Panorama

L’uomo che sussurra ai dittatori

Di ritorno dalla Corea ha scritto a Trump: «Mi offro da mediatore». È andato da Assad, dice che in Egitto ci vogliono i generali e che con Erdogan bisogna stare attenti perché è pericoloso. Gli piace Putin ma anche Merkel. Ecco il mondo di Antonio Razzi,

- di Carmelo Caruso

C on l’italiano si imbroglia, ma con il dialetto si arrangia. «È vero, non so parlare in italiano, ma giro il mondo con il mio abruzzese. E se occorre mi servo delle mani, proprio come faceva Alberto Sordi». E però, Sordi faceva l’americano a Roma mentre lei va a fare l’italiano a Pyongyang. «In Corea del Nord mi amano. Ma sia chiaro. Vado solo quando mi invitano. Senza invito non vado neppure a casa di mia sorella». Quante volte l’hanno invitata? «Dieci volte in tutto». Matteo Salvini, che in Corea del Nord, si sa, è di casa, ha riconosciu­to che il senatore Antonio Razzi “laggiù è una vera star”». «Per l’ultima mia visita, ad aprile, hanno mandato un aereo fino a Pechino ad attendermi. Quando sono atterrato mi hanno cantato pure O Sole

Mio. Ormai mi coccolano». Come si è capito, in una delle sue pause lontano dalla politica internazio­nale, siamo riusciti a fermare Antonio Razzi nel suo ufficio da senatore a Roma, a piazza Cinque Lune, che è la vera Farnesina italiana.

Senatore. Con la testa è in Italia ma con i piedi è sempre per aria.

Non me ne parli. Ho un «mal di capa». Troppi fusi orari. Forse è arrivato il momento di fermarsi un po’.

Viaggia più del nostro ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

Nove viaggi ogni anno. Ma è dovere. Esporto l’italianità. Sono segretario della commission­e Affari esteri del Senato.

Dunque viaggia a spese del Senato?

Mai. Tutti i viaggi sono pagati dal senatore Antonio Razzi. Mentre il vitto e l’alloggio dai Paesi che mi ospitano.

Ultimament­e l’abbiamo vista alle parate del dittatore Kim Jong-un.

Ricordo che sono anche presidente della Bilaterale Italia-Corea del Nord. È mio compito tenere i rapporti fra i due Paesi.

Quanto costa un viaggio per Pyongyang?

2.800 euro. Viaggio solo con Alitalia.

Potrebbe essere liquidata. Come farà?

Mannaggia. Se solo me lo chiedesser­o saprei come salvarla…

Torniamo, tuttavia, in Corea del Nord. Ormai è considerat­o il massimo esperto di questioni asiatiche.

Modestamen­te, l’Oriente l’ho girato tutto. In Cina 10 volte, e, come detto, in Corea del Nord, altre 10. Sono dell’avviso che con Kim Jong-un bisogna dialogare.

Si dice mozzi la testa a chi ci prova.

Minchiate. Adesso è un Paese che sorride. Cantano pure con il karaoke.

Ma lei ci ha parlato con Kim Jong-un?

Una volta. Ha una mentalità aperta. Ha studiato a Berna. Parla tedesco e anche un po’ di italiano. Ama il calcio. Veniva in Italia a vedere le partite.

Ha capelli improponib­ili. Mai pensato di suggerirgl­i il suo parrucchie­re?

Certo. Non sa quante volte gli vorrei dire «Pigliate il mio».

E lei dove alloggia quando è in Corea?

Hotel Korio. Quattro stelle.

Sempre a spese del regime?

Chiaro. Pensano loro a tutto. Anche al cibo. Vuole sapere il menu?

Naturalmen­te.

Intanto zuppe e pesce a quantità e poi spaghetti di soia. L’ultima volta, con Matteo Salvini, ci siamo presi anche una buona birra. Lui predilige molto la birra…

Dove ha maturato questa passione per la politica estera?

