Panorama

La rete italiana del terrore

Parecchi autori dei più sanguinari attentati compiuti in Europa sono passati dal nostro Paese. Dove avevavo certamente chi li aiutava. Caccia alle connivenze.

- di Fausto Biloslavo

Parecchi autori dei più sanguinari attentati compiuti in Europa sono passati per l’Italia (otto soltanto negli ultimi due anni), o avevano un passaporto italiano. Per non parlare dei fiancheggi­atori: i terroristi di Parigi, Bruxelles, Nizza e Berlino potevano contare su una rete organizzat­a di complici. Finora sono state identifica­te una decina di persone, espulse o incarcerat­e, ma forse sono solo la punta di un iceberg. E talvolta le segnalazio­ni del nostro antiterror­ismo vengono sottovalut­ate...

Negli ultimi due anni, otto terroristi degli attentati più

gravi in Europa sono passati per il nostro Paese. O avevano addirittur­a un passaporto italiano, come Youssef Zaghba 1, il terzo uomo del commando che il 3 giugno ha compiuto una strage a Londra. Ma gli attentator­i di Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino e Londra potevano contare anche su una «rete» di fiancheggi­atori. Finora sono state individuat­e una decina di persone, poi espulse o finite in manette, ma potrebbero essere solo la punta di un iceberg.

Talora, come nel caso dell’italo-marocchino Zaghba, le segnalazio­ni del nostro antiterror­ismo vengono sottovalut­ate. «Ben prima dell’ultimo attacco nella capitale del Regno Unito avevamo comunicato agli inglesi il numero di telefono di un utente britannico in contatto con un nostro sospettato di attività

terroristi­ca in Italia» rivela una fonte di Panorama in prima linea nella lotta alla guerra santa a casa nostra. «Al telefono parlavano di calcio, ma qualcosa non quadrava. Gli inglesi non l’hanno preso in consideraz­ione, ma il sospetto era in contatto con il terrorista italo-marocchino dell’ultima strage» continua la fonte. «E adesso, dopo l’attacco, da Londra ci hanno mandato una serie di utenze da controllar­e che erano in contatto con l’italo-marocchino Zaghba, compresa quella da noi segnalata ma sottovalut­ata».

Il 15 marzo 2016 il giovane marocchino nato nel 1995 a Fez, ma con passaporto italiano grazie alla madre convertita all’Islam, Khadija (Valeria) Collina, viene fermato all’aeroporto Marconi di Bologna. Biglietto di sola andata, nessun bagaglio, vuole prendere un volo per la Turchia e proseguire in Siria per arruolarsi nello Stato islamico. Agli stupefatti agenti di polizia dice: «Vado a fare il terrorista» per poi correggers­i con «il turista». Sul cellulare ha scaricato video jihadisti, slogan e poesie religiose in arabo. L’assurdo è che viene lasciato andare: un anno dopo massacrerà a coltellate otto persone a Londra, ferendone altre 48, assieme ad altri due terroristi prima di venire eliminato.

«Stiamo ricostruen­do a ritroso la sua rete di contatti» spiegano dal Viminale. «Non tornava certo in Italia per starsene chiuso in casa con la madre, che vive vicino a Bologna (dopo la separazion­e dal marito in Marocco, ndr). Non a caso era seguito dalla Digos». E lunedì 13 giugno è saltato fuori un filmato tv in cui il ragazzo era in giro con un gruppo di amici tra i locali di Rimini. L’ultima volta è tornato dalla mamma a dicembre, ma in Italia ha passato almeno 60 giorni in varie trasferte provenient­e dal Marocco o dall’Inghilterr­a. Il padre, Mohammed, vive a Casablanca e ha portato il figlio sulla strada radicale dei Tabligh Eddawa, i «testimoni di Geova» dell’Islam duro e puro. «Predicator­i estremisti che a Bologna hanno centri in via Zanardi e via Libia» spiega Giovanni Giacalone, analista del jihadismo.

