Il nuovo mondo di LaChapelle
Il fotografo mistico, mentre a Venezia espone l’inedita serie di scatti New world, rivela i suoi luoghi di culto e gusti. Dalla casa alle Hawaii ai sapori tex-mex.
Scortato dall’amica Pamela Anderson (quella della serie anni ‘80 Baywatch), rediviva e strizzata in un tubino rosa, giunge davanti alla veneziana Casa dei Tre Oci che ospita la sua retrospettiva Lost + Found, pronto per offrirsi ai paparazzi schierati. David LaChapelle si dice abbia avviato la carriera di fotografo grazie a Andy Warhol, il quale con lui s’espresse all’incirca così: «Penso che dovresti diventare modello, però puoi fare quello che vuoi». Si presenta con un braccialetto che ha incisa la scritta «Love» e un fare distratto ma non privo di senso dell’umorismo. Se gli si chiede con chi vorrebbe passare una serata, senza esitazione replica: «Oh, ci sono diverse persone con cui vorrei trascorrere la serata, ma non credo avremmo tempo per le foto», generando nel giovane assistente latino un ghigno di complicità. La sua nuova serie New World (immagine in alto), è intrisa di natura, misticismo, domande sulla società; omessi invece molti pezzi iconici legati al celebrity system, perché il paradiso perduto che insegue ora lo ha allontanato da quel chiasso mediatico.
Ha trovato il suo giardino dell’Eden?
Sull’isola di Maui, alle Hawaii, ho una fattoria. 11 anni fa mi scoprii stanco e ingrassato, così diedi un taglio alla mia vecchia vita e ci andai a vivere. È da allora che dico basta ai lavori con le riviste.
Oggi realizza soltanto opere dettate da nuove aspirazioni. Qual è l’ultima?
Che le religioni possano tutte confluire come fiumi nello stesso mare.
La sua più grande paura in questo momento?
Io ho la fede, perciò non ho grandi paure.
Molti suoi lavori parlano di trascendenza. Se immagina di reincarnarsi in un animale, quale sarebbe?
Ora non lo so, ma ricordo che da piccolo volevo essere un coniglio.
Il viaggio che le ha cambiato la vita?
Nel 1987 a Roma. Il primo volo preso per lavoro, fui spedito da Vogue Germania per scattare ritratti di attrici italiane, tra cui Alessandra Mussolini, che era ventenne e non una grande attrice.
Il luogo della nostalgia.
L’East Village a New York, un tempo era il mio parco giochi.
Che rapporto ha con gli oggetti?
Non sono attaccato alle cose.
In una delle sue foto compaiono opere di Jeff Koons, Damien Hirst, Takashi Murakami. Trova sia la produzione artistica che meglio descrive il nostro tempo?
Penso che oggi le opere d’arte siano soprattutto beni di consumo molto costosi per collezionisti molto ricchi, e questo è certo lo specchio del mondo consumistico e capitalistico in cui viviamo.
Mi fa qualche esempio?
Non occorre guardare molto lontano, qui a Venezia.
La cosa più bella vista in Laguna?
Il giardino dietro all’hotel dove ho dormito, il Bauer Palladio in Giudecca.
Ama la natura, si dedica anche al giardinaggio?
Sì, coltivo gelsomini, per il loro profumo; mi piacciono molto anche i gigli e la passiflora. E le rose mi ricordano mia mamma: aveva un grandissimo roseto in Connecticut.
La stanza d’albergo più affascinante che ha scoperto di recente?
All’Hacienda del Carmen di Guadalajara, Messico. Mantiene l’arredamento originale cinquecentesco della dimora, niente internet né tv, l’unica lingua parlata è lo spagnolo, cucina fatta in casa.
Il suo piatto preferito qual è?
Gli avocado della mia fattoria.
Avrà tuttavia un ristorante prediletto.
El Coyote a Los Angeles, è messicano.
Chi vorrebbe seduto accanto alla cena dei sogni?
Il mio sogno, irrealizzabile purtroppo, sarebbe il poeta William Blake.
Il film che non si stanca di rivedere.
Ieri sera per la quinta volta ho guardato La primavera romana della signora Stone; è tratto da un romanzo di Tennessee Williams. Libro preferito? Your needs met di Jack Addington. Un consiglio a un giovane artista. Spegni il cellulare e ascolta la tua voce interiore.