Dall’Africa all’Italia. E poi?
Dopo i 181 mila del 2016, quest’anno in Italia si attendono 200 mila nuovi arrivi. E nei Comuni, anche quelli governati dal centrosinistra, cresce la resistenza della popolazione e delle amministrazioni ad accoglierli.
G li ultimi 3 mila sono sbarcati il 29 giugno tra Sicilia, Calabria e Campania. Ma la notizia, ormai, non merita un trafiletto. Routine. Mentre in Parlamento ci si accapiglia sullo ius soli ( vedi anche articolo a pag. 50), che rafforzerebbe i diritti di cittadinanza per gli immigrati, s’ingrossa la marea umana che ogni giorno sbarca sulle nostre coste. Nel 2016 sono entrate in Italia oltre 181 mila persone. Record destinato a essere infranto a breve. Il ministero dell’Interno ha già messo le mani avanti: nel 2017 arriveranno almeno 200 mila profughi. Proiezione confermata dai dati parziali: dall’1 gennaio al 20 giugno 2017, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, gli ingressi sono aumentati del 26 per cento.
Destino ineluttabile. E divisivo. Il partito dello stop all’immigrazione s’ingrossa, risoluto e trasversale. L’ha plasticamente dimostrato, l’11 giugno scorso, il primo turno delle amministrative. Como e Monza, Genova e La Spezia, Carrara e Oristano: città fino a oggi guidate dal centrosinistra, registrano l’avanzata di candidati meno inclini all’accoglienza. E a Lampedusa, città simbolo degli sbarchi, il sindaco uscente, Giusi Nicolini, è stata maltrattata alle urne: nonostante lo smaccato sostegno dell’ex premier Matteo Renzi, è giunta terza.
Anche per il Movimento cinque stelle l’ultima tornata è stata un fiasco. Così, per riguadagnare il consenso perduto, i grillini hanno scelto il terreno elettoralmente più fecondo: l’alt ai profughi. Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, già sacerdotessa del buonismo, chiede una moratoria sui nuovi arrivi. Mentre Luigi Di Maio, candidato premier in pectore dei Cinque stelle, boccia platealmente lo ius soli partorito dal centrosinistra. Il fronte anti migranti però è ben più variegato e coinvolge enti locali di ogni schieramento. Tutto esaurito, rimarcano gli oltranzisti. Abbiamo già dato, dicono molti amministratori che già accolgono molti migranti, pressati da cittadini disorientati e incattiviti.
Già. Ma come affrontare la nuova emergenza? Le linee guida sono state fissate all’inizio di quest’anno dal Viminale e dall’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani. Il progetto mira a potenziare, con una serie di incentivi, l’adesione volontaria al piano Sprar: il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. E limitare l’uso dei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, gestiti dalle prefetture: sovradimensionati, poco controllati e imposti. In queste strutture vivono circa in 140 mila. Ossia la stragrande maggioranza dei 180 mila migranti.
Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, spiega a Panorama: «Su 8 mila comuni, quelli che ospitano sono solo 2.800. La distribuzione non è equilibrata: ci sono realtà con 3 mila abitanti e mille persone stipate in una caserma, come Cona, in Veneto. Situazioni in cui non ci può essere nessuna integrazione». La soluzione, a parole, sembra facile: «Dirottare sui territori che non fanno accoglienza, come prevedono gli accordi. I sindaci devono decidere insieme. Altrimenti rischiano di subire le prefetture, spesso lontane dall’interesse dei cittadini». E chi si oppone? «Nessuno s’illuda di venire esentato. A fronte degli afflussi, prima o poi toccherà a tutti. Noi speriamo che in cinque anni s’arrivi a una distribuzione uniforme, con una quota proporzionata alla popolazione».
Il piano ha già avuto una prima applicazione a Milano, alla presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti. Il 18 maggio 2017, più della metà dei 134 sindaci della città metropolitana hanno firmato un protocollo. Prevede la suddivisione di 5.065 migranti tra i vari Comuni. A officiare, Giuseppe Sala, sindaco di Milano: «Ognuno può vederla in maniera differente dal punto di vista politico» ammette. «Ma un sindaco non può girarsi dall’altra parte, sperando che i problemi si risolvano. Milano è un’isola che può creare un arcipelago».
