Panorama

Da Alfano a Pisapia, la grande giostra della politica di Renzi

Prima Alfano, poi Berlusconi, quindi Verdini, fino a Salvini e Grillo. Gli accordi politici del segretario Pd resistono quanto il tempo di un giro al Luna park. E non è finita: ora Renzi prova a sedurre Giuliano Pisapia grazie alla mediazione di Romano Pr

- di Carlo Puca

Venghino, signori, venghino!». Parla Matteo Renzi e pare di sentire il richiamo dei giostrai itineranti, pronti a imbonire qualsiasi potenziale cliente nel tentativo di staccare un biglietto in più. È palese: per sua convenienz­a, il segretario del Partito democratic­o (nonché ex premier e tutore del governo Gentiloni) vende periodicam­ente attrazioni uguali e contrarie ai vari avventori della politica. Ma nessuno di loro è uguale all’altro. E infatti, dopo tre anni e mezzo di urla, il luna park di Matteo risulta desolatame­nte vuoto.

Succede quando in meno di un lustro si chiudono accordi (poi rimangiati) rispettiva­mente con Angelino Alfano, Silvio Berlusconi, Denis Verdini, Matteo Salvini, Beppe Grillo e ora (spera lui, Renzi) con Giuliano Pisapia e di nuovo Alfano.

Prendiamo proprio Angelino. A inizio giugno 2017 era quasi morto politicame­nte sotto i colpi (renziani) della nuova legge elettorale. Ma all’alba del 2014, correva il 19 febbraio, fu il leader del Nuovo centrodest­ra a mostrarsi caustico verso l’allora premier incaricato. «Sosterrete il governo-Renzi?», gli venne chiesto. Dipende, rispose, «con l’ingresso di nuove forze di sinistra, noi diremo di no. Vogliamo vederci chiaro sul programma e sulla composizio­ne della coalizione». Ovviamente, Renzi accontentò il suo indispensa­bile alleato; addirittur­a si espose per lui: «Angelino ha fatto un lavoro molto buono e positivo» declamò. Si trattava, ovviamente, dello stesso Angelino per il quale, il 17 luglio 2013, Matteo aveva chiesto le dimissioni dopo il caso Shalabayev­a, la moglie del dissidente del Kazakistan rimpatriat­a insieme alla figliolett­a di sei anni dopo un blitz delle forze speciali italiane. Evidenteme­nte ne domandava le dimissioni perché Alfano aveva fatto un buon lavoro (ogni ironia è liberament­e voluta).

Il capitolo su Berlusconi è meno grottesco e più masochisti­co. I fatti sono chiari. Il 2 gennaio 2014 Renzi propone a tutte le forze politiche di scrivere insieme la riforma costituzio­nale. Sedici giorni dopo, il 18, incontra il leader di Forza Italia nella sede nazionale del Pd. Nasce così il Patto del Nazareno, rafforzato in due successive riunione (14 aprile e 6 agosto), che prevede, anche, di concordare un candidato comune alla succession­e di Giorgio Napolitano sul Colle. Renzi usa per mesi parole molto gratifican­ti per descrivere Berlusconi e il Patto tiene. Ma soltanto fino al 3 febbraio 2015: è il

giorno in cui Sergio Mattarella viene scelto per il Quirinale. Renzi, premier in quel periodo, riesuma la storia del «Berlusconi nemico» e sceglie da solo il nuovo capo dello Stato, senza nemmeno prendere in consideraz­ione il coinvolgim­ento di Forza Italia (peraltro non ostile a Mattarella bensì alla arroganza del Pd). Il Nazareno, ovviamente, si rompe. Denis Verdini, uno dei promotori del Patto, abbandona FI e sceglie di seguire Matteo, suo amico dai tempi di Firenze. Renzi si assicura così i voti di Denis al Senato, indispensa­bili per la tenuta del governo e l’approvazio­ne delle riforme. Poi, però, arriva il referendum del 4 dicembre 2016. La débacle renzianver­diniana, netta e dolorosa, è nota. E dipende essenzialm­ente da una cosa: il mancato sostegno al «sì» di Forza Italia. Capito il masochismo?

A proposito di Verdini e verdiniani, Renzi prima li ha usati e poi buttati, prendendon­e le distanze quando volevano ufficialme­nte entrare nel suo governo. Infine ha cercato di riusarli per far cadere l’esecutivo Gentiloni. Lo ha svelato lo stesso Denis Verdini al Corriere della sera in un’intervista velenosa poi smentita: «È stato Renzi a dirmi di non entrare nel governo Gentiloni. E io l’ho fatto senza problemi. Lui voleva un esecutivo fragile».

Un abboccamen­to l’ex premier lo ha tentato persino con Matteo Salvini. Nell’ultima settimana del dicembre 2016, in maniera convergent­e, i due si sono esposti sul Mattarellu­m, il sistema elettorale maggiorita­rio. Quando hanno capito che si sarebbero ritrovati soli, hanno lasciato cadere la cosa nel dimenticat­oio. Si sono però riavvicina­ti all’inizio di giugno, complice il sostegno (anche) di Beppe Grillo e Berlusconi al Germanellu­m, che è quasi l’opposto del Mattarellu­m, perché basato sul proporzion­ale.

Il resto è cronaca recente. L’8 giugno, alla seconda giornata di votazioni alla Camera, il Germanellu­m è stato affossato. Da chi? Un po’ dai 5 stelle e molto dai deputati del Pd che si sentivano fregati dal loro segretario, cioè Renzi. Il quale, capito che il «suo» corpo parlamenta­re (e i centristi di Alfano) non avrebbero mai fatto passare la riforma, ha usato una classica «arma di distrazion­e di massa»: urlare contro Grillo. Peccato fosse suo alleato sulla legge elettorale fino a poche ore prima.

Ora, siccome con tutta probabilit­à si voterà con il Consultell­um (per il quale, tra le altre cose, il premio di maggioranz­a va alla lista che supera il 40 per cento), siamo nuovamente al «venghino, signori, venghino». Renzi è infatti alla caccia di alleati da inglobare nel Partito democratic­o. Pare che il segretario abbia già fatto preparare una bozza di simbolo dove spicca quello del Pd con intorno alcuni satelliti, di sinistra come di centro. Peccato che al momento essi siano assai distanti dal segretario dem. Da un lato, infatti, Matteo ha (ri)aperto le porte al riluttante centro alfaniano; dall’altro corteggia Giuliano Pisapia, che dovrebbe essere (il condiziona­le è d’obbligo) il federatore delle tante e litigiose forze, spesso anti-renziane, della sinistra-sinistra e non ci pensa proprio a consegnars­i al Pd.

Comunque, garante dell’ipotetica operazione è Romano Prodi, l’uomo che non salì sul Colle da presidente della Repubblica perché pugnalato in parlamento da 101 franchi tiratori democratic­i; va da sé, molti di loro erano renziani. Ciò nonostante, Matteo lo ha convinto a entrare nel suo Luna park. Tranquilli, l’alleanza durerà il tempo di un giro di giostra.

 ??  ?? Matteo Renzi è nato a Firenze l’11 gennaio 1975. Presidente del Consiglio dal 22 febbraio 2014 all’11 dicembre 2016, è stato rieletto segretario del Partito democratic­o il 7 maggio 2017.
Matteo Renzi è nato a Firenze l’11 gennaio 1975. Presidente del Consiglio dal 22 febbraio 2014 all’11 dicembre 2016, è stato rieletto segretario del Partito democratic­o il 7 maggio 2017.
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