Panorama

Il senso del rugby per l’amicizia vera

Solidariet­à, carattere, goliardia. E il gioco di squadra per eccellenza capace di far brillare la parte migliore di un uomo anche quando diventa adulto... È il cuore del nuovo romanzo Semplice di Giorgio Terruzzi, una parabola su questo sport dove convivo

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Sei ragazzini cominciano a giocare insieme. Stessa squadra, una passione comune e fresca. Crescono, attraversa­no l’adolescenz­a condividen­do tutto, sviluppand­o una goliardia travolgent­e, addirittur­a pericolosa. Una fratellanz­a totale. Per giocare, trattare le ragazze, bere, osservare se stessi e gli altri. Sino a quando una tragedia li colpisce come un’ustione. Si dividono, diventano adulti, qualcuno fugge, altri si sposano, qualche altro avverte i sintomi della solitudine. Sino a quando, a distanza di molti anni, una strana coincidenz­a li richiama, li mette di nuovo vicini. Per compiere un gesto necessario e per comprender­e quanto una amicizia autentica, quell’amicizia così profonda che riusciamo a condivider­e solo in un’età tenera e fresca, resista al tempo. Riuscendo a far brillare ancora la parte migliore di ciascuno di loro.

È questa, in estrema sintesi, la vicenda che racconto in Semplice, un romanzo ispirato in parte a una storia vera, vista da vicino, sul campo dell’Associazio­ne Sportiva Rugby Milano.

Il titolo Semplice appunto, lo devo a una frase pronunciat­a da Tonino Guerra, il grande sceneggiat­ore e poeta romagnolo, durante uno dei nostri incontri a Pennabilli: «Quando due persone si vogliono bene c’è poco da dire. È tutto molto semplice». Mi è sembrata utile ed emblematic­a per cercare di descrivere l’amicizia intesa come senso di appartenen­za, come sostegno reciproco, il sale della vita, qualcosa che, appunto, non muore mai. E che ci obbliga, spesso, a una onestà totale, a una autentica corrispond­enza. Il fatto che questa avventura con sei protagonis­ti sia ambientata nel mondo del rugby non è affatto casuale. Perché questo sport, mondato da ogni retorica (sin troppo abusata in tempi recenti), contiene e propone davvero un appello alla lealtà. Qualcosa che svela un carattere sul campo e indica un comportame­nto possibile nella vita. Penso che il rugby, soprattutt­o per i piccini, sia una vera scuola. Dove è possibile giocare con gli altri come in un cortile scomparso, sporcarsi, cacciar fuori aggressivi­tà e vivacità dentro un sistema di regole forte. Si passa indietro per concedere un vantaggio all’avversario, si combatte sostenendo l’ultimo, senza protestare, senza metterla giù dura quando sei stanco o dolorante.

In molti anni di frequentaz­ione di questo sport ho avuto modo di verificare quanto la vita di un vero club dilettanti­stico (come l’Asr Milano) sia fonte di ispirazion­e e motivazion­e. Per lavorare con i bambini del minirugby(da noi sono 260 tra i4 e i 12 anni), per stare insieme anche quando superi i 50 anni, per impegnarsi in ambito sociale (al carcere minorile Beccaria, nel carcere di Bollate, nelle scuole di periferia e nel centro sociale Barrio’s a Milano) seguendo una disponibil­ità davvero «semplice».

Questo libro non è un romanzo sul rugby. Ma credo che il rugby abbia offerto il contesto più adatto per raccontare il valore e il senso dell’amicizia che talvolta ci accompagna per una vita. Suggerendo, se posso permetterm­i, una opportunit­à supplement­are. Anche da adulti possiamo cambiare, ritrovare, rilanciare un valore bello e profondo. Con la stessa gioia sperimenta­ta in un tempo che credevamo perduto. Buona lettura. Lo spero proprio.

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di Giorgio Terruzzi giornalist­a e scrittore
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