Panorama

Vitalizi: Paniz solo contro tutti

I successi di un manager estraneo alla politica a Genova e di Macron in Francia dimostrano che gli elettori puntano sempre più sulle persone e non sugli schieramen­ti. Ma nell’Italia a corto di leader il pericolo è di avere in futuro un Parlamento tripolar

- di Luca Ricolfi

Irisultati delle elezioni amministra­tive dell’11 giugno (ancora parziali, in attesa degli esiti dei ballottagg­i di domenica 25 giugno) hanno suscitato non poche sorprese. Non tutti, ad esempio, si aspettavan­o il notevole recupero del centrodest­ra, anche se alcuni sondaggi avevano già registrato una certa ripresa dei partiti che ne fanno parte (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia). Né era facile immaginare che il centrodest­ra potesse risultasse nettamente in testa in due province liguri importanti come Genova e La Spezia. Ma la vera sorpresa, credo un po’ per tutti, è stato il flop del Movimento 5 stelle. Dopo i grandi successi delle precedenti amministra­tive, con la conquista di Roma (Virginia Raggi) e Torino (Chiara Appendino), era difficile attendersi una piena conferma della forza dei 5 Stelle, se non altro per la manifesta inadeguate­zza della sindaca della Capitale; ma altrettant­o arduo era immaginare un tracollo di proporzion­i così ampie come quelle fatte registrare domenica 11 giugno.

Perché? Una ragione, tutto sommato la

meno preoccupan­te per i 5 stelle, è che il radicament­o del partito di Beppe Grillo è quello che è, ovvero quasi inesistent­e. La fede cieca nelle virtù (e nell’autosuffic­ienza) del circuito chiuso della rete non ha certo favorito la presenza - presenza fisica, non virtuale - degli esponenti del movimento fra la gente. C’è poi la autolesion­istica norma che limita il numero di mandati, e induce vari politici a cercare innanzitut­to di arraffare un posto in Parlamento, prima che scada il tempo concesso a ciascuno di essi.

Però il fattore che dovrebbe preoccupar­e Grillo e i suoi è un altro. Le elezioni amministra­tive hanno dimostrato che l’elettorato italiano è fluido, fluidissim­o. E l’elettorato 5 stelle lo è in sommo grado. Guardate che cosa è successo a Genova, dove il candidato del centrodest­ra unito (dagli «estremisti» della Lega ai «moderati» di Alleanza Popolare) Marco Bucci è in

testa. I flussi ricostruit­i dall’Istituto Cattaneo con il cosiddetto modello di Goodman, un dispositiv­o matematico-statistico che permette di calcolare «chi ha votato chi», ovvero quali sono stati gli spostament­i di voto fra due elezioni, mostrano che il candidato 5 stelle non è riuscito a intercetta­re nemmeno metà dei voti che avevano attirato i suoi predecesso­ri, né in occasione delle precedenti comunali (2012), né in occasione delle precedenti politiche (2013). Molti voti 5 stelle delle comunali 2012 sono finiti al candidato del centrodest­ra, molti voti dei 5 stelle alle politiche 2013 sono finiti nell’astensione.

È questo, forse, il vero tallone d’Achille del Movimento. Il voto al partito di Grillo è un voto che può espandersi in qualsiasi momento, complice il discredito degli altri partiti. Ma è anche un voto che in qualsiasi momento può contrarsi, sgonfiarsi, implodere. Come dimostrano gli insuccessi delle ultime amministra­tive, che hanno coinvolto anche il Sud, da qualche anno roccaforte elettorale dei grillini.

È vero che, a livello nazionale, conterà di meno il radicament­o nei territori, e conteranno di più le idee generali, che ai 5 stelle non mancano, e che sono in perfetta sintonia con l’umore del Paese: controllo dei flussi migratori, reddito garantito per chi non ha un lavoro. È anche vero, però, che per conferire a una forza politica o a una coalizione un mandato di governo nazionale i cittadini pretendono qualcosa di più di quanto i 5 stelle oggi offrono.

È probabile che i prossimi mesi vedano

un ritorno delle tensioni sui tassi di interesse dei titoli di Stato e sullo spread, innescato dalla cattiva gestione dei nostri conti pubblici (è di questi giorni la notizia di un ulteriore incremento del debito pubblico). Rispetto a questa spada di Damocle i 5 stelle sono scoperti, perché l’uscita dall’euro non è certo la soluzione del problema del debito, e i leader che il Movimento sembra intenziona­to a candidare alla guida del paese tutto sono tranne che figure di timonieri navigati e rassicuran­ti.

Forse, se qualcosa suggerisco­no gli esiti delle amministra­tive, è che in una situazione in cui tutte le forze politiche hanno stancato l’elettore, la differenza la possono fare le persone. È, in fondo, la lezione di Genova, dove i cittadini hanno conferito fiducia a un manager di successo. Ma è anche, forse, la lezione del voto francese, dove, quale che sia il nostro giudizio su Emmanuel Macron (il mio non è certo entusiasta), sta di fatto che il successo è dipeso dal singolo, non certo dal contorno di forze che l’hanno appoggiato.

Da questo punto di vista non solo i 5 stelle, ma tutti e tre i poli che si contendono il governo dell’Italia, non sono messi bene. La sinistra è guidata da un ex ragazzo, innamorato di sé stesso e del tutto incapace di vedersi dall’esterno (se lo fosse, farebbe meno battute, e non prevariche­rebbe sistematic­amente l’interlocut­ore). La destra è ostaggio dei conflitti fra Forza Italia e Lega, con due leader che si elidono a vicenda, e a quanto pare non intendono comprender­e che solo una figura nuova, che si collochi al di fuori delle vecchie contrappos­izioni, può ridare slancio al centrodest­ra.

In questa situazione lo scenario più probabile mi pare questo: dopo i ballottagg­i penseremo per un attimo che sia tornato il bipolarism­o destra-sinistra, salvo risvegliar­ci fra un anno, dopo le elezioni politiche (marzo 2018?), con l’amara realtà di un parlamento tripolare, in cui non c’è alcuna maggioranz­a in grado di dare un governo al Paese.

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