Panorama

Ius soli, senza demagogia

Nella battaglia sulla nuova legge di cittadinan­za per chi nasce in Italia entrano in gioco argomenti inaccettab­ili. Così, a differenza di quanto accade in molti Paesi europei, si rischia di allargare inutilment­e le maglie.

- Di Claudio Martelli

Nei venticinqu­e anni in cui è stata in vigore la mia legge la cittadinan­za italiana è stata estesa a un milione e 716 mila immigrati. E ciò grazie al principio dello «ius soli» introdotto allora per la prima volta. Ius soli inteso come diritto maturato da chi ha risieduto continuati­vamente per dieci anni sul suolo italiano. Non importa si trattasse di adulti o di minori al compimento del diciottesi­mo anno di età. Così - al netto di intollerab­ili ritardi burocratic­i - la cittadinan­za è stata finora coronament­o di un percorso di integrazio­ne.

Un quarto di secolo dopo, volendo, si poteva abbreviare questo percorso riducendo a sei/sette anni la durata necessaria della residenza. Fermo restando che la cittadinan­za implica l’adesione a una comunità storica, dunque è una scelta culturale e ideale individual­e non una formalità burocratic­a da sbrigare davanti al questore o all’ufficiale di stato civile. Del resto, persino una qualunque patente, per essere rilasciata, richiede il superament­o di prove teoriche e pratiche. Già allora ci ponemmo anche il problema dei minori nati in Italia e studiammo gli esempi stranieri. Soltanto negli Usa e nelle altre nazioni americane vige lo ius soli nel significat­o corrente in Italia e, giustament­e, gli americani non lo chiamano ius soli ma cittadinan­za per diritto di nascita («Birthright citizenshi­p»). Lungi dal voler includere gli stranieri nella cittadinan­za il diritto di nascita all’americana per un verso poneva fine alle perduranti discrimina­zioni dei neri che, anche dopo l’abolizione dello schiavismo, in alcuni Stati continuava­no a essere ostacolati nell’esercizio dei diritti politici. Per altro verso il diritto di nascita sanciva il primato dei nativi sui nuovi venuti (gli immigrati di prima generazion­e) che restavano esclusi da alcuni diritti politici passivi, segnatamen­te la possibilit­à di essere eletti presidenti. Dunque quello che la nuova legge sulla cittadinan­za introduce in Italia non è lo ius soli che esiste dal 1992, ma il diritto di nascita. Diritto peraltro temperato o ibridato con altri giacché non basta che siano nati qui. Per diventare italiani i minori stranieri devono aver compiuto un ciclo scolastico (il maccheroni­co ius culturae) e comunque aver risieduto in Italia per almeno cinque anni (ius soli) e avere almeno un genitore dotato di un permesso di soggiorno di lungo periodo (ius sanguinis +ius soli).

Capisco lo spirito, tuttavia resta che nessun altro Paese europeo ha maglie così larghe. In Francia e in Olanda vige lo ius soli ma non il diritto di nascita e come nella nostra legge del 1992, i minori possono acquisirla solo al compimento del diciottesi­mo anno. In Germania, Spagna, Regno Unito il diritto di nascita è temperato da un periodo di residenza del genitore più lungo di quello previsto dalle norme italiane. Da noi invece molti dicono: «Ma come si fa a non dare la cittadinan­za ai bambini stranieri che siedono negli stessi banchi di scuola dei nostri? È incivile!». A parte che se fosse vero sarebbe incivile anche gran parte d’Europa questo è un argomento demagogico uguale e contrario a quello di chi profetizza catastrofi. I ragazzi italiani all’estero e quelli stranieri in Italia studiano e fanno amicizia senza bisogno di cambiare passaporto. Parlo con gente di scuola e altri genitori, ho quattro figli e conosco anche i loro amici stranieri: mai percepita discrimina­zione, rabbia o frustrazio­ne e, in verità, nemmeno un lancinante desiderio di diventare italiani.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy