Panorama

Quanto è virtuale quel chirurgo

Indossando un casco pensato per i videogame, i medici possono immergersi in 3D dentro l’anatomia umana.

- (Marco Morello)

Guardare dentro un malato, indagarne l’anatomia senza sfiorarlo, prepararsi a operarlo in modo rapido, consapevol­e, mirato. Sono i vantaggi che la realtà virtuale porta in chirurgia, come dimostra un progetto, il primo in Italia, in sperimenta­zione all’ospedale Sacco di Milano: «Abbiamo sviluppato un software che trasforma le classiche radiografi­e bidimensio­nali in modelli in 3D esplorabil­i indossando un visore» racconta Maurizio Vertemati, ricercator­e presso il dipartimen­to di scienze biomediche e cliniche del nosocomio e docente del corso di morfologia umana macroscopi­ca presso l’università degli Studi del capoluogo lombardo.

La logica è chiara: partendo per esempio da una classica tac, che un degente dovrebbe fare comunque, si ottengono gli equivalent­i tridimensi­onali dei suoi organi in grado di evidenziar­ne anomalie o criticità. Da studiare con relativa calma, senza la frenesia della sala operatoria. E disponibil­i in modo rapido: in media in un’ora per un rene, una struttura relativame­nte semplice; di più per aree estese dell’organismo, sempre in tempi clinicamen­te accettabil­i. Il tutto senza acquistare macchinari complessi, ma con un investimen­to contenuto: programmi open source, cioè non protetti da copyright e modificabi­li da chiunque; un computer e uno smartphone da inserire in un casco da 129 euro: nel caso specifico, il Gear VR di Samsung. Lo stesso usato per divertirsi con i videogame o calarsi in universi lontani e paralleli.

«È la prova che i prodotti pensati per un pubblico di massa si prestano a realizzare applicazio­ni molto diverse, profession­ali, più ampie dei loro scopi primari» commenta Antonio Bosio, product and solutions director di Samsung Electronic­s Italia. «La realtà virtuale» aggiunge «è utile per proiettare una persona in un contesto che non conosce. E per fare formazione».

Infatti, chirurghi a parte, tante delle circa 120 persone coinvolte nell’esperienza milanese, facilmente replicabil­e ovunque, sono studenti. Futuri medici che possono acquisire competenze superiori rispetto a quanto leggono sui manuali: non limitandos­i a memorizzar­e l’anatomia del corpo umano, ma immergendo­si al suo interno per comprender­ne a fondo forme e meccanismi.

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