KO MATTO RING E SCACCHIERA, NASCE LO SPORT FISICOMENTALE
Pedine, botte, pedine, botte, gong. Il chessboxing è un nuovo sport combinato che vanta già 11 federazioni mondiali e circa 2 mila atleti censiti. Doti fisiche? Muscoli e mente strategica.
Ènato come una visione. Poi è diventato una performance artistica. Infine una disciplina sportiva che il prossimo 11 aprile radunerà i propri atleti a Calcutta, per i Campionati mondiali dilettanti. E in prospettiva, una fabbrica per creare l’essere umano perfetto, il futuro padrone dell’universo. «Entro 10 anni» profetizza la mente dietro al progetto «il campione del mondo di chessboxing sarà al contempo l’uomo più cazzuto e più intelligente del pianeta».
A inventare la disciplina, conosciuta in Italia come Scacchipugilato, è stato l’artista olandese Iepe Rubingh, già noto alle cronache per esser finito in un carcere di Tokyo dopo aver bloccato per ore l’incrocio di Shibuya, il più trafficato del pianeta. Un’idea presa in prestito a sua volta dal fumettista francese Enki Bilal, che pubblicando nel 1992 l’albo futurista Froid Equateur immaginava una partita di scacchi giocata al termine di un sanguinoso incontro di box. Pugili gonfi di testosterone e madidi di sudore obbligati a raccogliere le ultime energie per non sbagliare l’arrocco della torre, e per decidere il loro destino. Dal primo incontro combattuto a Berlino del 2004, e dopo la fondazione della World Chessboxing Organisation che ne ha delimitato ambiti e regolamenti, questo curioso fightclub intellettuale ha preso forme ben diverse. Ci sono ovviamente due
pugili-scacchisti che s’affrontano, ma le sessioni al tavolino e sul ring sono regolate da intervalli: 11 riprese totali, di cui cinque di combattimento, e sei d’ingaggio mentale: scacchi, botte, scacchi, botte, gong. Al termine, una vittoria per ko, per scacco matto oppure ai punti pugilistici, se nessuno ha avuto ragione del contendente.
«Per come la vedo io, questo è il biathlon del Ventunesimo secolo» azzarda Andreas Dilschneider, istruttore al Chessboxing club di Berlino, che al pari di Londra è la madrepatria di questo nuovo sport combinato. «Ci sono occasioni in cui la vittoria sul ring è a un soffio, ma poi suona la campana e devo ricordarmi di salvare la regina. Occorre grande autocontrollo e capacità di ragionare a compartimenti stagni» spiega Leonid Chernobaev, campione del mondo in carica dei medi leggeri.
Settecento match disputati nel 2016,
11 federazioni mondiali compresa l’italiana Fisp (ma ne sono nate anche in Cina e Iran), un numero imprecisato di palestre dove praticare e circa 2 mila atleti censiti. A ogni evento il chessboxing riesce a richiamare pubblico e interesse. Mille spettatori, per esempio, si sono raccolti a Colonia per godersi la vittoria di Frank Stoldt sul russo Sazhin, un ex casco blu tedesco che ha servito in Kosovo e Afghanistan. Happening arricchiti da una filosofia d’intrattenimento decisamente «all’americana»: match commentati dal vivo e sparati sui maxischermi, spettacoli di hula-hop con meravigliose ragazze in bikini, numeri circensi e persino danza del ventre tra un incontro e l’altro, come accade in Italia grazie alla performer Emanuela Suanno.
Scene che si sono ripetute, il 25 marzo scorso, per l’Intellectual fight night alla Columbiahalle di Berlino; o alla York Hall di Londra in occasione di Pity the fools (l’1 aprile), sfida fratricida tra i membri del London chessboxing club, palestra nel quartiere di Islington dove si organizzano lezioni di scacchipugilato a otto sterline l’ora. «A ottobre 2017 invece sarà la volta del primo campionato del mondo per professionisti, a Berlino» annuncia Iepe Rubingh, a capo della federazione internazionale e fondatore di Chessboxing global, struttura commerciale per la promozione dello sport e per la vendita dei diritti televisivi.
Non mancano personaggi curiosi che si cimentano nelle gare: c’è Sven Rooch, classe 1987, pompiere di Dresda e figlio di atleti cresciuti nella squadra nazionale di salto in lungo della ex Germania Est. Poi il bielorusso Leonid Chernobaev, allenato al pugilato dal padre e agli scacchi dalla madre, Jonathan R. Vega, spagnolo di Leon, promessa della box dilettantistica iberica finché un infortunio al ginocchio gli ha impedito l’accesso a Pechino 2008. Caduto in depressione, avviato agli scacchi dal fratello divenuto gran maestro, ritrova fiducia e ricomincia ad allenarsi grazie alla chessboxing federation.
Fino a Nikolay Sazhin, laureato in matematica all’Università federale siberiana, 100 chili di potenza e cervello, avversario nel 2013 del peso massimo italiano Gianluca Sirci. Biologo e biochimico, professore di Scienze in un liceo di Foligno, pugile professionista con 20 incontri all’attivo, Sirci si considera un combattente formidabile, ma uno scacchista mediocre. «La mia tattica» spiega è resistere il più possibile sulla scacchiera e spingere molto sul ring, per mandare l’avversario in debito d’ossigeno e portarlo all’errore nel momento del gioco, pur essendo scacchisticamente meno preparato del mio avversario: il mio primo cam-
pionato europeo l’ho vinto usando questa tecnica». A parere di Sirci, il chessboxing è la disciplina perfetta per allenare a prendere decisioni veloci in condizioni di stress fisico e mentale estremo. Anche grazie al training specifico cui vengono sottoposti gli atleti: «Chiediamo di alternare sessioni pesanti di esercizio fisico con mosse alla scacchiera» dice Volfango Rizzi, presidente di Fisp e allenatore presso la Heracles Gymnasium in via Padova a Milano. «Spesso facciamo ritrovare i pezzi in posizione diversa, per allenare la capacità d’improvvisare».
La consapevolezza di rischiare uno
scacco matto, dicono gli atleti, influisce con forza sulla condotta del match. Il pugile in difetto tenterà con ferocia di chiudere l’incontro per KO, rischiando di scoprire la guardia e commettere scorrettezze. A sua volta, in un circolo vizioso, un dispendio di energie eccessivo porterà scarsa lucidità nel muovere, una volta tornati al tavolo. È per questo che non c’è mai un vincitore annunciato, tra un pugile provetto che sa muovere i cavalli o uno scacchista geniale che sa menare le mani. «Ho imparato ad aspettare almeno un minuto prima di azzardare una mossa» racconta Sergio Leveque da Senigallia, 38 anni e un titolo di campione europeo dei pesi massimi in carica. «L’adrenalina è troppo alta e il sangue sta irrorando tutto tranne il cervello. La prima mossa, puoi starne sicuro, è sempre un regalo all’avversario».