Non illudiamoci, il bipolarismo non tornerà
Il centrosinistra chiede a Pietro Grasso di candidarsi a governatore della Sicilia. Ma il presidente del Senato non scioglie la riserva. E così si allungano ombre su una figura istituzionale che dovrebbe essere garante ed equidistante.
Immaginate se il Presidente Sergio Mattarella accettasse di candidarsi a governatore della Sicilia. O, magari se Giorgio Napolitano, che pure ha dimostrato di avere una logica tutta sua nell’interpretare ruoli istituzionali, si presentasse alle elezioni per prendere il posto di Vincenzo De Luca. Parliamo di enormità sul piano dello stile, del costume e, appunto, del tatto istituzionale. Eppure Pietro Grasso, il presidente del Senato famoso per aver portato l’uso del «canguro» all’estremo, cioè lo strumento parlamentare «ammazza emendamenti» che permise al governo Renzi di varare al Senato quella riforma costituzionale che poi naufragò nel Paese, sta proprio valutando se trovare un posto a Palazzo dei Normanni.
In realtà l’interessato più che farci un pensierino su, sta quasi per sciogliere la riserva con Matteo Renzi che lo vorrebbe in quel ruolo.
«Con lui» è il pensiero del segretario del Pd in proposito «si può vincere in Sicilia e bloccare l’avanzata grillina nell’isola». La propensione di Grasso a dire di «sì» è, però, ispirata soprattutto ad un pragmatico realismo: è difficile, se non impossibile, che nella prossima legislatura il nostro possa tornare a dirigere l’assemblea di Palazzo Madama. Anzi, è addirittura improbabile che trovi posto nelle liste del Pd.
Solo che, per un Presidente del Senato, la decisione di candidarsi a Governatore non ha precedenti negli annali della Repubblica.
«Io nel 2012 rifiutai» ricorda il suo predecessore, Renato Schifani «e non me ne sono mai pentito». Eh sì, perché c’è qualcosa che stona nella scelta di un presidente del Senato, cioè del personaggio che nella nostra architettura istituzionale è l’alter ego del capo dello Stato, la personalità che lo sostituisce quando è impegnato in missioni all’estero o in caso di necessità, di catapultarsi da Palazzo Madama nel bel mezzo di una competizione politica come le elezioni regionali.
Si passa, infatti, da un incarico che dovrebbe essere improntato all’imparzialità, al ruolo di «frontman» di uno schieramento politico. In poche parole ci si trasforma nel proprio «contrario».
Ecco perché se Grasso fosse proprio intenzionato a scendere in lizza per il governo della Trinacria, dovrebbe sciogliere la sua riserva in tempi brevi.
Anche se sul piano formale i tempi di presentazione della candidatura scadono a metà settembre, infatti, l’idea di un presidente del Senato che, alla vigilia della campagna elettorale siciliana, in 24 ore, si trasforma da custode dell’imparzialità a Roma, a capo di uno schieramento politico a Palermo, non è più un’enormità, ma un insulto al galateo istituzionale.
«Io da lui mi aspetto di tutto» confida ai suoi Silvio Berlusconi, «sul voto sulla mia decadenza in Senato pretese lo scrutinio palese, cambiando una prassi nelle votazioni sulla persona che era in voga dallo Statuto Albertino». Già, per alcuni le regole o lo stile istituzionale, sono solo una questione di punti di vista...