La sfida oltre la disabilità
Un incidente simile con la moto, in cui entrambi hanno perso una gamba. Così i destini di Andrea Devincenzi, 44 anni, e Massimo Spagnoli, 20, si sono incrociati ed è nata un’amicizia fatta di sport e volontà di riscatto. Ora con un viaggio tra bici e trekking da Milano a Capo Nord mostreranno come la ricerca della felicità vinca anche le barriere della disabilità.
La stessa brutta partenza: un grave incidente di moto tra i 17 e i 18 anni, e l’amputazione di una gamba. Poi una vita che per entrambi si trasforma in una sfida. E ora un viaggio, da fare insieme attraversando 17 Paesi fino a Capo Nord, coprendo 11 mila chilometri di strada fra andata e ritorno, con lunghi tratti in bicicletta e qualche ambizioso percorso di trekking.
È straordinaria la storia di Andrea Devicenzi e Massimo Spagnoli. Potrebbero stare lì a piangersi addosso, perché la vita con loro è stata dura, cattiva, ingiusta. Invece l’incidente li ha trasformati in due forze della natura, e a ogni passo tirano fuori un entusiasmo incontenibile, contagioso. La loro più intima energia è fatta di sogni e ora si esprime anche in un’amicizia nata d’impeto, in poche ore, pur se Andrea oggi ha 44 anni e Massimo nemmeno 20.
Prima dell’incidente, Devicenzi lavorava con suo padre come po
satore di pavimenti a Casalmaggiore, una cittadina del Cremonese: «Con i primi risparmi ero riuscito a comprarmi quel 125 cc, che era una meraviglia» racconta, senza un’ombra di autocommiserazione. «Poi, nel 1989, il fattaccio». Andrea cade e perde la gamba sinistra. Per i primi cinque mesi, ricorda, è stata durissima: «Attorno a me erano tutti spaventati. Lo erano anche i miei genitori, che poi sono stati i veri pilastri della mia esistenza da ricostruire».
Il cemento di quella ricostruzione è lo sport: «Ventisette anni fa facevo judo, atletica, calcio e canoa. Decisi che nel giugno 1991 avrei partecipato alla Vogalonga di Cremona. Non volevo perdermela. Mi sono allenato, e allenato. E ce l’ho fatta: sono arrivato fino in fondo a quei 32 chilometri». È a quel punto, spiega Andrea, che in lui è scattato il «segnale forte»: «A quasi vent’anni ho capito che a incidere sulla mia vita non sarebbe stato il numero delle gambe, ma quello che davvero volevo fare».
Esattamente lo stesso è accaduto a Massimo. Milanese, studente di liceo un po’ solitario e appassionato di sci, di golf, e d’immersioni subacquee, nel maggio 2016 si schianta in moto e gli viene amputata la gamba destra sotto il ginocchio. Oggi ti sorprende fin dalle prime battute: «La mia vita, prima, era banale» sorride. «Ora invece è interessante e piena di sfide. Ho perso una gamba. Però ora tutto è migliore, ha più sapore». Suo padre Aldo è fiero di lui, tanto più dopo l’inferno di questi ultimi 12 mesi trascorsi peregrinando tra Europa e America, cercando di salvare prima almeno il ginocchio e poi la futura esistenza del figlio.
Dopo i due incidenti, le due vite parallele di Massimo e Andrea hanno ripreso a correre a un ritmo più
veloce. Quasi subito, Devicenzi ha scelto lo sport agonistico. Il triathlon e soprattutto la bicicletta gli hanno dato grandi soddisfazioni, tra medaglie e primati internazionali, tanto da permettergli di partecipare alle Paralimpiadi di Londra nel 2012. Ha messo competizioni e gare al primo posto, Andrea, ma non ha mai smesso di lavorare: prima come impiegato e poi da responsabile della produzione in un impianto siderurgico.
