Marine vs. Marion Le Pen
Uno dei più celebri giornalisti francesi spiega perché il neopresidente ha vinto. A un Paese che soffriva di depressione nervosa ha mostrato tutte le sue potenzialità. In primis, un’incredibile energia e una gioventù che vuole prendere in mano il suo dest
Ci riflette Bernard Guetta, nel suo appartamento, all’ultimo piano di un palazzo nel cuore di Parigi, a due passi da Saint-Germain-desPrés. Quella domenica sera gli è rimasta nel cuore. «Lo so, sembrerò ridicolo, ma non me ne importa nulla. Quando Emmanuel Macron, appena eletto, ha camminato davanti alla Piramide del Louvre, mentre risuonava l’Inno alla gioia di Beethoven, che è anche quello dell’Europa, a me sono venuti il nodo alla gola e le lacrime agli occhi». Ne ha viste di tutti i colori Guetta, dai tempi in cui faceva il ’68 all’Henry IV, uno dei grandi licei parigini, nel Quartiere latino. Giornalista e politologo, una fede l’ha sempre accompagnato, quella europeista. Intima convinzione: come sono diventato europeo è il titolo del suo ultimo libro, pubblicato in Italia da Add Editore. Pure lui sembra contaminato dalla Macronmania. Non è che voi francesi vi state facendo troppe illusioni sul neopresidente? Le difficoltà verranno. Le delusioni anche, è scontato. Saranno grandi, me lo aspetto. Ma è comunque un evento fondamentale. Perché questa Francia aveva perso fiducia in se stessa, si sottovalutava in maniera incredibile. E ora ha avuto l’audacia di fare una scommessa totalmente pazza: eleggere un giovanotto che un anno fa si è svegliato concependo l’in- verosimile idea di ridisegnare lo schiacchiere politico. E di ridarci speranza. Era messa così male la Francia ? Aveva una forma di depressione nervosa. In un recente sondaggio, i miei connazionali si dicevano più pessimisti sul loro avvenire degli afghani. Robe da matti. Ritorniamo a Macron. Non state esagerando nell’esaltazione? Lo so, ha fatto alcune gaffe pesanti, come qualificare la colonizzazione francese come un crimine contro l’umanità e lasciar intendere che non ci fosse una cultura propriamente francese. È giovane, si sa. Ma la sera della sua vittoria ha pronunciato parole bellissime: coloro che non avevano visto che era arrivato il tempo dei cambiamenti «non conoscevano la Francia». Ha ragione. Che cosa significa? I pessimisti, i declinisti, i depressi non sanno che cosa sia davvero il mio Paese, pieno di un’incredibile energia e di una gioventù che vuole prendere il suo destino in mano. Per l’Europa che cosa rappresenta l’elezione di Macron? Per la prima volta abbiamo un presidente che è nato nell’Unione europea e non è un derivato della generazione della guerra. Per lui l’unità è un’evidenza. Che cosa può fare? A marzo a Roma, per i 60 anni dei trattati
di Roma, i 27 Paesi si sono messi d’accordo su un principio: permettere a coloro che vogliono andare più lontanto e più in fretta di farlo, senza che niente possa impedirlo. Significa che a sei e probabilmente a 12 o 15 possiamo accelerare la marcia verso l’armonizzazione fiscale dei nostri sistemi di protezione sociale. È la condizione necessaria alla lotta contro il dumping economico all’interno dell’Europa. Per la sua giovane età e la fede europea, Macron contribuirà con decisione a realizzare un impegno del genere. A Roma si spera in un asse francoitaliano, oltre al rafforzamento di quello franco-tedesco… Avete ragione. C’è sempre stata un’affinità elettiva tra Parigi e Roma. E l’evoluzione della scena politica francese può rafforzare questa convergenza. Poi le grandissime riserve che Francia e Italia nutrono nei confronti della politica economica portata avanti dall’Unione euro- pea vengono ora capite anche dai governi più liberali della Ue e da Angela Merkel in persona. Pure lei si è convinta che, buone o cattive che siano, queste politiche portano a una catastrofe. Aggiungo che forse tutto diventerebbe più semplice se Matteo Renzi ridiventasse premier. Intanto, però, Macron deve superare lo scoglio delle legislative in giugno. Riuscirà il suo movimento a conquistare la maggioranza in Parlamento? Non lo so, perché è difficile prevedere i risultati del Front national e dei due par- titi tradizionali, socialisti e i repubblicani. Ma è chiaro che ci saranno delle ricomposizioni intorno al neopresidente. Pure lei, come Macron, crede che non esista più divisione tra destra e sinistra? Quello che è superato non è quel divario, ma gli equilibri che erano stati fissati dalla Rivoluzione francese. La sinistra di domani non sarà più quella di ieri e la destra neanche. Ci saranno sempre una destra e una sinistra. Ma le frontiere non sono più le stesse. I nuovi confini sono tra patrioti e mondialisti, come dice Marine Le Pen? No, sono le frontiere tra un partito dell’ordine e uno del movimento, un partito del passato e uno del presente. Tra il partito della nostalgia e quello della riconquista. Concretamente, socialisti e repubblicani che fine faranno? Ci vuole tempo perché una forza collettiva scompaia. Pensi che in Francia ci sono ancora dei monarchici e dei bonapartisti. Lei è stato sempre una voce critica della sinistra… Sono stato trotzkista, sessantottino, «gauchiste». Sempre anti-comunista. Sono il
riflesso della mia famiglia. Suo fratello è David, uno dei più grandi Dj del mondo. E sua sorella, Nathalie, attrice nota in Italia, la mitica perpetua di Don Matteo nella serie Rai. Ma che genitori avete avuto? Io e David non abbiamo la stessa madre. E abbiamo 17 anni di differenza. Ma siamo cresciuti in un ambiente di sinistra, intellettuale, antitotalitario, di una sinistra non comunista molto minoritaria negli anni ‘50 e ‘60. Abbiamo ricevuto tanto amore. E un’educazione piena di libertà.