Vite da baby gang e da romanzo
Simone Di Meo svela la genesi di Gotham city, libro dove la fantasia è amara realtà.
Fu quando un tipetto allampanato entrò dal barbiere e urlò al giovane, che lavorava di rasoio attorno alla mia giugulare, che sentii per la prima volta il suo nome. « Hanno sparat ‘o pipistrello, curre... ». Il «pipistrello» abitava nei Quartieri Spagnoli, il dedalo di vicoli a ridosso di Via Toledo. E a 16 anni era un killer consumato dalla cocaina e dalla paura di finire come le sue vittime: con tre colpi di pistola in petto e due alla testa. Usciva solo di notte, armato di revolver: per questo lo chiamavano il «pipistrello».
Mi interessai alla sua storia e a quelle dei suoi amici. E dei suoi nemici. Scoprendo, poco a poco, quel che cresceva nelle viscere dei quartieri-ghetto del centro storico e delle periferie. Una nuova genìa di criminali pronti a prendere il posto dei vecchi camorristi sepolti da ergastoli o rinchiusi in bare di zinco. Delinquenti con la faccia da bambini e il grilletto fin troppo facile.
Per scrivere Gotham City non sono state sufficienti le carte giudiziarie, che pure hanno scandagliato quest’abisso di disperazione e di degrado, ma ho voluto incontrare e intervistare i kapò che si atteggiano a capi. Il romanzo è la storia di un gruppo di cinque amici che prendono il potere a Forcella, il rione dove Diego Armando Maradona andava a brindare con i fratelli Giuliano agli scudetti azzurri. Aprono piazze di spaccio, organizzano le ronde per la raccolta del racket, immaginano un futuro di potere, donne, successo e soldi. Non hanno pietà. Trasudano odio, vendetta, violenza. Sono atomi che collidono ed esplodono liberando energia cattiva. Si autodistruggeranno dopo aver distrutto le vite degli altri.
Spesso erano i capi delle baby gang a volermi rivedere per aggiungere un dettaglio, per spiegare meglio un concetto espresso in un precedente incontro. Un tale, mezzo folle, mi rivelò il sogno di rubare la «Madonna con la pistola», l’unica opera italiana di Banksy che si trova in piazza Gerolomini. Chissà dove aveva letto che il dipinto del writer inglese valeva un milione di euro. Un altro lo vidi impugnare lo smartphone come una pistola a tamburo facendo scorrere i frame di un video porno a cui aveva partecipato la figlia di un malavitoso. Era la sua arma di ricatto se il papà non si fosse piegato e fatto da parte. E poi mi confidarono le storie del sicario obeso che viveva col terrore delle mazzate di mammà; dell’avvocato-spione con la passione per il poker; del poliziotto che pagava i confidenti con i soldi del papà milionario; della diciottenne che si fidanza col fratello del suo ex compagno, ammazzato nella faida; dell’orologio da 500 mila euro rapinato a un ricco uomo d’affari e offerto in pegno al padrino che allevava piranha. Storie e personaggi che starebbero bene in un fumetto noir, se non fossero reali. Perché Napoli è la città che più assomiglia, oggi, alla Gotham City di Batman. Ma, purtroppo, senza Batman.