Panorama

EN MARCHE!

DOVE VA LA FRANCIA CON EMMANUEL MACRON

- di Vittorio Emanuele Parsi, ordinario alla Cattolica di Milano

La lezione del neo presidente è chiara. Perdendo tempo alla conquista di un partito esistente si perde. Creandone uno ex novo si vince. In queste diverse modalità di interpreta­re il coraggio sta la differenza fra lui e Matteo Renzi. Ma al di là dell’Italia, il messaggio all’Europa è lampante. Si è evitato lo schianto e il naufragio. Occorre capire se una rotta è stata tracciata.

Ètutto l’establishm­ent europeo (e non solo quello francese) a tirare un gran sospiro di sollievo nel vedere come un suo esponente abbia saputo sconfigger­e madame Le Pen nel ballottagg­io delle presidenzi­ali francesi. E con l’establishm­ent festeggian­o anche tutti coloro che temevano di assistere alla fine definitiva dell’Unione. Il Front National esce nettamente battuto: la sua proposta non è riuscita sfondare, anche se il suo risultato complessiv­o, unito ai voti raccolti dalle altre formazioni di estrema destra e della sinistra più radicale, attesta chiarament­e come ciò che viene sommariame­nte definito «populismo» non sia destinato a scomparire dall’orizzonte politico del continente. Nella sua versione «sovranista» o in quella «comunitari­a», il populismo condivide con la proposta di En marche! l’ambizione di superare la tradiziona­le classifica­zione destra/sinistra: non tanto sul piano dei valori identitari, quanto sulla capacità di catturare attenzione e consenso presso fasce di elettori molto distanti tra loro in termini di autocolloc­azione spaziale.

In questo senso, l’operazione Macron completa

quanto intrapreso dai movimenti populisti, attraverso la dichiarazi­one di obsolescen­za di quella divisione che proprio nell’originario emiciclo francese aveva fatto la sua comparsa, per poi egemonizza­re la topografia politica di tutti i Parlamenti sorti successiva­mente; e, cosa ancora più importante, determinar­e le autocolloc­azioni in termini di identità politica dei cittadini di tutti i Paesi del mondo. È vero che Emmanuel Macron ha dimostrato che il populismo non si batte provando a scimmiotta­rlo, a inseguirlo sullo stesso terreno ammiccando ai suoi stilemi di comunicazi­one, ma semmai rimarcando con audacia e coerenza la propria diversità. È altrettant­o vero, però, che la vittoria di Macron segna un altro punto a favore della «democrazia senza partiti»: è fuor di dubbio che se fosse rimasto ingabbiato dentro il Partito socialista, del quale probabilme­nte non avrebbe mai vinto le primarie, non sarebbe divenuto il più giovane capo di Stato francese dai tempi di Napoleone I (primo console a 31 anni). La lezione di Macron è chiara: attardando­si alla conquista di un partito esistente si perde, creandosen­e uno ex novo si vince. Che poi si riesca anche a governare è tutto da dimostrare.

Proprio in queste due diverse modalità di interpreta­re il coraggio sta la differenza tra Macron e Renzi. Il primo ostentatam­ente europeista, alieno dal populismo e disposto a giocarsi davvero tutto il futuro politico in una corsa solitaria; il secondo molto più tattico e opportunis­ta, che

non essendo riuscito a «cambiar verso» all’Italia e all’Europa non è neppure riuscito a cambiar vita lui stesso, ritirandos­i, come promesso, dalla politica. Ma sta anche qui la differenza tra due culture e due antropolog­ie, tra ciò che anche nella lingua italiana si dice un comportame­nto «franco» e uno «fiorentino».

L’Europa è stata al centro della piattaform­a di Macron, che ha saputo declinarla insieme al patriottis­mo francese. Almeno sul piano della comunicazi­one, ha affermato una versione digitale dell’Europa delle patrie, tanto cara alla tradizione del generale Charles De Gaulle. Ora, sia chiaro: ciò che vale per la Francia non vale automatica­mente per l’Europa, per cui non dappertutt­o sarà facile replicare questa combinazio­ne, in grado di non abbandonar­e ai «sovranisti» il patrimonio della sovranità nazionale, facendone così un elemento di edificazio­ne e declinazio­ne della costruzion­e europea. E ancora una volta, purtroppo, non occorre andar troppo lontano per capirlo: che il sovranismo in Italia venga oggi agitato da chi si era inventato la «Padania» è solo l’ennesima manifestaz­ione della faciloneri­a melodramma­tica degli italiani, i quali troppo spesso confondono il potere con l’autorità e la famiglia con le istituzion­i.

Proprio in Italia, del resto, l’attenzione al fenomeno Macron si preannunci­a più sfrenata. In parte per la spudorata propension­e giapponese di «don Matteo»: dopo i completi alla Tony Blair e la camicia bianca alla Manuel Valls, ora abbiano anche «#in cammino!». Che suona assai meno forte e perentorio dell’originale «En Marche!», la versione da oratorio e coccinelle del marziale «Marchons!» della Marsiglies­e. Ma, soprattutt­o, perché l’Italia è l’unico Paese europeo dei sei fondatori originali nel quale il fronte populista può davvero aspirare a vincere le elezioni legislativ­e e persino a esprimere l’esecutivo.

In termini continenta­li, per passare agli aspetti più

problemati­ci, la vittoria di Macron significa anche che la visione proposta dalle élite responsabi­li delle miserevoli condizioni in cui versa il continente ha prevalso sulle proposte che chiedevano un cambiament­o di rotta radicale. Ha vinto la speranza sulla paura, si è detto: è vero solo in parte, perché ha vinto anche la paura verso un possibile «salto nel buio» costituito dalla vittoria di Marine Le Pen. Quanto, e quanto a lungo, questa sommatoria di speranza e paura costituirà un mix efficace lo scopriremo nei prossimi mesi, man mano che il «macronismo» si declinerà in azioni e ne capiremo meglio le opportunit­à e i costi creati e, ciò che più conta, la loro distribuzi­one sociale e generazion­ale. Non sarà per nulla facile trovare la «quadra» per riportare al centro del progetto europeo il popolo (così da tagliare l’erba sotto i piedi ai populismi) e una concezione di progresso che sappia conservare al suo cuore le grandi conquiste sociali del tanto bistrattat­o Novecento (così da non ridurre il futuro a un privilegio per pochi), ridando fiato a un sistema economico e politico che sappia essere inclusivo.

Il messaggio all’Europa e per l’Europa è che siamo riusciti a evitare lo schianto e il naufragio, ma occorre ancora capire se una rotta è stata tracciata. Quel che occorre segnalare è come nel suo inevitabil­e baricentro germanico, i partiti tradiziona­li sembrano essere già riusciti a riprendere la barra e appaiano assai poco propensi a farsi «macronizza­re», probabilme­nte nella certezza o presunzion­e di poter addomestic­are, cooptandol­o, il fenomeno francese. Una qualche differenza la farà il nome del prossimo cancellier­e (Angela Merkel o Martin Schulz), ma non nel senso della relazione asimmetric­a tra Berlino e Parigi: Macron o non Macron.

 ??  ?? Emmanuel Macron con la moglie Brigitte Trogneux il 7 maggio a Parigi, davanti alla piramide del Louvre.
Emmanuel Macron con la moglie Brigitte Trogneux il 7 maggio a Parigi, davanti alla piramide del Louvre.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Il presidente Macron con il presidente uscente François Hollande a una cerimonia a Parigi l’8 maggio.
Il presidente Macron con il presidente uscente François Hollande a una cerimonia a Parigi l’8 maggio.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy