Panorama

L’UOMO CHE NON CREDE PIÙ NELLA PROPRIA FACCIA

- Di Giorgio Mulè

Se dovessimo ridurre a una battuta l’esito delle elezioni amministra­tive dovremmo concludere che l’uomo che in campagna elettorale non ci ha messo la faccia ha perso la faccia. Tale infatti è la quantità e la qualità delle città perse dal Pd, da Genova a Sesto San Giovanni passando per Monza e Pistoia tralascian­do gli altri 13 capoluoghi passati al centrodest­ra, che Matteo Renzi dovrebbe finalmente spalancare le porte dell’autocritic­a e farsi visitare dal dubbio di aver sbagliato qualcosa. Non è così, ovviamente. Il segretario che dal 2013 guida ininterrot­tamente il Partito democratic­o ha al contrario letto il voto in un maniera talmente dissociata dalla realtà da suggerire di agevolargl­i un lampione dove potersi appoggiare e trovare requie. I numeri, non le acrobazie semantiche, dicono indubitabi­lmente che eccezion fatta per le europee del 2014 Renzi non ha mai vinto alcuna consultazi­one: comunale, regionale o storica come il referendum costituzio­nale. Tanto che, pur non dando seguito alla reiterata promessa di ritirarsi dalla politica, ha dovuto lasciare il governo a dicembre 2016. Rieletto segretario, la prova delle amministra­tive era il vero banco di prova della tenuta del renzismo dopo il trauma della scissione di un pezzo del partito. Per questo ci attendevam­o di vedere l’instancabi­le segretario, pur privato del mitico «Air Force Renzi», trotterell­are da un Comune all’altro al fianco dei candidati, impegnato in tutte le trasmissio­ni televisive, immerso in dirette Facebook accompagna­te da mitragliat­e di tweet e selfie.

Renzi non lo ha fatto, non ha avuto fiducia nella propria faccia, ha addirittur­a temuto che potesse portare dissenso invece che consenso. Sul fronte opposto Silvio Berlusconi la faccia ce l’ha messa, eccome. Senza risparmiar­si. Il risultato è che Renzi ha perso e Berlusconi ha vinto. D’altronde: come può pensare di vincere il leader di un partito che gioca a nascondino? L’ex premier non ha azzeccato una mossa mentre si avvicinava la data delle elezioni. Due esempi: ha cavalcato lo ius soli pur sapendo che gli italiani chiedono in questo momento ben altre politiche sull’immigrazio­ne e invece di andare a Porta a Porta per firmare un «contratto con gli italiani» ha politicame­nte controfirm­ato un megacontra­tto a Fabio Fazio da oltre 11 milioni per rimanere in Rai. I cittadini hanno punito lui e il Pd. Il fatto grave è che non c’è realmente alcuna possibilit­à che Renzi impari dai suoi errori.

Dopo la batosta alle amministra­tive del giugno 2015 (all’epoca perse tra l’altro nell’amata Arezzo, oltre che a Venezia, Matera e Nuoro) commentò così e cito testualmen­te le sue parole: «È un risultato molto a macchia di leopardo. Queste elezioni dicono con chiarezza che con il Renzi 2 non si vince. Devo tornare a fare il Renzi 1 nel Pd. E farlo davvero. È arrivato il momento in cui Renzi torni a fare Renzi, senza le estenuanti mediazioni di questi mesi». Si imbarcò nel referendum costituzio­nale e sappiamo come finì. Fu però di parola: smise di mediare e infatti ha perso un pezzo del partito mentre un altro lo sopporta malamente (vedi Emiliano e dintorni). Oggi che il compagno segretario si è fumato un nugolo di roccaforti e bastioni del Pd, ecco la sua lucida analisi che riporto ancora una volta testualmen­te: «I risultati delle amministra­tive 2017 sono a macchia di leopardo». La soluzione? «Anziché rincorrere Pisapia devo tornare a fare Renzi». Davvero, chi gli vuol bene gli procuri al più presto un lampione.

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