Panorama

DIETRO LA CONSIP LE MACERIE DELLO STATO

- Angelo Cognetti

La vicenda Consip finisce nel peggiore dei modi. Perdono tutti in questa storia, anche chi si illude di avere vinto. Facciamo un veloce riassunto. Luigi Marroni è l’amministra­tore delegato dell’azienda statale che gestisce gli appalti miliardari per gli acquisti della pubblica amministra­zione: arriva in questa delicatiss­ima posizione nominato da Matteo Renzi nel 2015. Lavora bene e tutti, a cominciare dal suo azionista e cioè il ministero dell’Economia, glielo riconoscon­o. Succede sul finire del 2016 che Marroni viene interrogat­o dopo aver «bonificato» l’ufficio da microspie: ai magistrati che gliene chiedono conto racconta di essere stato messo in guardia dell’esistenza di un’inchiesta intorno a Consip da quattro persone. Uno dei quattro è il ministro Luca Lotti. Il manager, inoltre, mette a verbale con particolar­i assai precisi le presunte e reiterate pressioni che avrebbe ricevuto da Tiziano Renzi, papà dell’ex premier, affinché agevolasse un amico di famiglia nelle gare di appalto Consip. Quando all’inizio del 2017 la vicenda esplode sui giornali, Marroni fa un passo che gli rende onore: non è indagato, non è sfiorato da alcun sospetto eppure «sia per tutelare l’azienda sia per la mia persona» rimette nel febbraio scorso il mandato al governo. Fa questo passo una seconda volta, a marzo. Il ministro Pier Carlo Padoan le rigetta in entrambi i casi e lo invita ad andare avanti, addirittur­a fino alla scadenza del mandato nel 2018. Succede poi, il 15 giugno, che il presidente di Consip (altra persona alla quale sarebbe stata soffiata l’esistenza dell’inchiesta) finisce indagato per «false informazio­ni» e si dimette. E qui succede il papocchio. Perché il Pd del segretario Renzi e dell’indagato ministro Lotti riesuma una mozione che giace da 100 giorni (cento!) al Senato, il cui scopo è quello di far dimettere il non indagato e ingombrant­e Marroni al quale è stata rinnovata la fiducia a più riprese e nei confronti del quale non è sopravvenu­to alcun fatto nuovo. Quando però, fatti due conti, il Pd capisce di potere andare incontro a una clamorosa bocciatura in aula che avrebbe l’effetto boomerang di far scricchiol­are il governo batte in ritirata chiedendo di evitare l’esame del voto in Senato.

Il destino di Marroni è ovviamente segnato, dovrà in ogni caso lasciare il posto. E sarà questa la dimostrazi­one che il gioco perverso della politica ha calpestato il senso delle istituzion­i, che la salvaguard­ia del piccolo mondo antico di Rignano e dintorni ha prevalso sul sacro rispetto della giustizia, che l’arroganza del potere si è imposta sulla virtù della buona amministra­zione e della tanto decantata meritocraz­ia. Il fetore di questa torbida storia è destinato ad ammorbare le istituzion­i per molto tempo ancora e racchiude in sé il paradigma di un’epoca che doveva essere di virtuosa rottamazio­ne ma che invece nel nome della difesa di un familismo rapace si lascia dietro solo le macerie dello Stato.

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