Tre anni fa, però, s’è licenziato. Aveva capito che la sua vera vocazione è spiegare al prossimo che la vita va vissuta fino in fondo: personal trainer, per disabili e no. Oggi è un coach apprezzato, per lavoro viaggia in tutt’Italia e ne approfitta per andare nelle scuole e insegnare ai ragazzi (finora ne ha incontrati oltre 25 mila) che si può anche restare senza una gamba, ma l’importante è rincorrere un sogno. Si è sposato, e con Jessica vivono a Martignana di Po con le loro due figlie, Giulia di 12 anni e Noemi di 7. Una vita del tutto normale, insomma? Mica tanto. «Nel 2010 sono stato il primo e finora l’unico disabile a concludere un raid in piena autosufficienza sulla strada carrozzabile più alta del mondo». Non è proprio da tutti percorrere 700 chilometri in appena otto giorni, arrampicandosi in sella a una bici fino a quota 5.602 sul passo indiano del Kardlung-La. Figurarsi, poi, senza una gamba... «È stata l’avventura che m’ha cambiato la vita e portato a cambiare lavoro» riflette Andrea. «Il silenzio, i momenti difficili, la solitudine mi hanno anche spinto dalle competizioni pure al trekking in solitaria. È come se quel viaggio così “fuori” dal mondo m’avesse costretto
a viaggiare “dentro” di me».
Così nel 2016, sempre da solo sulla sua bici, Devicenzi ha speso 20 giorni pedalando per 1.350 chilometri tra Lima e Cuzco, in Perú, portandosi dietro 38 chili d’attrezzatura; non contento, ha allungato ancora di 46 chilometri fino alla vetta del Machu Picchu, stavolta a piedi e con le stampelle, e con lo zaino in spalla. «In gennaio stavo preparando il mio trekking del 2017 in Nuova Zelanda: volevo tagliarla in verticale, da nord a sud».
Ma è proprio a quel punto, sei mesi fa, che la storia di Andrea s’incrocia con quella di Massimo. Aldo Spagnoli ha letto chissà dove la storia del coach cremonese, un uomo senza la gamba sinistra che invita tutti a non avere mai paura del cambiamento perché «non si hanno risposte se stai fermo davanti a un bivio» e «perché noi siamo sempre e solo il risultato del nostro movimento». Si convince che un incontro possa essere utile, e gli porta il figlio.
È lì che scocca la scintilla. Il ragazzo confessa al nuovo «maestro» una verità strana e disarmante: «La voglia di vivere m’è venuta dopo l’incidente». Così in quel ventenne caduto da una moto Devicenzi rivede il sé stesso di 27 anni fa. E l’incontro, che dovrebbe durare un’ora, va avanti per quattro. «Massimo m’è parso introspettivo: mostrava forza, ma stava ancora vivendo il trauma. Poi mi ha rivelato il suo sogno». E qui Andrea un poco si commuove: «Voleva arrivare alla fine della terra. M’è venuto spontaneo dirgli: e se t’accompagnassi?». Massimo ride: «È diventato il mio idolo».
È caduto così senza un lamento
il progetto in Nuova Zelanda: travolto dall’idea di andare assieme fino a Capo Nord, il punto più settentrionale della Norvegia, là dove davvero finisce la Terra. «Oltre non si può andare» dice Massimo. E parrà forse strano, ma lo scorso gennaio il ragazzo si muoveva ancora in carrozzina o con la protesi, e a fatica. «E tre mesi fa non usava le stampelle» insiste Devicenzi «mentre pochi giorni fa abbiamo fatto insieme un trekking di 4-5 ore. Insomma, ci stiamo preparando bene!». I sogni, a volte, diventano realtà. Finanziata in parte dalla Fondazione Vodafone Italia (si veda il riquadro a destra), l’avventura di Massimo e Andrea inizierà il 5 luglio. Intanto l’allenamento continua: «Partiremo in auto» dice Devicenzi «ma io correrò per qualche tratto in bici e faremo insieme alcuni percorsi di trekking». Il viaggio servirà anche per incontrare ragazzi nei 16 Paesi che i due attraverseranno. «Diremo a tutti di non abbattersi mai» progetta Massimo «perché vivere è bello. E non si deve pensare a quel che dicono gli altri, bisogna fare quel che ti rende felice».
All’impresa l’uomo e il ragazzo senza una gamba hanno dato un nome suggestivo: Route 22. «Nasce da “Progetto 22”, la filosofia alla base del metodo di Devicenzi. «Si chiama così perché sono i 22 percorsi che agli studenti dico di seguire per vivere bene» dice il personal coach. E inizia a elencarli: «Amicizia, amore, carattere, determinazione, passione, volontà…». Buon viaggio.