente, è il minore dei problemi che oggi deve affrontare monsignor Mogavero. Perché nel frattempo emergono miasmi e veleni che inquinano la vita quotidiana dentro la diocesi, con sospetti, accuse reciproche tra sacerdoti, denunce anonime alla Guardia di Finanza e pellegrinaggi a Roma per chiedere la rimozione del vescovo. Una guerra aperta condotta da buona parte del clero mazarese contro monsignor Mogavero.
Guerra che Panorama è in grado di documentare. A partire proprio da quella famosa assemblea del maggio 2014 quando Mogavero presenta il bilancio e di fronte all’evidenza del buco di 6 milioni, chiama in causa il Vaticano: «Tutto è passato dal collegio dei consultori e dal consiglio degli affari economici. Financo il parere per fare i 4 milioni 700 mila euro di mutuo, che è stato autorizzato dalla Santa Sede». Un mese dopo Panorama pubblica la notizia, ai primi di luglio arriva la Guardia di Finanza in curia, il giorno 11 il vescovo convoca una veglia di preghiera nella cattedrale e deplora le «attenzioni non proprio disinteressate, provocate da qualche suo figlio, spinto certamente non da amore».
Un minuto dopo, dentro la diocesi si scate--
na la caccia al traditore, la talpa che ha passato la registrazione a Panorama. Il clima si fa sempre più pesante, al punto che diversi religiosi scrivono lettere indirizzate a Papa Francesco, al segretario di Stato vaticano, al nunzio apostolico, al prefetto della Congregazione per il clero e quello per i vescovi.
Un sacerdote della diocesi, don Antonio Civello denuncia le «profonde lacerazioni» e «l’assenza di criteri ecclesiali trasparenti e condivisi», per chiedere al vescovo di «rimettere il mandato episcopale» e favorire un «profondo cammino di riconciliazione e di pace». Un altro religioso, don Giuseppe Alcamo biasima il tentativo di attribuire le responsabilità del buco sull’ex economo Caruso, scaricato dopo che «la bomba è scoppiata» da chi «non solo mette a repentaglio la vita dei presbiteri, ma nel momento più doloroso li abbandona e li considera merce di scambio».
Non solo lettere ed email, i preti di Mazara iniziano un pellegrinaggio a Roma per essere ricevuti dalle più alte
cariche ecclesiastiche. Sul finire del 2015, il vicario generale del vescovo, don Vincenzo Greco, chiede a tutti i presbiteri di sottoscrivere una lettera di sostegno e di incoraggiamento in favore del vescovo. Si scatena un putiferio. Don Alcamo ribatte per iscritto: «Ma siamo impazziti tutti? Possiamo continuare a dare spettacolo di stile di vita non evangelico?». Anche l’ex vicario generale, don Marco Renda condanna il «pressing telefonico per sottoscrivere» un «plebiscito dittatoriale» che punta a «fare emergere buoni e cattivi», mentre avere «idee diverse non significa essere nemici». Chiude il cerchio don Antonio Civello, che si rivolge direttamente al vicario del vescovo promotore del referendum: «Se ti resta ancora un po’ di retta coscienza, compi, adesso, un umile gesto: dimettiti».
Sono giorni tumultuosi, il sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato, Angelo Becciu, nel gennaio 2016 rilascia un’intervista a Panorama, esprime «fiducia nella magistratura» e stigmatizza alcune esternazioni pubbliche e televisive del presule siciliano. Mogavero convoca una assemblea straordinaria del clero e afferma: «Ho avuto rassicurazioni da parte dei superiori di Roma. Il mio episcopato a Mazara non è traballante».
Chi si dimette invece è don Francesco Fiorino, che dopo aver lasciato la guida della Caritas e della Fondazione San Vito onlus, «non condividendo la gestione non trasparente della curia» rimette la carica di direttore del giornale diocesano e dell’ufficio delle comunicazioni sociali. E dopo la presentazione del bilancio 2016, nella quale il vescovo si presenta come «l’unico responsabile dell’amministrazione diocesana» e annuncia di avere stornato dai 584 mila euro destinati agli interventi caritativi, ben 350 mila per ripagare debiti precedenti, don Fiorino scrive una lettera pesante e circonstanziata di denuncia che dopo aver fatto il giro della curia finisce sul tavolo della procura.
Tutto questo mentre in Sicilia si è chiusa un’altra indagine, quella nei confronti dell’ex vescovo di Trapani Francesco Micciché, accusato di appropriazione indebita e malversazione e rimosso dal suo incarico proprio dopo accertamenti svolti da monsignor Mogavero. Il quale, dal canto suo, almeno per il momento rimarrà al suo posto. La linea che filtra dal Vaticano è di garantismo e di attesa nei confronti di un vescovo considerato «pasticcione». Si valuteranno gli sviluppi giudiziari. E si terrà conto delle dure prese di posizioni pubbliche di Mogavero nel recente passato, all’insegna del giustizialimo e della moralizzazione a mezzo stampa.