Un arcipelago di cui, per adesso, non vuole fare parte l’altra metà dell’hinterland. Leghisti in testa, ovviamente. In molti hanno manifestato contro il protocollo. Dietro lo striscione con la scritta «Per noi vengono prima i cittadini» c’erano i sindaci di Palazzago, Vittuone, Inzago, Cologno Monzese, Boffalora, Marcallo Concasone, San Giuliano Mila--
nese. Situazione simile a Brescia. Annunziato Vardè, il nuovo prefetto, il 30 maggio 2017 ha rivolto un appello a cento sindaci ribelli. Ma ha ricevuto, al momento, scarsa collaborazione. E non si tratta, ancora una volta, di trinariciuti leghisti od orgogliosi montanari. Il niet è ormai trasversale, politicamente e geograficamente.
Ugo Rossi, governatore del Trentino, da mesi attacca i riottosi sindaci della sua regione: «Abbiamo le prove che in diversi Comuni ci sono gli appartamenti ma si fa finta di niente. Questo è inaccettabile!». Cento sindaci trentini però nicchiano. Paride Gianmoena, primo cittadino di Varena, in Val di Fiemme, e presidente delle autonomie locali, alza le braccia: «Nessuno, salvo pochissime eccezioni, ha grandi disponibilità immobiliari» ha assicurato al Corriere delle Alpi. «Noi, per esempio, avremmo libera solo una baita a 1.800 metri. E mica possiamo metterci un profugo!».
Pure in Veneto decine di sindaci hanno risposto picche ai prefetti. Pier Antonio Nicoletti, che guida la giunta di Castello di Godego, nel trevigiano, racconta di ricevere continui solleciti per reperire spazi: appartamenti, case, hotel. Lui però risponde di non aver un buco. Ma il 31 maggio scorso il prefetto ha imposto 23 migranti. E lui, per dissuadere gli abitanti, adesso evoca tolleranza zero: «Chi non rispetta regolamenti sanitari ed edilizi vigenti sarà multato. Seguirà immediato sgombero».
Nel vicino Comune di Resana, il nuovo sindaco Stefano Bosa, di centrosinistra, appena eletto nell’ultima tornata di amministrative, ha già annunciato di voler bloccare lo Sprar. «S’è trattato di una scelta imposta. Ora in paese c’è un clima molto teso, che ha accompagnato la campagna elettorale. Questo ci ha convinto a ritirare la disponibilità, per evitare agitazioni e nervosismi». A Volpago sul Montello, invece, l’ipotesi di ricavare un Centro di accoglienza all’interno di un’ex polveriera ha provocato sollevazioni di popolo. Il Viminale aveva assegnato l’edificio alla prefettura, ma il progetto è congelato. Grazie anche all’opposizione di Luca Zaia, presidente del Veneto: «I governi cambiano, ma i problemi restano addosso ai territori» attacca il governatore. «L’ex polveriera di Volpago è solo l’ultima vicenda scandalosa. Si vogliono mettere cento persone in una struttura vecchia, fatiscente e inadatta. L’ennesimo scandalo».
La risolutezza però a volte costa cara. Ne sa qualcosa Enzo Canepa, sindaco di Alassio, la più celebrata città del Ponente ligure. Nell’estate del 2015, in piena emergenza sbarchi, aveva emesso un’ordinanza anti profughi: l’assoluto divieto di per-
manenza per chi era privo di certificazione medica. «A tutela sanitaria della popolazione» chiarì. Però, lo scorso dicembre, è stato condannato a pagare una sanzione di 3.750 euro. Adesso sarebbero in arrivo ad Alassio i primi otto migranti. Canepa però non molla: «Non accettiamo che il governo ci scarichi addosso l’incapacità di gestire il fenomeno migratorio. Siamo pronti ad azioni di protesta». Anche Franco Bologna, alla guida di Carcare in Val Bormida, nel savonese, due anni fa ha emesso un’ordinanza anti profughi per motivi sanitari. E pure lui rischia la condanna: atto «discriminatorio e razzista» lo definisce la Procura di Savona.
