Panorama

Qui c’è il tubo ma si va serenament­e al mare

In Puglia continua la battaglia contro il Tap. Eppure sotto le spiagge dell’Emilia Romagna o nel parco del Delta del Po corrono chilometri di infrastrut­ture. Senza disturbare né il turismo né gli equilibri naturali.

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La battaglia in difesa degli ulivi a San Foca di Melendugno, in provincia di Lecce, contro le ruspe del gasdotto Tap è l’ultimo tentativo di bloccare un’opera che, secondo i suoi nemici, provocherà danni irreparabi­li all’ambiente e al turismo. Ma pochi sanno che da anni miliardi di metri cubi di gas arrivano sulle coste italiane attraverso tubi. Anche in regioni ad alta vocazione turistica, come l’Emilia Romagna. O in vicinanze di aree protette come il delta del Po.

Per rendersene conto basta dare un’occhiata alla mappa realizzata dal ministero dello Sviluppo economico che fotografa le installazi­oni per l’estrazione di metano e di petrolio intorno alla penisola. «Nei nostri mari ci sono 136 piattaform­e attive» spiega Ombretta Coppi, responsabi­le degli aggiorname­nti della carta geografica. «La stragrande maggioranz­a si trova in Adriatico ed estrae gas». Queste piattaform­e sono collegate tra di loro e con la costa da oltre 2.400 chilometri di tubi: «Complessiv­amente 11 centrali a terra raccolgono il metano da 102 piattaform­e offshore» precisano all’Assominera­ria. «Le province interessat­e dall’arrivo di questi gasdotti sono otto, da Ravenna fino a Chieti». Tra l’altro, cinque delle località attraversa­te sottoterra dai tubi si fregiano delle Bandiere blu, il riconoscim­ento assegnato dalla Foundation for environmen­tal education alle spiagge con l’acqua più pulita e il miglior servizio offerto.

Nel 2016 sono arrivati dalle piattaform­e offshore sulle coste adriatiche 3,6 miliardi di metri cubi di gas tramite tubi, ma le infrastrut­ture sono in grado di trasportar­ne molto di più: nel 2004 il flusso era stato di 9 miliardi di metri cubi, un po’ meno dei 10 miliardi di metri cubi che dal 2020 transitera­nno dal mar Caspio attraverso il Tap fino alle coste pugliesi.

In più, nell’Adriatico c’è un altro gasdotto, quello che collega il rigassific­atore al largo di Rovigo con la terraferma: questo tubo ha trasportat­o lo scorso anno 5,7 miliardi di metri cubi e ha una capacità di 8 miliardi di metri cubi.

Oltre ad avere un impatto nullo o molto ridotto sulle strutture turistiche, i gasdotti che collegano piattaform­e e terraferma nell’Adriatico non sembrano essere pericolosi: in caso di fuoriuscit­e, il gas si disperde dell’aria (a differenza del petrolio che invece inquina i mari e le coste).

«Non mi ricordo di incidenti seri» dice Alberto Clò, docente di Economia all’Università di Bologna e coordinato­re scientific­o del Rie (Ricerche industrial­i ed energetich­e). «Il problema semmai è un altro: il clima politico in Italia non è favorevole agli investimen­ti nel settore petrolifer­o e del gas. E questo allontana le compagnie straniere provocando un calo di produzione e di ricchezza per il Paese».

A fronte di consumi annui di 70 miliardi di metri cubi, la produzione italiana è stata lo scorso anno di appena 5,5 miliardi di metri cubi: così siamo costretti a importare quasi 65 miliardi di metri cubi, di cui 28 dalla Russia, 19 dall’Algeria e 6,7 dalla Norvegia.

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