I conti pubblici non tornano ma è sempre colpa della Ue
Bini Smaghi nel suo nuovo libro attacca chi usa Bruxelles come capro espiatorio per mascherare il fallimento nel risanare il Paese e fare le riforme. orme.
Angelo Panebianco e Matteo Salvini sono divisi da tutto o quasi, tranne che dalla metafora del cetriolo. Sì, per entrambi l’immagine più eloquente dell’Unione europea e delle sue assurdità è il regolamento che stabilisce dimensioni e forma dei cetrioli: cinque pagine fitte di norme. Eppure né il politologo liberale né il politico leghista si sono accorti che gli Stati Uniti hanno un regolamento simile ben più dettagliato, in vigore fin dal 1985: un manuale di 14 pagine con tanto di immagini, così nessuno si può sbagliare. Mal comune di burocrazie che disprezzano il mercato? Piuttosto l’esigenza di mettere ordine nella giungla dei cetrioli, perché ogni Stato e ogni produttore di qua e di là dall’Atlantico vorrebbe imporre il proprio standard.
Lorenzo Bini Smaghi, economista, presidente di Société Générale, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea dal 2005 al 2011, usa questa parabola per mostrare che La tentazione di andarsene, come ha intitolato il suo ultimo libro, è ben più profonda di un’ordinaria protesta contro la stupidità delle élite. Le ragioni sono molte. Come ha scritto l’economista Dani Rodrik, è diventato impossibile combinare globalizzazione assoluta, sovranità nazionale e democrazia, soprattutto dopo la lunga crisi cominciata nel 2008 alla quale l’Ue ha dato una risposta tardiva e per lo più ispirata da interessi nazionali. La Grecia è stata la Lehman europea, e solo nel 2012, con l’annuncio di Mario Draghi che la Bce avrebbe fatto tutto ciò che era necessario per salvare l’unione monetaria, i mercati hanno cominciato a prendere sul serio la volontà di reagire.
Oggi la sorte della Ue si gioca alle urne come in Francia, ma il futuro dipende in particolare da due Paesi per molti versi agli antipodi: Germania e Italia. Il primo risparmia troppo e investe poco, il secondo s’indebita e perde competitività. Perché l’Unione ritrovi slancio e convinca tutti che vale la pena stare insieme, tedeschi e italiani debbono risolvere i loro problemi. Roma e Berlino si accusano a vicenda, però la tentazione di andarsene, dall’Europa e dall’euro, è più forte in Italia, secondo Bini Smaghi, perché le classi dirigenti e i governi hanno usato Bruxelles come capro espiatorio per mascherare il loro fallimento nel risanare le finanze pubbliche e riformare il Paese.
Il giudizio è netto. Nonostante 60 miliardi risparmiati ogni anno sugli interessi dei titoli di Stato, il debito continua a salire, la crescita langue e la produttività peggiora trascinando con sé il reddito pro capite e il benessere collettivo. La rigidità dell’euro ha le sue colpe, così come il patto di stabilità? Eppure con le stesse regole, la Spagna che stava peggio dell’Italia nel 2008, ha reagito molto meglio. E l’austerità? Non s’è vista negli ultimi tre anni in cui la spesa pubblica corrente ha continuato a crescere. Le responsabilità ricadono anche sugli imprenditori e sui sindacati, non solo sui politici. Ma sono tutte italiane, su queste siamo sovrani al 100 per cento.
Nessun Paese può da solo risolvere i propri problemi. Di qui l’esigenza di rafforzare l’Unione, spiega l’autore. La Germania deve capire che la sua politica mercantilistica è un ostacolo serio, ma il modo migliore per convincerla è dimostrare che l’Italia non è più l’anello debole che può far saltare l’intera catena. (Stefano Cingolani)