Più elegante nei modi, ma di identica sostanza, Luigi Bellumori, sindaco Pd di Capalbio, borgo icona della sinistra. La scorsa estate era stato annunciato l’arrivo di 50 rifugiati. «Una catastrofe lesiva dell’appeal di Capalbio» aveva tuonato Bellumori, seguito dalle proteste dei villeggianti radical chic. E, a novembre 2016, era stato annullato il controverso bando. Una salvezza, per la «piccola Atene». Dalla Maremma alla Versilia: su simili posizioni, ma opposte sponde politiche, c’è Pietrasanta. Dove il sindaco Massimo Mallegni, di Forza Italia, ribadisce il suo diniego. «In Italia» dice polemicamente a Panorama «ci sono 101 prefetti che, anziché occuparsi di garantire la sicurezza, fanno gli agenti immobiliari dei migranti. Se qualcuno dovesse decidere di piazzare qui una tendopoli, io emanerei subito un’ordinanza di sgombero, visto che la legge me lo consente. Sono per l’accoglienza dei profughi, ma a casa loro».
Molti probabilmente saranno costretti a capitolare. Vedi il Lazio. Ospita il 9 per cento del totale dei richiedenti asilo, secondo solo alla Lombardia. Eppure 250 amministrazioni su 378, molte a guida dem, non accolgono rifugiati: il 66 per cento del totale. Ad esempio, dei 101 Comuni della provincia di Roma, solo un quinto ha attivato un progetto Sprar. Tra quelli che si sono tirati indietro c’è Anguillara, sul lago di Bracciano, guidato dalla pentastellata Sabrina Anselmo: pochi agenti e scuole troppo affollate, il motivo del rifiuto. Ma anche chi già accoglie, spesso dice basta. Come Ciampino: dà alloggio a circa 80 migranti e potrebbe averne 139. Ma il sindaco democratico, Giovanni Terzulli, è contrario a nuovi arrivi.
In Campania, invece, in base alle quote, a Torre del Greco sarebbero destinati 280 profughi. Il sindaco Ciro Borriello però spiega: «Tutta la popolazione è contraria». Eppure il ministero vi sta alle calcagna. «Se la prefettura ci imporrà gli immigrati, dovrà ristrutturare gli immobili destinati ad accoglierli. Di tasca sua ovviamente...». Anche San Sebastiano al Vesuvio s’è tirata indietro. A richiesta, l’amministrazione ha risposto risoluta: «Nella nostra città non ci sono strutture adatte. E, visto che siamo in zona rossa per il vulcano, non è possibile convertire attività commerciali o di altro genere a uso residenziale». Pure nella città simbolo del turismo campano, Sorrento, si organizza la resistenza. Massimo Coppola, assessore al Commercio della città, mette però le mani avanti: «Il prefetto è stato chiaro: “O vi organizzate, o ve li porto”, ci ha detto».
Arroccate al loro blasone, alcune delle città simbolo della Sicilia come Taormina, reduce dal successo del G7, hanno alzato le barricate. Il Viminale voleva inviare 38 immigrati. Ma albergatori e commercianti hanno minacciato clamorose forme di protesta. E il sindaco, Eligio Giardina, eletto con una lista civica, ha declinato. Perfino Agrigento ha detto basta. La giunta di Lillo Firetto, sostenuto dal centrosinistra, ha fatto sapere al prefetto che la città dei Templi ha già un numero di profughi superiore a quello che dovrebbe ospitare. Pure ad Acicastello, nel catanese, vorrebbero inviare migranti: 80 per l’esattezza. Ma Filippo Drago, il sindaco, non ne vuole sapere: «Chiederemo che il nostro territorio non sia inserito nel bando. Se dovessero insistere, sono pronto a rivolgermi ai miei cittadini, con un referendum consultivo».
La lunga estate degli sbarchi è appena cominciata. I sindaci continuano a impilare sacchi di sabbia nelle loro dighe. Ma l’«altra marea» sembra destinata a travolgerli. (hanno collaborato Francesco Bisozzi, Maria Pirro e Oscar Puntel)