La nuova vita di Palazzo Strozzi
Arte di ieri e di oggi, sostegno pubblico e fondi privati. Un mix di successo che fa l’orgoglio del direttore Arturo Galansino.
Il vecchio Filippo Strozzi può andare soddisfatto: a 600 anni di distanza, nel palazzo che aveva commissionato ad Antonio di Sangallo e che doveva spiccare come il più imponente di Firenze, i numeri continuano a tornare. Anche se, dentro, ora si fabbrica solo cultura. Il bilancio annuale, stilato secondo il metodo sviluppato da The Boston Consulting Group e relativo alle attività del 2016, parla in termini contabilmente molto chiari per Palazzo Strozzi: 396 mila visitatori, un fatturato di 7,6 milioni di euro, un impatto economico sul territorio valutato in 51 milioni. Da questi numeri si possono spacchettare quelli della rassegna evento del 2016, la prima personale italiana di Ai Weiwei che con 148 mila visitatori ha conquistato il primato di mostra di arte contemporanea più visitata di sempre in Italia (Biennale di Venezia a parte). Ai Weiwei inoltre ha fatto da moltiplicatore alla presenza di Palazzo Strozzi sui social: numero di fan su Facebook cresciuti del 70 per cento, Instagram schizzato in 12 mesi da 3 mila a 12.600 follower. Arturo Galansino, 40 anni, un curriculum ricco di esperienze all’estero (Louvre, National Gallery e Royal Academy), è arrivato a Palazzo Strozzi due anni fa con l’obiettivo di attrarre un pubblico nuovo, aprire a flussi più internazionali. I 103 articoli con cui la grande stampa estera ha raccontato la mostra di Ai Weiwei sono la dimostrazione che il bersaglio è stato centrato. Galansino, per un’istituzione culturale queste cifre rappresentano un’autentica ricchezza... Palazzo Strozzi è una realtà sempre più sostenibile. I contributi che vengono dal pubblico
sono scesi al 20 per cento. Il resto delle entrate viene da privati che partecipano alla Fondazione, in particolare l’associazione Partners Palazzo Strozzi e Fondazione Cassa di risparmio di Firenze, dal fundraising e dalla nostra “produzione”: biglietti, attività varie, royalties, bookshop. Il sogno è di affrancarvi del tutto dai contributi pubblici? Nient’affatto. I contributi del Comune di Firenze, della Regione Toscana e, in parte minore, della Camera di commercio sono fondamentali per due motivi. Costituiscono parte della base su cui possiamo contare ogni anno per costruire una programmazione, che per essere di qualità deve essere messa a punto con molto anticipo. In secondo luogo quel legame sottolinea che, pur nella nostra natura principalmente privata, svolgiamo anche un ruolo pubblico composto dalla forza della nostra offerta culturale, dall’impatto economico sul territorio e dalla mission sociale delle nostre attività educative e di accessibilità dedicate ai pubblici speciali. Voglio anche ricordare che gli spazi che rendono unica ogni nostra mostra ci vengono dati dal Comune; insomma, siamo un soggetto in cui il gioco di sponda tra pubblico e privato sta sviluppando dinamiche positive in ogni senso. In Italia è una logica che fatica a decollare. C’è bisogno di nuovi modelli che vadano oltre l’appalto a società esterne degli spazi espositivi pubblici, come spesso accade. Di certo c’è stata in Italia una resistenza di tipo culturale, di mentalità, ma sono mancati anche incentivi in grado di stimolare i privati a mettersi in gioco. L’art bonus è stato un inizio che ha dimostrato come, anche da noi, si può incenti- vare un gioco di squadra tra pubblico e privato a sostegno della cultura. Nella mia esperienza inglese ho visto l’importanza che possono avere le agevolazioni fiscali nell’attrarre i privati. Nel Regno Unito esistono anche altri strumenti, come la lotteria, che hanno ricadute importanti sui bilanci di tante istituzioni. Con la programmazione ha voluto smarcarsi nettamente dall’offerta culturale che caratterizza Firenze. Perché? Era inutile mettersi sulla scia di un turismo che accoppia una fugace visita agli Uffizi o al David con la sosta all’outlet. Firenze ha bisogno di aprirsi alla contemporaneità e attraverso questa di acquisire un pubblico nuovo, anche più giovane. L’età media dei visitatori di Palazzo Strozzi è fra i 30 e i 40 anni; il 75 per cento non è pubblico locale. La ricaduta, anche in termini economici sulla città, è notevole: è cresciuta del 55 per cento tra 2015 e 2016. Un flusso generato da quei 96.500 visitatori che (sul totale del pubblico) sono venuti a Firenze appositamente per visitare le mostre di Palazzo Strozzi. L’offerta di arte contemporanea non manca certo in Italia. Basti pensare al palinsesto di Venezia. Non c’è il rischio di una overdose? No, se si punta sulla qualità. Che per noi vuol dire creare mostre di livello internazionale, in grado di mettere gli artisti in dialogo con la città e la sua storia. È accaduto con Ai Weiwei e accade oggi con la mostra di Bill Viola, che infatti si intitola Rinascimento elettronico e ruota intorno all’importanza che il Rinascimento fiorentino ha avuto su uno dei padri fondatori della videoart. Lavoreremo così anche con gli artisti che arriveranno in futuro; tra questi Marina Abramovic, una delle punte della programmazione del 2018. A Palazzo Strozzi però non c’è solo contemporaneo.
No, in autunno proporremo una rassegna
spettacolare sul Cinquecento a Firenze. Da
Michelangelo a Vasari, ultimo atto di una trilogia sul manierismo. Una mostra simile ha avuto effetti benefici sul patrimonio, invece di impoverirlo, grazie a una campagna di restauri resi possibili, ancora una volta, dall’intervento dei privati.