In fabbrica. Alla «Viscosuiss­e», azienda svizzera di filati dove ho lavorato per 25 anni. C’erano operai di ben 35 nazionalit­à. Io i musulmani li conosco da tempo.

Come risolveva lo scontro di civiltà?

Semplice. Quando i musulmani facevano il ramadan, io rispondevo così: «Voi digiunate? E io mi mangio un piatto di spaghetti. Tie’».

Il suo cuore è rimasto in Svizzera …

La Corea del Nord è un’altra Svizzera senza la sua precisione e le sue banche.

E anche senza le sue esecuzioni e i campi di lavoro.

Stronzate. A me sembrano campi di pomodori. E poi diciamo la verità. È meglio lavorare che stare in prigione.

Ragioniamo di scenari.

Io sono pronto a fare la mia parte. Mi offro per negoziare la pace fra Usa e Corea del Nord.

Cosa propone?

Ho scritto al presidente Donald Trump. E sto provando a organizzar­e un incontro attraverso un senatore repubblica­no. Confido mi ricevano alla Casa Bianca.

Ci legge la sua lettera a Trump?

Ecco. « I am senator of the italian Republic and was an enthusiast­ic campaigner of your presidenti­al candidacy... ».

Dica la verità. Non l’ha scritta lei.

Ovvio. C’è un collaborat­ore che me le scrive. Ma in Corea del Nord sono riuscito a intendermi con il comandante del 38° parallelo. Avevano sequestrat­o le telecamere a dei giornalist­i italiani. Ma dopo la mia intermedia­zione ci hanno chiesto scusa.

Come ha fatto?

Gli ho detto: «Mister! Aivuar uiu? ».

E lui?

Ha compreso l’errore.

Era anche lui abruzzese?

Coreano ma paisano.

La sua è la «politica paisà».

La risata parla. Che volete farci. Lo riconosco. In italiano la professore­ssa mi dava sei per stima. Sono difettoso di fabbrica. In Italia non mi faccio comprender­e, ma all’estero mi difendo.

Come è messo con le lingue straniere?

Parlo bene il tedesco e lo spagnolo.

È sua moglie che prepara la valigia per i suoi viaggi?

No. Ci penso sempre io.

Bagaglio a mano o da stiva?

A mano. Piego personalme­nte le camicie.

Ricambi?

La mia formula è 4-4-4. Ovvero: 4 camicie, 4 mutande, 4 paia di calzini. E cravatte. Sono sempre stato elegante. Mi chiamavano «l’uomo con la cravatta».

Ha raccontato che da giovane la chiamavano anche il Molleggiat­o.

Discretame­nte mi piaceva ballare ed ero un grande seduttore.

La sua tattica?

Un metodo infallibil­e. Tenevo un diario con le classifich­e. A tutte le donne mettevo le stelline. Poi mia moglie, comprensib­ilmente, lo ha bruciato.

A proposito. Cosa ne pensa della relazione fra «la professore­ssa» Brigitte Trogneaux e «l’allievo» Emmanuel Macron?

L’amore è cieco. A Macron piace la donna matura. Si vede che a letto vuole lavorare poco…

Torniamo alle elezioni francesi.

Premetto. Io avrei votato per Fillon.

Non è lepenista?

No. Marine Le Pen dice troppe cose cattive sull’Europa. Dobbiamo fare gli Stati Uniti d’Europa e non sfasciarla.

Mi sembra di comprender­e che sia contro la Brexit e contro la premier Theresa May.

Vuole imitare Margaret Thatcher. Ma non lo è. Posso dirlo a modo mio? Non mi «aspira» fiducia.

Dunque è un estimatore delle politiche merkeliane.

I primi 100 giorni di Trump? È stato ambiguo su alcuni dossier. Ma i politici sono fatti così. Mica sono come Razzi

Kim Jong-un ha una mentalità aperta. Ha studiato a Berna. E veniva in Italia a vedere il calcio

Non sono stato io che ho chiesto di fare il selfie con Assad, ma è stato lui che ha chiesto di farlo con me

Crozza mi deve tutto. Dicono abbia avuto un buon contratto alla “9”. Ma non mi ha offerto neppure un caffè

Angela Merkel mi piace. Ma sia chiaro, solo per la sua politica...

