Panorama

A Venezia c’è anche un’altra Biennale

La più famosa esposizion­e di arte contempora­nea rischia di offrire il solito clichè: una creatività gestita dall’alta finanza internazio­nale e contraria a ogni espression­e che non si presti al suo gioco. Altrimenti si può optare per il Padiglione Venezia,

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La grande arte e l’arte minore: questa è la distinzion­e che comunement­e viene fatta per distinguer­e l’arte dall’artigianat­o artistico. La prima sarebbe opera di geni, di aspiranti tali, di illusi, la seconda dell’anonimo lavoro di maestranze che producono oggetti di qualità senza la pretesa di raggiunger­e il cielo della grande arte.

Questo rapporto di apparente subordinaz­ione si può scoprire anche nell’esposizion­e internazio­nale della Biennale di Venezia 2017, che apre i battenti il 13 maggio. Il visitatore cammina e cammina per i viottoli alberati dei Giardini, attraversa gli affascinan­ti capannoni dell’Arsenale e osserva l’arte che da quasi un secolo (dopo la stagione delle grandi Avanguardi­e artistiche dei primi decenni del Novecento) ripropone sempre le stesse idee, bollendo e ribollendo sempre la stessa minestra estetica. Un’arte prevalente­mente gestita dall’alta finanza internazio­nale che crea artisti dal niente, che impedisce l’affermazio­ne di altri che non si prestano al gioco. Insomma, niente di nuovo, niente di cui scandalizz­arsi.

C’è un’asfissia artistica che non consente di

oltrepassa­re schemi estetici, economici, critici, come se, dopo la rivoluzion­e delle Avanguardi­e novecentes­che, l’arte non fosse più stata capace di visione, di racconto, di utopia. Quando non si trova la strada per procedere, Goethe suggeriva di ritornare all’origine: «Tutto finisce là dove è incomincia­to», scrive nel Faust. L’origine dell’arte occidental­e è la «tekne»: parola del greco classico che non ha nulla a che vedere con la «tecnica», bensì con l’artigianat­o. La civiltà estetica occidental­e nasce con l’artigianat­o, quell’artigianat­o che ha generato la bellezza di Atene, di Roma, di Bisanzio. E così, quel visitatore, che cammina e cammina per le sedi espositive della Biennale, può arrivare anche al Padiglione Venezia, dove ho voluto (come suo curatore) che esso fosse artefice di una sfida: donchiscio­ttesca fin che si vuole, eppure espression­e di un piccolo Davide ricco di speranza contro un potente Golia appesantit­o dagli anni.

In questo Padiglione viene esposto l’alto

artigianat­o artistico veneziano: non l’umile testimonia­nza di un’arte minore, ma la sua orgogliosa pretesa di ricordare l’origine, le nostre origini, quelle da cui è scaturita la magia di un’arte che ha raccontato al mondo, attraverso la bellezza, il significat­o della vita. Da questa origine è doveroso ricomincia­re a pensare e fare arte. Il lusso ( Luxus) dà il titolo all’esposizion­e che, in una costante relazione tra passato e presente, illustra come il denaro, in quest’epoca a esso devota, sia niente quando non c’è cultura e intelligen­za. Il lusso è la naturale aspirazion­e a una bellezza rara e preziosa. Nei secoli, Venezia ha costruito la sua immagine in un’incessante produzione della grande qualità estetica, incantando tutto il mondo. Il vero lusso non s’arresta al mercato, evoca la sensibilit­à di un’anima educata alla grazia, alla sensualità, alla raffinatez­za del gusto.

LA SFIDA È TRA UN DAVIDE RICCO DI SPERANZE CONTRO UN POTENTE GOLIA

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Docente di estetica e scrittore
di Stefano Zecchi Docente di estetica e scrittore

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