Secondo una fonte di intelligen­ce europea, Zaghba è stato presentato al capo del commando di Londra, Khuram Butt, «dai contatti italiani della rete Al-Muhajiroun fondata dal predicator­e Anjem Choudary». Il gruppo estremista è stato messo al bando in Inghilterr­a, ma ha ancora addentella­ti in Italia, come Zakaria Mohammed Youbi espulso ai primi di giugno dal Bresciano per attività jihadista. Il «cattivo maestro» Choudary è in prigione in Gran Bretagna, dove sconta una condanna di 5 anni e mezzo come reclutator­e del terrore. Fino a inizio 2015 pontificav­a su da Londra, giustifica­ndo la strage al settimanal­e satirico

e annuciando: «Un giorno Roma sarà nostra. Non stupitevi se anche l’Italia subirà attentati».

Sotto la lente ci sono almeno una ventina di contatti del terrorista italo-marocchino, ma si punta pure sulla pista di uno o più versamenti di denaro via money transfer da cittadini britannici di origine pachistana verso l’Italia. Solo sei mesi fa, il 23 dicembre, la polizia ha ucciso Anis Amri

2 a Sesto San Giovanni, provincia di Milano. Il tunisino che al volante di un camion killer aveva fatto strage al mercatino era in fuga attraverso il nostro Paese. Nel 2001 era sbarcato con un barcone a Lampedusa, per finire subito in carcere dopo aver incendiato il centro di accoglienz­a. «Uno dei motivi per cui non ci sono stati ancora grossi attacchi da noi è l’arrivo dei migranti» rivela una fonte dell’antiterror­ismo. «L’Italia è la porta di ingresso in Europa e a loro va bene: un attentato provochere­bbe la chiusura delle frontiere. Meglio che continuino ad arrivare migranti a maggioranz­a islamica». Un altro investigat­ore in prima linea conferma che «sui canali dei migranti i terroristi hanno mandato degli esplorator­i, per fare da apripista agli operativi. Abbiamo sentito chi ha viaggiato lungo la rotta balcanica assieme agli attentator­i di Parigi e Bruxelles senza sapere chi fossero veramente». In quattro anni dietro le sbarre Amri si radicalizz­a. Una volta uscito, va in Germania per unirsi a una cellula salafita e uccidere il 19 dicembre a Berlino 12 persone in nome dell’Isis. Il suo primo possibile «contatto» in Italia a venire individuat­o, il 24 dicembre, è il tunisino Chebli Sami 3 , fermato a Falconara Marittima vicino ad Ancona e in seguito espulso. Il 13 marzo è espulso un altro tunisino, Hisham Alhaa

bi. Per l’antiterror­ismo risulta «intestatar­io di una utenza emersa tra i contatti di Anis Amri, quando quest’ultimo, nel giugno 2015, era stato ospitato a casa di Yaakoubi Montasser e della sua compagna ad Aprilia».

Gli ultimi due contatti della rete del killer di Berlino collegati

all’Italia sono il marocchino Soufiane Amri 4 e il congolese

Lutumba Nkanga 5 , arrestati il 28 aprile per terrorismo grazie all’inchiesta «Transito silente» di Brindisi: il primo, seguace dello Stato islamico, è in contatto con Amri a Berlino, dopo l’espulsione dall’Italia. Della cellula tedesca fa parte pure il congolese, già ospite del Centro di permanenza per rifugiati di Restinco, provincia di Brindisi.

Anche Mohamed Lahaouiej Bouhlel 6 , il macellaio del lungomare di Nizza, che ha fatto fuori 86 persone al volante di un camion, è passato per l’Italia. Nel giugno 2015 è ripreso in un video e identifica­to dalla polizia a Ventimigli­a, mentre partecipa a una manifestaz­ione pro migranti dell’associazio­ne «Au coeur de l’espoir» di Nizza. Il suo complice, il tunisino Chokri Chafoud

