Il professore si moltiplica (grazie alle consulenze)
Incarichi lontanissimi dalla didattica universitaria ma molto redditizi. A Napoli un’inchiesta antimafia fa luce sui «lavori paralleli» dei docenti. Ma la mappa si allarga a Roma e Palermo.
Qualcuno l’ha battezzata «la cupola dei prof». Ecco i fatti: il 15 marzo 2017, un’inchiesta antimafia della Procura di Napoli, porta all’arresto di 12 docenti universitari. Molti provengono dalla Federico II, l’ateneo più antico del mondo. Sono accusati di aver pilotato appalti e gare in combutta (anche) con l’immancabile clan dei Casalesi. I titoli accademici hanno spalancato loro le porte di incarichi che non c’entrano con la didattica ma assicurano lauti guadagni, ben maggiori dei pur generosi stipendi da cattedratici. Incarichi cumulabili che sfuggono a qualsiasi tipo di controllo e creano un cortocircuito tra la funzione pubblica (l’insegnamento) e gli interessi privati (la partita Iva).
A dire il vero, un controllo sarebbe previsto, ma è ben poca cosa. Dopo un’autocertificazione, basta l’autorizzazione del rettore e si possono firmare i contratti. «Ogni anno alla Federico II effettuiamo controlli su un campione sorteggiato di docenti e verifichiamo la conformità alla legge delle attività esercitate» spiega a Panorama il rettore dell’ateneo partenopeo e presidente dei rettori italiani, Gaetano Manfredi, che aggiunge: «Vorrei però chiarire che io autorizzo soltanto dal punto di vista amministrativo, non ho potere discrezionale. Le procedure passano direttamente dagli uffici del personale».
Insomma, il rettore può mettere becco poco e
male. È dunque ovvio che da questi controlli sia sempre uscito tutto in regola. Nel 2015-2016 Manfredi ha autorizzato «poche decine» di attività extra-didattiche, mentre le comunicazioni da parte dei docenti, chiamati a svolgere ruoli di breve durata (componenti di com- missioni, formatori) sono state un «migliaio». Aggirare i divieti normativi è infatti facilissimo: è sufficiente frazionare gli incarichi (vietati dalla legge Gelmini per i docenti a tempo pieno) in tante piccole consulenze scientifiche (che sono invece libere).
Realizzare una mappa dei rapporti professionali
dei docenti è dunque molto complicato. La legge e i singoli regolamenti accademici non prevedono archivi centralizzati. È tutto custodito nei fascicoli personali. «È nei dipartimenti che bisogna andare a guardare» racconta dietro la garanzia dell’anonimato un precario della Sapienza di Roma: «i docenti si coprono a vicenda: oggi l’incarico tocca a me, domani a te. E noi, ultima ruota del carro, sgobbiamo una vita per pochi spiccioli sperando nella stabilizzazione». Se un professore ha dieci o cento incarichi lo sanno in pochissimi e fidatissimi.
A meno che, com’è accaduto, non siano le indagini a rivelarlo. Sulla differenza tra consulenza scientifica e attività libero-professionale si è espressa recentemente la I sezione centrale d’Appello della Corte dei conti che ha condannato un professore di ingegneria dell’Università di Salerno a pagare 64 mila euro per danno erariale. Il suo non era un parere o un consiglio teorico ma un contributo teso a «fornire risoluzione a problematiche concrete». Quindi, un lavoro vero e proprio. La stessa sezione si è occupata pure della Parthenope di Napoli per una storia di affidamenti non autorizzati o, comunque, incompatibili a dieci docenti. Prosciogliendo tutti per prescrizione, le toghe contabili hanno comunque invitato l’ateneo ad attivare l’azione «di ripetizione dell’indebito oggettivo» per far restituire ai professori quanto percepito (oltre 1,1 milioni di euro). Il conto per
il rettore Alberto Carotenuto ammonta a 122 mila euro.
Ancora: a Palermo, il professore Giuseppe Giambanco, indagato nell’inchiesta sugli appalti pilotati all’aeroporto Falcone e Borsellino, ha percepito 265 mila euro per consulenze dalla Gesap, la società che gestisce lo scalo, pur insegnando a tempo pieno Scienze delle costruzioni (in 11 anni ha guadagnato oltre 460 mila euro di stipendi). Giambanco sarebbe stato inoltre l’amministratore occulto di un’azienda edile intestata alla mamma 89enne della quale, «con vischiosa attività» scrive il giudice, si occupava di procacciare gli appalti. Tutto regolare? Lui giura di aver avuto le autorizzazioni. Eppure l’articolo 98 della Costituzione è chiaro: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».
Ci sono poi casi in cui il problema non sono le autorizzazioni ma la moltiplicazione degli impegni. Come quello della Fondazione-Istituto Banco di Napoli. Al vertice ci sono due docenti universitari. Il presidente è Daniele Marrama, stimato avvocato amministrativista, docente a tempo definito a Scienze politiche presso la Federico II e presidente sia della Banca del Sud sia della Banca di sviluppo regionale. Il vice è Marco Musella, suo direttore di dipartimento e docente a tempo pieno di economia politica. I due devono coordinare l’attività della Fondazione, che gestisce il più grande archivio bancario al mondo e ha come settori di intervento «quelli della ricerca scientifica e tecnologica, dell’educazione e della formazione, dell’arte e dei beni culturali, del volontariato e della filantropia», oltre a preparare le lezioni, organizzare gli appelli, condurre gli esami, seguire le tesi. Insomma, roba da Superman... (Simone Di Meo)