Da Alfano a Pisapia, la grande giostra della politica di Renzi
Prima Alfano, poi Berlusconi, quindi Verdini, fino a Salvini e Grillo. Gli accordi politici del segretario Pd resistono quanto il tempo di un giro al Luna park. E non è finita: ora Renzi prova a sedurre Giuliano Pisapia grazie alla mediazione di Romano Pr
Venghino, signori, venghino!». Parla Matteo Renzi e pare di sentire il richiamo dei giostrai itineranti, pronti a imbonire qualsiasi potenziale cliente nel tentativo di staccare un biglietto in più. È palese: per sua convenienza, il segretario del Partito democratico (nonché ex premier e tutore del governo Gentiloni) vende periodicamente attrazioni uguali e contrarie ai vari avventori della politica. Ma nessuno di loro è uguale all’altro. E infatti, dopo tre anni e mezzo di urla, il luna park di Matteo risulta desolatamente vuoto.
Succede quando in meno di un lustro si chiudono accordi (poi rimangiati) rispettivamente con Angelino Alfano, Silvio Berlusconi, Denis Verdini, Matteo Salvini, Beppe Grillo e ora (spera lui, Renzi) con Giuliano Pisapia e di nuovo Alfano.
Prendiamo proprio Angelino. A inizio giugno 2017 era quasi morto politicamente sotto i colpi (renziani) della nuova legge elettorale. Ma all’alba del 2014, correva il 19 febbraio, fu il leader del Nuovo centrodestra a mostrarsi caustico verso l’allora premier incaricato. «Sosterrete il governo-Renzi?», gli venne chiesto. Dipende, rispose, «con l’ingresso di nuove forze di sinistra, noi diremo di no. Vogliamo vederci chiaro sul programma e sulla composizione della coalizione». Ovviamente, Renzi accontentò il suo indispensabile alleato; addirittura si espose per lui: «Angelino ha fatto un lavoro molto buono e positivo» declamò. Si trattava, ovviamente, dello stesso Angelino per il quale, il 17 luglio 2013, Matteo aveva chiesto le dimissioni dopo il caso Shalabayeva, la moglie del dissidente del Kazakistan rimpatriata insieme alla figlioletta di sei anni dopo un blitz delle forze speciali italiane. Evidentemente ne domandava le dimissioni perché Alfano aveva fatto un buon lavoro (ogni ironia è liberamente voluta).
Il capitolo su Berlusconi è meno grottesco e più masochistico. I fatti sono chiari. Il 2 gennaio 2014 Renzi propone a tutte le forze politiche di scrivere insieme la riforma costituzionale. Sedici giorni dopo, il 18, incontra il leader di Forza Italia nella sede nazionale del Pd. Nasce così il Patto del Nazareno, rafforzato in due successive riunione (14 aprile e 6 agosto), che prevede, anche, di concordare un candidato comune alla successione di Giorgio Napolitano sul Colle. Renzi usa per mesi parole molto gratificanti per descrivere Berlusconi e il Patto tiene. Ma soltanto fino al 3 febbraio 2015: è il
giorno in cui Sergio Mattarella viene scelto per il Quirinale. Renzi, premier in quel periodo, riesuma la storia del «Berlusconi nemico» e sceglie da solo il nuovo capo dello Stato, senza nemmeno prendere in considerazione il coinvolgimento di Forza Italia (peraltro non ostile a Mattarella bensì alla arroganza del Pd). Il Nazareno, ovviamente, si rompe. Denis Verdini, uno dei promotori del Patto, abbandona FI e sceglie di seguire Matteo, suo amico dai tempi di Firenze. Renzi si assicura così i voti di Denis al Senato, indispensabili per la tenuta del governo e l’approvazione delle riforme. Poi, però, arriva il referendum del 4 dicembre 2016. La débacle renzianverdiniana, netta e dolorosa, è nota. E dipende essenzialmente da una cosa: il mancato sostegno al «sì» di Forza Italia. Capito il masochismo?
A proposito di Verdini e verdiniani, Renzi prima li ha usati e poi buttati, prendendone le distanze quando volevano ufficialmente entrare nel suo governo. Infine ha cercato di riusarli per far cadere l’esecutivo Gentiloni. Lo ha svelato lo stesso Denis Verdini al Corriere della sera in un’intervista velenosa poi smentita: «È stato Renzi a dirmi di non entrare nel governo Gentiloni. E io l’ho fatto senza problemi. Lui voleva un esecutivo fragile».
Un abboccamento l’ex premier lo ha tentato persino con Matteo Salvini. Nell’ultima settimana del dicembre 2016, in maniera convergente, i due si sono esposti sul Mattarellum, il sistema elettorale maggioritario. Quando hanno capito che si sarebbero ritrovati soli, hanno lasciato cadere la cosa nel dimenticatoio. Si sono però riavvicinati all’inizio di giugno, complice il sostegno (anche) di Beppe Grillo e Berlusconi al Germanellum, che è quasi l’opposto del Mattarellum, perché basato sul proporzionale.
Il resto è cronaca recente. L’8 giugno, alla seconda giornata di votazioni alla Camera, il Germanellum è stato affossato. Da chi? Un po’ dai 5 stelle e molto dai deputati del Pd che si sentivano fregati dal loro segretario, cioè Renzi. Il quale, capito che il «suo» corpo parlamentare (e i centristi di Alfano) non avrebbero mai fatto passare la riforma, ha usato una classica «arma di distrazione di massa»: urlare contro Grillo. Peccato fosse suo alleato sulla legge elettorale fino a poche ore prima.
Ora, siccome con tutta probabilità si voterà con il Consultellum (per il quale, tra le altre cose, il premio di maggioranza va alla lista che supera il 40 per cento), siamo nuovamente al «venghino, signori, venghino». Renzi è infatti alla caccia di alleati da inglobare nel Partito democratico. Pare che il segretario abbia già fatto preparare una bozza di simbolo dove spicca quello del Pd con intorno alcuni satelliti, di sinistra come di centro. Peccato che al momento essi siano assai distanti dal segretario dem. Da un lato, infatti, Matteo ha (ri)aperto le porte al riluttante centro alfaniano; dall’altro corteggia Giuliano Pisapia, che dovrebbe essere (il condizionale è d’obbligo) il federatore delle tante e litigiose forze, spesso anti-renziane, della sinistra-sinistra e non ci pensa proprio a consegnarsi al Pd.
Comunque, garante dell’ipotetica operazione è Romano Prodi, l’uomo che non salì sul Colle da presidente della Repubblica perché pugnalato in parlamento da 101 franchi tiratori democratici; va da sé, molti di loro erano renziani. Ciò nonostante, Matteo lo ha convinto a entrare nel suo Luna park. Tranquilli, l’alleanza durerà il tempo di un giro di giostra.