Paolo Villaggio: due o tre cose che so di me
Il saluto del grande attore ai lettori di Panorama, attraverso un appassionato collage di dichiarazioni fatte da lui stesso.
C’era una volta... Anzi. Era una notte buia e tempestosa, cioè no! In verità era solo un venerdì pomeriggio del tutto insignificante. Stava per nascere il prof. Piero Villaggio, ordinario di Scienza delle costruzioni all’università di Pisa, mio fratello gemello e quindi anch’io. Perché questa è la cosa che mia madre Maria e mia nonna Delia, che era presente, non si sarebbero mai aspettate. Dopo la nascita del prof. Villaggio, l’ostetrica signora Fravega aveva annunziato trionfalmente: « Signua, scia se fasse curaggiu, ghe ne n’atru! ».
Villaggio è un nome di anagrafe. Vuol dire che il padre di mio padre, mio nonno, era un trovatello. E come alla maggior parte dei trovatelli siciliani gli fu imposto un nome inventato: Villaggio. Io, però, so come si chiama questo mio antenato, che era ricchissimo e intelligentissimo, il quale, però, non ci ha voluto riconoscere. Io ho ereditato da lui la vivissima intelligenza che mi ritrovo. Ma ahimè non le strepitose ricchezze. Io, purtroppo, ho un gravissimo difetto, sono nato povero, e devo confessare che essere poveri è una malattia gravissima. Per tutta la mia vita sono stato un buon comunista, ma ora mi sento in colpa. In realtà io sono inappagato: mi piacerebbe aver vinto l’Oscar al posto di Benigni, vorrei avere i soldi di Berlusconi, essere fidanzato con le veline. Ma alle veline non gliene frega un cazzo dei vecchi di successo e grassi come me.
Dovete sapere, infatti, che per la gastronomia ho fatto il giro del mondo: dalla Scozia per il salmone, alla Spagna dove vado per il prosciutto, alla Danimarca per le aringhe. Giuro che fino a 52 anni ero magro e facevo anche 50 chilometri in bicicletta. Ho provato a dimagrire ma ho perso 7 grammi in 70 anni. Sono andato pure dai dietologi. E vi posso raccontare come funziona con quei farabutti. Io, i dietologi, li manderei tutti in galera. Sono dei cialtroni e, dovunque tu vada, prima ti prendono l’impronta della carta di credito.
Ma sia chiaro: rimpianti zero. Un po’ mi sta venendo il gradito sospetto che sarò ricordato per Fantozzi, un perdente in cui tanti si sono riconosciuti e hanno trovato un compagno di sfiga, il vicino di scrivania, l’uomo in grado di attrarre su di sé le peggiori sventure. Sapete cosa mi diceva Federico Fellini? «A Paolè, tu non sei un attore, sei un clown, sei la risposta a tutto quello che la vita ci ha fregato». Oggi però ve lo posso confessare. Non solo la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca. Di più. Tra il carcere e la Corazzata, scelgo il carcere. E voglio dirvela tutta. La vecchiaia è quello che è: una rottura di coglioni. La sessualità si spegne, fai fatica a trovare le parole. Dunque non ho paura della vecchiaia, e quando penso alla vita penso sia la più bella sciocchezza che abbia mai sentito dire in giro.
Ma adesso veniamo a noi. Ho già predisposto il finale. Verrò a passare le ultime ore a Sori, dove sono i miei genitori, mi farò cremare e poi una ragazza giovane mi butterà nel mare che amo tanto. Se diventa complicato, ho già pronto un ristoratore di Sori che mi farà bollire. Ore, ore e ore.