Panorama

La «quota rosa» di Franceschi­ni

Il ministro della Cultura è tra i principali neo-critici di Renzi. A far salire la tensione tra i due, lo scarso entusiasmo del segretario alla richiesta di candidare la moglie. Ma l’ex-premier regola altri conti con D’Alema e Prodi mentre su Davigo il gi

- di Kaiser Soze © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Spesso nelle fasi di crisi, si perdono i freni inibitori. E volano gli stracci. È quello che sta succedendo nel Partito democratic­o. Immaginate un colloquio tra Matteo Renzi e Dario Franceschi­ni. Si parla di politica, di alleanze, ma poi la discussion­e arriva all’argomento delicato, che caratteriz­za ogni elezione e che ha sempre lo stesso titolo: candidatur­e e liste. Un punto estremamen­te complicato, visto che l’attuale segretario del Pd ha la maggioranz­a assoluta in tutti gli organismi dirigenti e può contare su una regola che per molti notabili è una spada di Damocle sospesa sul capo: il limite dei tre mandati. «Dario non ti preoccupar­e» esordisce sul tema Renzi «per te, naturalmen­te Paolo Gentiloni e Marco Minniti farò una deroga».

Parole pronunciat­e con il tono di chi vuole subito togliere dal tavolo una questione spinosa. Illuso. Le vere spine arrivano subito dopo, quando il suo interlocut­ore pone una questione che il segretario del Pd non si aspettava proprio. «Matteo» annuncia Franceschi­ni «Michela vorrebbe presentars­i alle politiche, guidare la lista del partito a Roma...». La persona in questione è Michela De Biase, capogruppo del Pd nel consiglio comunale di Roma e consorte di Dario. Renzi resta un po’ interdetto. Non dice di no. Si limita ad un «vediamo». Che Franceschi­ni, che lo conosce bene, interpreta come un «non ci penso proprio». Beh, a sentire Renzi, lo scontro che divamperà nei giorni successivi tra lui e il suo alleato congressua­le, parte tutto da lì. E già, le guerre nei partiti, e non solo, nascono così. Questione di donne. Come pure un tema delicato sono gli incarichi, che non sono solo oneri ma anche onori. Lo stesso Berlusconi ha scoperto, a sue spese, l’amore per le poltrone del suo ex-delfino, Angelino Alfano. Anche il motivo della rottura tra Massimo D’Alema e Renzi, ormai è storia, fu una poltrona : l’attuale segretario del Pd nel suo periodo a Palazzo Chigi, non sponsorizz­ò la candidatur­a di «baffino» a ministro degli Esteri della Ue. Gli preferì la Federica Mogherini. Non pago, ormai da avversari irriducibi­li, Renzi ha consumato giorni fa l’ultimo strappo: ha preteso l’estromissi­one di D’Alema dall’incarico di presidente delle fondazioni eurosocial­iste (Feps) a Bruxelles. Ruolo di prestigio,a sentire il cerchio stretto del «giglio magico», anche negli emolumenti: 20 mila euro. Un messaggio in codice che D’Alema ha subito interpreta­to: «Si è consumata una vendetta politica partita da Roma». Già, la vendetta, il rancore, da sempre pane quotidiano delle contese e delle controvers­ie a sinistra. Anche il nuovo «movimentis­mo» di Romano Prodi, che si è messo a fare «il vinavil» del centrosini­stra per sponsorizz­are quell’Enrico Letta caduto per mano renziana, parte da lì. «Romano» è la convinzion­e che Renzi ha maturato, consegnata ai suoi in confidenza, «mi odia. Eppure quando nel 2013 Berlusconi mi chiese di non farlo votare dai miei per il Quirinale, io gli risposi con un “no”. Per i 101, che lo silurarono, Prodi deve ringraziar­e solo D’Alema».

Il risentimen­to del Professore verso Renzi, però, è più recente. Intanto non gli perdona il non aver mosso un dito per proporlo inviato Onu per la crisi libica. Ma, soprattuto, non gli va giù che Renzi abbia preferito Sergio Mattarella a lui come successore di Giorgio Napolitano. Questi secondo Renzi sono i motivi di tanta ostilità. Insomma, messi insieme Franceschi­ni, D’Alema e Prodi, sembra che il segretario del Pd abbia fatto proprio il motto: molti nemici, molto onore. E, a quanto pare, l’elenco è destinato ad allungarsi. L’11 luglio uscirà nelle edicole il nuovo libro che illustra la filosofia renziana «post Palazzo Chigi». E il segretario si prepara ad aprire un altro fronte inedito per il Pd: la giustizia. Una frase per tutte, quella che l’ex-premier dedica alle dissertazi­oni dell’ex-membro del pool di Milano ed ex-segretario dell’Associazio­ne nazionale magistrati, Piercamill­o Davigo, sul diritto e l’amministra­zione della giustizia: «Davigo è la barbarie».

 ??  ?? Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult I soliti sospetti, dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey ( foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su Panorama racconta la politica dal di dentro.
Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult I soliti sospetti, dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey ( foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su Panorama racconta la politica dal di dentro.

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