Spostiamoc­i in America Latina e parliamo della crisi in Venezuela.

Qui mi trova impreparat­o, nonostante mio fratello abiti proprio a Caracas.

Il regime di Nicolás Maduro implode.

Tuttavia è ancora possibile utilizzare Facebook.

A proposito di social. In Turchia, il regime di Recep Tayyp Erdogan ha più volte censurato i social...

Ecco, con Erdogan bisogna fare molta attenzione. Ha molto denaro. È pericoloso. Bisogna scongiurar­e uno scontro.

Facciamo un salto in Egitto dal generale Abdel Fattah al-Sisi.

È una presenza necessaria. Come lo era in precedenza Mubarak. Sono Paesi dove servono i generali.

In Oriente si è parlato di panarabism­o e balcanizza­zione.

La verità è solo una. Sono nazioni con tante tribù. Ve la traduco io. La nazione è come un pollaio. Se nel pollaio ci sono tante galline non può fare mai giorno.

Dicono che faccia l’imbucato e giri il mondo solo per farsi notare. Il selfie con il dittatore siriano Bashar al-Assad, ammetterà, è stato un errore.

Non sono stato io che ho chiesto di fare il selfie con Assad, ma è stato lui che ha chiesto di farlo con me. Mi ha detto: «Senatore, lei è famoso. Posso farmi un selfie con lei?». Dicono che abbia fatto uso di gas. Ma io non ci credo.

Sulle vicende siriane, Vladimir Putin è stato protagonis­ta.

Un risolutore. Il migliore sulla scena internazio­nale. Risolve tutto subito.

Anche lui, conduce una campagna di repression­e nei confronti dell’opposizion­e e dei giornalist­i.

Stronzate messe in giro per far sbandare la gente. Anche se io rispetto i giornalist­i.

Il presidente Donald Trump definisce la stampa «corrotta».

Ecco, qui Trump sbaglia. Con i giornalist­i bisogna collaborar­e...

E i primi 100 giorni di Trump?

Deve cambiare. È stato ambiguo su alcuni dossier. Ma i politici sono fatti cosi. Mica sono come Razzi.

Dagli Usa al Mar Mediterran­eo. Senatore, qual è la migliore politica per contenere l’emigrazion­e epocale?

Le navi da crociera. Abbiamo così tante navi da crociera, mi chiedo perché non possiamo andare a prendere i migranti direttamen­te noi. I benefici sono molteplici: viaggio sicuro, nessun marinaio in mezzo al mare. E relax. L’ho detto come battuta, ma, credetemi, c’è della verità.

Quali sono i giornali da cui attinge le informazio­ni di politica estera?

Le notizie mi arrivano per mail. Prediligo due testate. Il giornale svizzero Tages

Anzeiger e quello ticinese Rsi News.

È vero che in Svizzera hanno girato un film su di lei?

Come no! Si chiama L’onorevole operaio.

Con lei la politica è «a portata di tutti»?

Sto per l’appunto scrivendo un nuovo libro dal titolo Ce la puoi fare.

Su Twitter è un vero «influencer».

Mi creda. Ormai non riesco a passeggiar­e per Roma. Mi sommergono di saluti.

Deve tutto a Maurizio Crozza?

No, è lui che deve tutto a me. Ha lasciato La7 per Nove. Dicono che gli abbiano fatto un buon contratto. Non mi ha offerto neppure un caffè....

Per dirla come Razzi «si è fatto li cazzi suoi».

Ah, ma farsi «li cazzi suoi» è la regola del mondo. Mi dica uno che non se li faccia. Alla fine io, che ho avuto il merito di dichiararl­o.

Come va con i congiuntiv­i?

Non ci crederete, ma c’è un servizio televisivo che può documentar­lo.

Cosa?

Ultimament­e ne sbaglio meno di Luigi Di Maio.

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