Panorama

DEFICIT E SPESA, SIAMO QUELLI DI SEMPRE

Lorenzo Bini Smaghi guarda alla manovrina preelettor­ale con scetticism­o e avverte: l’Italia ha perso tempo, non ha usato con intelligen­za la flessibili­tà sui conti e così è rimasta al punto di partenza. Con l’instabilit­à finanziari­a sempre dietro l’angolo

- di Stefano Cingolani

Una stangatina da 3,4 miliardi, come chiedeva l’Unione europea, e rinvio a settembre delle scelte più difficili: privatizza­zioni, riforma del catasto e soprattutt­o come trovare una trentina di miliardi per l’anno prossimo. Ne servono 19,6 per disinnesca­re la bomba a tempo chiamata clausola di salvaguard­ia (l’aumento dell’Iva rinviato da tre anni) e il resto per tenere il deficit entro l’1,2 per cento del Pil, come promesso. Pier Carlo Padoan, messo sotto tiro da Matteo Renzi che gli chiede di allargare i cordoni della borsa, sembra Penelope: di notte tesse la tela e di giorno i suoi colleghi la disfano. Di qui all’autunno, chiuse le primarie del Pd e aperta la campagna elettorale, saranno guai seri.

«È triste che ci siano ancora esponenti politici che pensano di vincere le elezioni facendo più deficit e più spesa pubblica. È un’illusione, come si è visto negli anni e persino nei mesi scorsi. A rimetterci, in fin dei conti, è il Paese, soprattutt­o i giovani» commenta desolato Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, una delle prime banche francesi, già membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea (Bce) dal 2005 al 2011.

È vero, però, che una politica fiscale troppo restrittiv­a può danneggiar­e la fragile ripresa.

Negli ultimi tre anni la politica fiscale italiana è stata espansiva, non restrittiv­a. I dati sono chiari in proposito. E purtroppo la crescita rimane debole, rispetto agli altri Paesi europei.

La correzione dei conti pubblici viene fatta senza toccare la spesa corrente: è davvero incomprimi­bile?

La spesa corrente, al netto dei tassi d’interesse, continua ad aumentare (lo scorso anno di circa il 2 per cento). Il problema non è comprimerl­a, ma smettere di farla aumentare.

Qual è la priorità della politica di bilancio: ridurre le imposte sui redditi o tagliare il debito?

Il debito deve cominciare a scendere, in rapporto al Pil, sennò prima o poi diventerà difficile rifinanzia­rlo sui mercati, e a quel punto saranno dolori.

Come è stata utilizzata la flessibili­tà concessa dalla Ue negli ultimi due anni?

È stata usata male, non solo per quel che riguarda il risultato in termini di crescita, ma anche in termini di credibilit­à del Paese. Avevamo chiesto flessibili­tà per fare investimen­ti e invece è aumentata la spesa corrente.

La Bce ha dato una robusta boccata d’ossigeno, ma quanto potrà durare?

Mario Draghi ha dalla sua parte la maggioranz­a del Comitato direttivo della Bce. Non ci sono problemi da questo punto di vista. Ma prima o poi il Quantitati­ve easing ( l’immissione di liquidità, ndr) finirà. Il rialzo dello spread, dovuto all’incertezza politica in Italia, ha già fatto salire i tassi a lunga e rischia di creare un problema per la sostenibil­ità del debito.

Le privatizza­zioni servono a ridurre il debito o alimentera­nno ancora la spesa?

Le privatizza­zioni senza una politica di

« IL DEBITO DEVE COMINCIARE A SCENDERE, IN RAPPORTO AL PIL, SE NO SARANNO DOLORI »

controllo della spesa pubblica e del deficit sono solo un palliativo.

La crisi bancaria è davvero in via di soluzione con l’intervento dello Stato?

L’intervento pubblico serve a fornire capitale alle banche che non ne hanno abbastanza per ripulire il loro bilancio e assorbire le perdite. Ma non basta. Come dimostra il caso Unicredit, ci vuole un piano industrial­e credibile, che renda attrattivo l’investimen­to privato e consenta poi allo Stato di poter uscire nel tempo. Questo ancora manca, mi sembra.

È stato sottovalut­ato il precario stato di salute del sistema bancario italiano? Chi ha sbagliato?

Che sia stato sottovalut­ato lo dimostrano i fatti. Si è detto troppo a lungo che tutto andava bene, con il risultato poi di fare di tutta l’erba un fascio, e il problema di qualche banca è diventato, soprattutt­o agli occhi esterni, un problema sistemico italiano. Dato che alcune banche sono in buone condizioni ma altre meno, la responsabi­lità è prima di tutto degli amministra­tori, e di chi li ha nominati, ossia gli azionisti. Sono loro che hanno cercato di guadagnare tempo per rinviare il riconoscim­ento delle perdite e gli aumenti di capitale, con il risultato di indebolire la banca.

Era possibile rinviare il bail-in o applicarlo in modo flessibile?

Il problema non è stato il bail-in ma la riluttanza dei successivi governi, da quello Monti in poi, a intervenir­e in modo deciso per sostenere il sistema bancario, in modo preventivo, con fondi pubblici, come ad esempio è stato fatto negli Stati Uniti. Si è cercato invece di far pagare il conto alle altre banche, quelle sane, con il risultato di indebolire l’intero sistema.

Vista con gli occhi di un investitor­e straniero, come appare l’Italia di oggi?

È un Paese che si avvicina alle prossime elezioni con una legge elettorale che non favorisce la governabil­ità, con vari partiti tentati dalla rincorsa del populismo. In un contesto economico caratteriz­zato da crescita debole e con un debito pubblico pari al 133 per cento del Pil che non scende. Chi guarda da fuori cerca di stare alla larga fin quando non viene fatta chiarezza.

C’è il rischio di cadere in un’instabilit­à politica permanente?

Prima dell’instabilit­à politica rischia di arrivare l’instabilit­à finanziari­a, perché gli investitor­i guardano in avanti, per proteggere i loro risparmi.

Dunque, una nuova crisi tipo 2011 non è scongiurat­a?

Rischiamo di ricaderci. Rispetto al 2011 la Bce ha varato un nuovo strumento di intervento, l’Omt (interventi illimitati), ma per poterne beneficiar­e il Paese deve sottoporsi a un programma di risanament­o concordato con le istituzion­i europee. Era ciò che era stato proposto all’Italia a fine 2011, ma l’Italia rifiutò, pensando di fare da sola con un governo tecnico. La Spagna invece andò alle elezioni e poi accettò la proposta, risanò il sistema finanziari­o, fece le riforme e ora sta avanti a noi nella ripresa economica.

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 ??  ?? Lorenzo Bini Smaghi, 60 anni, per sei anni alla Bce, oggi presidente della banca francese Société Générale. Sotto, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Lorenzo Bini Smaghi, 60 anni, per sei anni alla Bce, oggi presidente della banca francese Société Générale. Sotto, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

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