Panorama

Visto da Xi

Passo dopo passo, il presidente cinese si accredita come esempio di moderazion­e in politica estera e come campione del libero commercio mondiale. Un contraltar­e strategico a Donald Trump adesso che si aggrava la crisi nordcorean­a.

- di Vittorio Emanuele Parsi

Dopo la Russia la Cina? Pechino sta reagendo in modo articolato all’invio del gruppo navale americano guidato dalla portaerei Carl Vinson verso le acque della Corea del Nord. Non appena il presidente Xi Jinping ha lasciato la Florida, i media cinesi hanno iniziato un fuoco di fila di critiche nei confronti delle scelte recenti dell’amministra­zione Trump.

Nel mirino è finito innanzitut­to l’attacco missilisti­co sulla Siria, ordinato come ritorsione al presunto impiego delle armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad. Si tratta di una reazione tutto sommato standard (la «non ingerenza negli affari interni» degli altri Paesi rappresent­a un autentico mantra per Pechino); il tono questa volta nascondeva però malamente l’irritazion­e per la concomitan­za tra il raid americano e la presenza di Xi negli Stati Uniti. Ma il piatto forte della polemica è stato naturalmen­te offerto dall’invio della portaerei americana nelle acque davanti alla Corea.

Non è un mistero che la Cina sia sempre più insofferen­te rispetto alla presenza militare americana in quello che considera il «suo» mare. Nel corso degli ultimi anni, Pechino ha avanzato rivendicaz­ioni territoria­li nei confronti di una serie di isole e atolli dal Mar del Giappone al Mar Cinese Meridional­e.

Si tratta di una politica irritualme­nte

muscolare e decisament­e di rottura forte con il passato. Il fatto poi che il gruppo navale della Vinson effettuerà manovre congiunte con la Marina imperiale nipponica aggiunge un ulteriore elemento di nervosismo. Così come non sono piaciute le parole del segretario di Stato americano Rex Tillerson, che ha esplicitam­ente ammonito la Cina di «tenere a bada la Corea del Nord, se non vuole che siano gli Stati Uniti a farlo».

Il paradosso è che anche le autorità cinesi appaiono (e sono) preoccupat­e per le continue provocazio­ni nucleari di Kim Jong-un. E fronteggia­no un classico dilemma strategico: da un lato non vorrebbero essere inguaiati dal loro intemperan­te alleato, dall’altro non vogliono perdere la faccia di fronte al rude monito di Washington.

Proprio negli anni di Xi, la politica estera cinese si è fatta molto più intraprend­ente e più frequente il ricorso al nazionalis­mo. In parte questo può essere spiegato dalla sensazione di essere ormai lanciati verso il sorpasso nei confronti degli Stati Uniti: la Cina vuole accreditar­si come una grande potenza di dignità e prestigio (se non ancora di capacità) in nulla e per nulla inferiore all’America. Se si guarda per esempio alle fotografie del meeting di Mar-a-Lago pubblicate dai media cinesi, non può non colpire come in

tutte quelle proposte Xi letteralme­nte troneggi su Trump (interessan­te, anche da un punto di vista della forza dell’immagine, l’analisi fatta online dal New York Times: https://www.nytimes.com/2017/04/08/ world/asia/china-trump-xi-jinping.html). Nella stessa direzione andavano i commenti, orientati a marcare la differenza tra la saggezza «adulta» del presidente cinese e il «dilettanti­smo» di quello americano che flette i muscoli per mascherare malamente le sue fragilità.

Del resto anche nell’ormai famoso «discorso di Davos», del gennaio scorso, Xi aveva calibrato con cura le parole, per attestarsi come il vero campione del libero commercio internazio­nale e della globalizza­zione a fronte di un Trump critico verso entrambi: una curiosa inversione di ruoli rispetto «alla politica della porta aperta», imposta da Gran Bretagna e Stati Uniti alla Cina durante «il secolo delle umiliazion­i» (1848-1948).

Intanto le autorità cinesi hanno iniziato un’azione di pressione sulla Corea del Nord, in parte attraverso dichiarazi­oni che la richiamano a un agire più responsabi­le, in parte attraverso il rallentame­nto degli scambi commercial­i ed energetici. Vedremo che frutti daranno: ma se il tempo davvero scarseggia, i cinesi sanno anche che troppo a lungo hanno nicchiato e loro per primi non hanno assunto una politica più severa e responsabi­le verso Pyongyang. C’è pero anche una spiegazion­e domestica, probabilme­nte più importante, che sta dietro il cambio di politica cinese di questi anni e il suo maggior ricorso ai toni del più acceso nazionalis­mo. Da alcuni anni ormai la Cina è consapevol­e della necessità di incrementa­re la domanda interna se vuole mantenere tassi di crescita sufficient­i a garantire la quiete sociale. Gran parte della legittimit­à del ruolo guida del Partito comunista (e di quello dell’Esercito popolare di liberazion­e) si gioca su questo.

Ma la crescita della domanda interna implica lo sviluppo del mercato e della sua effettiva concorrenz­ialità: tutte cose che stridono con un sistema di rappresent­anza fondato sul monopolio politico del Partito comunista e che potrebbero alimentare una domanda di pluralismo politico e di responsabi­lità dei governanti verso i governati che è strisciant­e ma crescente. Ecco allora l’importanza di ribadire, a un tempo, il crescente prestigio della Cina e l’eterno tentativo di soggiogarl­a da parte delle potenze occidental­i.

Quella che Xi sta giocando non da ieri è una partita per la sopravvive­nza del sistema, in continuità con la lezione del padre, che fu l’architetto delle «zone economiche speciali» da cui prese avvio la rivoluzion­e di Deng Xiaoping e su cui nacque il sistema attuale, che ha reso tra l’altro la famiglia Xi una delle più ricche del paese. Fatto, quest’ultimo, che sottolinea come l’intreccio tra potere e ricchezza sia straordina­riamente stretto in Cina. Non poi così diversamen­te da quanto avviene nella Russia di Vladimir Putin (ma la tendenza all’oligarchiz­zazione riguarda purtroppo anche i nostri sistemi liberaldem­ocratici).

E in effetti, analogamen­te a Putin, Xi è estremamen­te rispettoso delle tradizioni religiose del paese, della cui potenziali­tà positive per il regime iniziò ad apprendere quando era un giovane funzionari­o comunista in missione nella periferica Zhengding. Sua è una frase che la dice lunga sulla sua idea della relazione tra religione, nazione e partito: «Se il popolo perde la fede, la nazione perde la speranza e il Paese la forza». Decisament­e molto lontana dalla valutazion­e marxiana della «religione, oppio dei popoli».

 ??  ?? Il presidente statuniten­se Donald Trump e quello cinese Xi Jinping nella tenuta Mar-a-Lago, in Florida, il 7 aprile. A destra, il presidente cinese con il padre Xi Zhongxun, la moglie e la figlia, in una foto d’archivio.
Il presidente statuniten­se Donald Trump e quello cinese Xi Jinping nella tenuta Mar-a-Lago, in Florida, il 7 aprile. A destra, il presidente cinese con il padre Xi Zhongxun, la moglie e la figlia, in una foto d’archivio.
 ??  ??
 ??  ?? In questa elaborazio­ne grafica di Panorama, la foto di Xi Jinping in piazza Tienanmen, a Pechino.
In questa elaborazio­ne grafica di Panorama, la foto di Xi Jinping in piazza Tienanmen, a Pechino.
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy