L’inaffidabilità dei 5 Stelle
Da un po’ di tempo i parlamentari grillini non parlano più di elezioni anticipate. E se lo fanno, lo fanno con prudenza. Quasi con circospezione. Il motivo è semplice ed è tipico di questa strana galassia, dove il vecchio slogan fortunato «una testa un voto» è stato sostituito da un altro, di sicuro più crudo, ma anche più vero: «Una testa non conta nulla, ma neppure mille». Già, perché tutte le decisioni, le strategie, le candidature ormai viaggiano sulla tratta Genova-Milano, cioè tra la villa di Beppe Grillo e la sede della Casaleggio associati. Con il comico prestato alla politica, sempre più furioso e sempre più disinteressato. E con Davide Casaleggio, figlio del fondatore, sempre più sulla rampa di lancio, circondato dalla diffidenza dei leaderini di questi anni che ormai contano poco e niente. Motivo? Semplice, i più attenti della Casaleggio associati segnalano che l’onda grillina sta tornando indietro, nella risacca. In questa situazione nessuno degli abitanti del «pianeta Grillo» è più sicuro. Non lo sono i candidati a sindaco (Genova insegna). Non lo sono i parlamentari, sia quelli espulsi in massa al minimo stormir di fronde (gli ultimi sono i siciliani), sia quelli che non hanno nessuna certezza di essere ricandidati. Non lo sono i «falchi» guidati da Roberto Fico, che ogni volta che aprono bocca ricevono ceffoni. Non lo sono più neppure i nomi di grido, gli intoccabili di una volta come Gigino Di Maio. Ormai alla sua candidatura a premier non crede più nessuno. Il vertice del movimento è deluso: passi la gaffe con cui ha esportato Augusto Pinochet in Venezuela, ma agitare la rivolta di massa, proprio lui che era stato scelto per il «doppiopetto», ha imposto a tutti un bagno di realismo. Così a Genova e a Milano hanno cominciato a guardarsi intorno. Hanno corteggiato in maniera spasmodica un restio Piercamillo Davigo, ma in generale tutta la parte «più dura» della magistratura. «Delle facce in Parlamento del M5s» spiega Paolo Naccarato, gran conoscitore del Palazzo «ne vedrete poche nella prossima legislatura. Le liste grilline saranno inzeppate di magistrati e di teorici del giustizialismo. Ho notizie certe in proposito». Ma l’apertura verso quei mondi in realtà è solo un palliativo. Il problema che il M5s si trova ad affrontare è il passaggio a una fase più matura. In un Paese in cui ogni giorno migliaia di persone sono a rischio povertà, e ancora di più sono quelle affamate di lavoro, la proposta della «decrescita felice» fa ridere. Se a questo si aggiunge che i 5 Stelle sono diventati i difensori degli stipendi delle star Rai, certi ragionamenti diventano irritanti. Per non parlare dell’esperienza della giunta di Virginia Raggi, che sta mettendo in evidenza il tallone di Achille del movimento: l’assenza di competenza e di capacità nel suo gruppo dirigente. L’entrata in campo del giovane Casaleggio e il nuovo stile inaugurato nel convegno a Ivrea sono i primi, timidi tentativi di recuperare il gap. Un gap che mette a nudo i limiti del movimento che potrebbero trasformarsi in ostacoli letali. Anche l’idea di lanciare Casaleggio da Lilli Gruber, coprendo la confusione propositiva con ospiti compiacenti, mostra quanto sia difficile passare dalla fase «protestataria» a quella di «governo». Difficoltà quasi insormontabile che solo un Matteo Renzi disorientato non coglie, tanto da immaginare che Casaleggio possa diventare il principale competitor delle prossime elezioni: l’ex-segretario del Pd ha addirittura messo in piedi un team per studiarlo. Meno preoccupato è, invece, il Cav che di meteore ne ha viste passare tante. Nel suo cassetto c’è uno studio approfondito su come l’opinione pubblica si racconta il fenomeno Grillo: ebbene, misurando proposte e leadership delle diverse formazioni politiche sulle emergenze che preoccupano gli italiani (economia, lavoro, sicurezza, immigrazione, etc.), il M5s non è mai considerato l’interlocutore più affidabile. Insomma, Grillo va bene se si vuole indirizzare un «vaffanculo» al Palazzo, ma non per governare il Paese.