La nevrosi di cui soffre Renzi
L’ex presidente del Consiglio sembra non aver capito perché è stato sconfitto al referendum. Invece di utilizzare il principio di mediazione, seguendo una forma di «coazione a ripetere» si ostina a scagliarsi contro tutti. Con una prospettiva quasi certa:
Sigmund Freud definì «coazione a ripetere» quella forma di nevrosi che anziché ricordare e riconoscere il trauma subito, per superarlo lo ripete all’infinito. Ben prima di Freud gli antichi avevano decretato che sbagliare è umano, perseverare nell’errore diabolico. L’errore che Matteo Renzi continua a ripetere è quello della superbia, che gli fa rimuovere il trauma del 4 dicembre e gli errori che l’hanno preceduto. Allora affrontò il referendum come fosse un’elezione politica trattando come «accozzaglia» la maggioranza di italiani visibilmente contraria alla sua riforma e a lui. All’indomani del referendum, costretto dalla decenza a dimettersi da premier, contro ogni logica cercò di correre alle urne alla ricerca di un’immediata rivincita. Ricondotto da Sergio Mattarella a più miti consigli ha continuato a volere elezioni anticipate ad aprile, poi a giugno, poi a settembre. Nel frattempo, fotocopiatosi nel ministero e nei ministri di Paolo Gentiloni, si è impegnato a guidare il governo dal partito. Ha imposto scelte e indirizzi o paralizzato l’azione dell’esecutivo secondo personalissime valutazioni - per esempio attizzando sospetti e ostilità contro i ministri tecnici colpevoli di dover far quadrare entrate e uscite. Intanto si ricandidava alla segreteria e alle primarie del Pd deciso a liquidare gli oppositori interni.
Come tutti hanno capito, la scissione di Pierluigi
Bersani, Roberto Speranza, Enrico Rossi è il frutto di un clima interno intossicato da risentimenti personali che hanno scavato un fossato ben più profondo delle divergenze politiche. Ancora una volta la coazione a ripetere ha portato Renzi a inscenare una sfida da «solo contro tutti». Ancora una volta, persa la lucidità, è riapparsa l’ostinazione cieca di chi anche contro i propri interessi crede che comandare significhi solo impartire ordini e non anche mediare, smussare, concedere qualcosa per ottenere l’essenziale. Ancora una volta Renzi sembra ignorare che la possibilità di una politica comincia quando si depongono le armi e si comincia a negoziare.
Ancora adesso, poiché non ricorda, Renzi continua
a ripetersi. Non pensa a come comporre una futura maggioranza, affronta le elezioni come se lui e il suo partito potessero vincerle da soli. Se ricordasse si accorgerebbe che il Pd, dalle europee del 2014 ha perso circa un terzo dei suoi elettori e non ha più uno straccio di alleato. Il partito di Alfano che non-si-sa-più-nemmeno-come-si-chiami risulta «non pervenuto» nelle rilevazioni demoscopiche. Analogo destino incombe sui transfughi di Scelta Civica e sui seguaci di Denis Verdini. Infine, la scissione di Bersani - in sé davvero poca cosa - e la diaspora dei partitini di sinistra rende aleatoria l’ipotesi di una maggioranza «progressista». Dunque, se, come sembra, la legge elettorale sarà proporzionale con modesto premio a chi arriva primo, cosa dobbiamo aspettarci? Se il premio andrà al primo partito lo prenderà Beppe Grillo. Se andrà alla coalizione lo prenderà il centrodestra. In entrambi i casi al Pd non resterà che sperare che Grillo candidi Virginia Raggi premier o che Matteo Salvini «suicidi» il centrodestra.