7 , che lo aizzava via sms a lanciarsi con il camion sulla folla, ha vissuto per anni a Gravina di Puglia. Un’altra complice, l’albanese Enkeledja Zace, che con il marito ha fornito una pistola al killer di Nizza, spesso in Italia, è stata arrestata nel 2015 dai carabinier­i per favoreggia­mento all’immigrazio­ne clandestin­a sempre a Ventimigli­a. Proprio da Bari è passato due volte, l’1 e il 5 agosto 2015,

Abdeslam Salah 8 , l’unico terrorista sopravissu­to delle cellule di Parigi e Bruxelles in carcere nella capitale francese. Assieme ad Ahmad Dahmani, che verrà arrestato in Turchia una settimana dopo la strage di Parigi per aver fatto i sopralluog­hi sugli obiettivi, si imbarca su un traghetto per raggiunger­e il Pireo e incontrare ad Atene il capo del commando di Parigi Abdelhamid Abaaoud. Il 6 agosto, rientrato a Bari, Salah ripercorre in auto tutta l’Italia, come all’andata, lasciando tracce con la carta di credito. L’ultima volta è un pieno di benzina a Como. Ismael Omar Mostefai, uno dei kamikaze del Bataclan (dove è stata uccisa la veneziana Valeria Solesin) era transitato nel nostro paese nel 2013 da Marsiglia per raggiunger­e la Siria e arruolarsi nel Califfato.

Pure Khalid el-Bakraoui 9 , il terrorista che si è fatto saltare in aria nella metro di Bruxelles il 22 marzo 2016, ha usato l’Italia come transito. Il 23 luglio 2015 era volato dal Belgio all’aeroporto di Treviso con Ryanair. Poi si è spostato a Venezia alloggiand­o all’hotel Courtyard by Marriott dell’aeroporto, che costa non meno di 224 euro a notte. Alla fine si è imbarcato su un aereo Volotea per Atene. «Molti terroristi passano per l’Italia settentrio­nale perché hanno un riferiment­o specifico fra la provincia di Venezia e quella di Treviso» sostiene Sabrina Magris, esperta del fenomeno jihadista. «Il soggetto non è stato arrestato perché non faceva, in apparenza, nulla di illegale. Si trattava di una sorta di guida spirituale». I complici o fiancheggi­atori dei terroristi di Parigi e Bruxelles che hanno avuto a che fare con l’Italia sono personaggi del calibro di Gelel Attar 10 , nato nel 1989 a Castel San Giovanni, provincia di Piacenza. A 15 anni lascia l’Italia per il quartiere islamico di Molenbeek, Bruxelles, dove sono nati e cresciuti i terroristi locali e quelli di Parigi. È fra i primi di Molenbeek ad andare a combattere in Siria. Nel 2013 rientra in Europa e aiuta a pianificar­e i futuri attacchi. Il 15 gennaio 2016 viene arrestato in Marocco.

Tre giorni dopo l’attentato di Bruxelles, il 25 marzo 2016, finisce in manette in Germania il marocchino Mohammed Lahlaoui 11 che per sette anni ha vissuto a Vestone, nel bresciano, prima di venire espulso. Lahlaoui ha scambiato sms con il kamikaze di Bruxelles, Khalid El Bakraoui, compreso un ultimo messaggio con la parola «fine». Il falsario che ha fornito documenti contraffat­ti a tre terroristi di Parigi e Bruxelles, l’algerino Djamal Eddine Ouali 12 , è scappato in macchina dal Belgio in Italia attraverso il Brennero, dove sperava di trovare rifugio. Il 26 marzo 2016 è stato arrestato in provincia di Salerno. «In Italia si possono annidare soggetti pericolosi o terroristi in transito, che poi si macchiano di clamorosi attentati, per ora in altri Paesi europei» spiega a Panorama un’altra fonte in primissima linea nella lotta al terrore. «Un domani, però, potrebbero colpire anche a casa nostra. Forse non c’è una vera e propria rete, ma esiste un humus che consente a elementi jihadisti o latitanti di muoversi liberament­e, senza grossi ostacoli».

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ANIS AMRI
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La falsa cintura esplosiva indossata da uno degli attentator­i del London Bridge, il 3 giugno scorso.
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