Il destino segnato di Charlie
Intorno al bambino inglese colpito da una rara malattia, tutti discutono. Ma per lui, purtroppo, non esistono cure.
Fin dall’inizio, per il piccolo Charlie Gard la morte ha iniziato il suo cammino: nato con una rarissima malattia genetica, è rimasto attaccato a un respiratore artificiale per dieci mesi. Ora siamo costretti a chiederci: è accanimento terapeutico? Questa domanda ha generato un acceso dibattito in Inghilterra, dove Charlie è nato, così come negli Stati Uniti e in Italia, dove l’ospedale Bambino Gesù si è detto disposto ad accogliere il piccolo e i suoi genitori.
Ma chi deve decidere sulla sua vita? La famiglia o lo Stato? Esiste una cura possibile, per la quale aspettare? I giudici inglesi hanno deciso basandosi sul principio che i diritti personali del bambino prevalgono su quelli genitoriali: a Charlie bisogna risparmiare ulteriori sofferenze, quindi non lo si può più tenere in vita.
Stando alle conoscenze scientifiche, la decisione dei giudici appare giustificata. Infatti, secondo il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Bambino Gesù, «Charlie è affetto da una grave malattia genetica per la quale non ci sono cure. È causata da un gene mutato, ereditato dal padre e dalla madre, che provoca nel figlio la deplezione cioè la perdita dei mitocondri, gli organelli che forniscono energia alle cellule». Ciò che per ora tiene in vita il bambino sono le macchine che lo assistono nella respirazione e nelle funzioni vitali. «La malattia ha una storia naturale progressiva ed irreversibile. Ogni attività assistenziale ha un senso fintantochè non sconfina nell’accanimento terapeutico» conclude Dallapiccola. Del resto, i rari casi di neonati con questa patologia sono morti in pochi mesi, quando non erano tenuti in vita dalle macchine.
C’è stato un momento in cui si è accesa una speranza. Nel 2014 ricercatori della Columbia University di New York avevano ottenuto effetti positivi (qualche settimana di vita in più) su topi affetti da un malfunzionamento dei mitocondri, simile ma non identico a quello di Charlie. Che, nel frattempo, è stato colpito da encefalopatia, e gli stessi medici americani hanno espresso dubbi sull’efficacia della loro terapia. Aggiungendo, in una intervista al Guardian, che «in ogni caso non sarebbe una cura, ma solo un trattamento contro una malattia giunta allo stadio terminale». La proposta iniziale, poi rientrata, era sperimentare una terapia per sei mesi con l’unico obiettivo di rendere (forse) Charlie capace di guardare gli oggetti, senza nessuna garanzia che non soffrisse. Nel migliore dei casi non sarebbe stato vivere, ma solamente esistere.