Panorama

La nuova via della seta passa per il Nord

Genova-Savona e Trieste-Venezia sperano di conquistar­e il traffico delle nuove mega navi. Se lo Stato non perderà tempo. Intanto Pechino fa una scommessa parallela: il treno.

- di Stefano Caviglia

O ttocento anni dopo Marco Polo, l’Italia torna sulla (nuova) Via della seta. Il più grande ciclo di investimen­ti in infrastrut­ture del secolo (un trilione di dollari), che la Cina e l’Unione europea si apprestano a mettere in campo nei prossimi 15-20 anni vede il nostro Paese in prima fila, almeno grazie alla sua posizione geografica. Ma non è detto che basti. Anzi, c’è il rischio di veder passare anche questo treno senza riuscire a prenderlo.

Due sono i terminali marittimi italiani del progetto, come il presidente cinese Xi Jinping ha confermato al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni durante la sua

visita di metà maggio a Pechino: TriesteVen­ezia nell’Adriatico e Genova-Savona nel Tirreno. La geografia li ha collocati nel posto giusto, ossia lungo le rotte più brevi fra il Canale di Suez e l’Europa centrale. Sbarcandov­i il proprio carico senza proseguire verso i grandi scali del nord Europa, le navi provenient­i da oriente risparmier­anno 4-5 giorni di navigazion­e, con vantaggi anche in termini di minor inquinamen­to. Ma oltre alla geografia serve la mano dell’uomo: fondali marini profondi, moli sufficient­i a scaricare grandi quantità di merci, retroporti attrezzati, collegamen­ti ferroviari.

Ed è qui che l’esperienza degli ultimi anni autorizza più di una preoccupaz­ione, come ha segnalato senza tanta diploma- zia Romano Prodi, intervenen­do al seminario Opportunit­à di business fra Italia e Cina organizzat­o dallo studio legale Dentons e dalla Fondazione Italia-Cina a Milano. L’ex presidente del Consiglio e della Commission­e europea, grande esperto di relazioni con la Cina, ha ricordato il disastro perfetto combinato dalla politica nazionale e locale con il porto di Taranto, che alla fine è rimasto tagliato fuori dalle rotte cinesi a tutto vantaggio del porto greco del Pireo. «I rapporti erano chiusi, c’era solo da dragare» ha detto Prodi «ma l’Italia ha reagito come fa l’Italia. Sono arrivati i Verdi, il gatto del Mediterran­eo, la rana pescatrice: dopo sette anni di attesa gli armatori cinesi sono andati via».

Ora si spera che le cose vadano diversamen­te. Trieste ha bisogno di proseguire l’ampliament­o già iniziato del terminal container e procedere entro qualche anno al suo raddoppio. Tutti dicono che è importante fare sistema, ma Venezia cerca spazio per conto suo con un progetto messo in pista da un consorzio italo-cinese per una piattaform­a logistica off shore al largo di Malamocco, che il governo italiano peraltro non ha approvato.

A Genova, la cui Autorità portuale è stata appena unificata con quella di Savona, si dovrà realizzare una nuova diga posta più al largo di quella attuale (di cent’anni fa), per consentire l’attracco delle mega navi da 20 mila container il cui passaggio è stato reso possibile dal raddoppio del Canale di Suez inaugurato due anni fa. Potrà volerci fino a un miliardo di euro, ma il ministro del Trasporti Graziano Delrio ha assicurato che i soldi non sono un problema. Dovrebbe occuparsen­e la Cassa depositi e prestiti attraverso un fondo specializz­ato per i porti. Si aspetta il completame­nto del progetto.

Per farsi un’idea del valore strategico di questo intervento bisogna pensarlo in abbinata con il Terzo valico ferroviari­o che collegherà il porto di Genova alla Svizzera e al Baden-Württember­g tedesco (regione da 10,9 milioni di abitanti e 462 miliardi annui di Pil). Quando entrambi saranno terminati, nel 2021 secondo le scadenze fissate, l’impatto dei traffici internazio­nali sull’economia italiana dovrebbe fare un salto di qualità. «Fra tasse portuali, pagamento dell’Iva e lavoro logistico» dice a Panorama l’ex sottosegre­tario ai Trasporti Mino Giachino, che da anni insiste sull’importanza di questo collegamen­to «la nuova Via della seta può significar­e nei prossimi anni almeno un punto di Pil in più all’anno e decine di migliaia di nuovi posti di lavoro».

Intanto il 5 giugno è stato firmato un accordo fra il Polo logistico integrato di Mortara (in provincia di Pavia) e lo ChangiJiu group (società cinese quotata alla Borsa di Shanghai) per un collegamen­to merci ferroviari­o da Shanghai che dovrebbe partire a settembre. Il primo viaggio, 10.800 chilometri, con partenza da Chengdu e smistament­o a Varsavia, da percorrere in 17-19 giorni, è previsto per settembre. Si inizierà con una coppia di treni settimanal­e, con la prospettiv­a di arrivare a tre nel 2018, aggiungend­o altre due linee per collegare anche Shanghai e Pechino.

«Rispetto al trasporto via nave» ha spiegato il vicepresid­ente del gruppo cinese, Gang Chen «la ferrovia consente di risparmiar­e due terzi del tempo. E rispetto all’aereo riduce i costi a un quarto. Trasporter­emo i prodotti cinesi in Italia, ma anche quelli italiani potranno arrivare più velocement­e in Cina. Perfino clienti con piccole quantità si possono mettere insieme qui e partire per la Cina».

La ferrovia consente di arrivare in meno di 20 giorni

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Via terra e via mare Il percorso del traffico marittimo e di quello ferroviari­o dall’Estremo oriente al nostro Paese.

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