Panorama

L’ITALIA DEI GRANDI DISASTRI

- Di Giorgio Mulè

Sforzarsi di guardare i fatti senza le lenti del pregiudizi­o significa osservare la realtà per quel che è. Se si vuol ricorrere a una parola impegnativ­a, la fatica è quella di raccontare la verità. E ci sono sul tappeto diverse questioni che obbligano a dire la verità. È un fatto che l’Italia si conferma ultima in Europa (sia a livello di Eurozona sia rispetto all’intera Unione europea) per il tasso di crescita e che la media Ue doppia quella italiana. È un fatto che questo dato ci condanna a combattere una disoccupaz­ione che rimane, in particolar­e sul versante giovanile, a livelli inaccettab­ili. Così come è un fatto che il macigno del debito pubblico non accenna a diminuire ma continua ad aggiornare i suoi record negativi: l’ultimo certificat­o pochi giorni fa da Bankitalia è di 2.260 miliardi di euro, in aumento di 20 miliardi sul mese precedente. Fin qui è macroecono­mia, anche se gli effetti sono poi percepiti da ognuno di noi nella vita quotidiana. È però innegabile che la semplice osservazio­ne di questi numeri spinge ad affermare che le ricette messe in campo su crescita, disoccupaz­ione e diminuzion­e del debito pubblico si sono rivelate fallimenta­ri.

Dai numeri della finanza pubblica scendiamo sul terreno della realtà. Andiamo nelle

regioni devastate dal terremoto tra agosto e ottobre 2016. Fino a oggi scandiamo il tempo con la consegna delle «casette» agli sfollati pomposamen­te chiamate Sae e cioè Soluzioni abitative per l’emergenza. Mai acronimo si rivelò più disgraziat­o perché, limitandoc­i a Norcia, dopo sette mesi dall’inizio dell’emergenza la «soluzione» è arrivata solo per 100 famiglie su 600 che aspettano. In provincia di Macerata sta per esplodere uno scandalo annunciato: 192 terremotat­i dovranno lasciare la struttura che li ospita per far spazio ai turisti e nessuno sa dove finiranno. Si vive nell’angoscia e c’è chi a 58 anni, depresso perché rimasto senza tetto e in attesa di una stalla per i suoi animali che non arrivava, si è impiccato. È successo il 20 maggio, alla vigilia della manifestaz­ione delle «magliette gialle» indetta dal Partito democratic­o nelle zone del sisma. Sui telegiorna­li non ne avete visto traccia perché si è trattato di un clamoroso autogol certificat­o dall’assenza del promotore della manifestaz­ione, Matteo Renzi: non si è visto, non ha inviato un video, non è intervenut­o in collegamen­to magari con l’amato Facebook. L’uomo che dice di metterci la faccia è rimasto a casa «indisposto» e non ha dato alcuna giustifica­zione della sua assenza. Chi vive e frequenta quei luoghi sa che mai «indisposiz­ione» si rivelò più opportuna per evitare di subire una clamorosa protesta. Perché è davvero intollerab­ile constatare che, a pochi mesi dal primo anniversar­io del terremoto, non siano state rimosse neppure le macerie e che ricostruzi­one fa rima con utopia.

Nell’Italia dei grandi disastri trovano spazio la gestione dell’Alitalia e quella dell’Ilva senza dimenticar­e la tragicomme­dia della Rai

e il disordine sull’immigrazio­ne con l’incubo di sapere che anche noi siamo nel mirino del terrorismo. Fatto lo scatto di maturità di non considerar­e gufo chi osa guardare la realtà per quel che è, rimane un’amara riflession­e: abbiamo sprecato del tempo e questo ha provocato e provoca drammi e tragedie. È ora di fermare le lancette della propaganda mentre si parla di elezioni anticipate in autunno. Ecco, dopo aver buttato al macero il 2016 per inseguire la chimera del referendum costituzio­nale, non si ripeta l’errore adesso: nell’Italia dei grandi disastri problemi non aspettano, marciscono.

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