Panorama

80 volte Raoul Casadei

Raoul Casadei compie 80 anni e racconta la sua musica come specchio del Paese, tra Romagna mia e Bob Marley, tra Renzi e Berlusconi passando per Macron. E rivela il suo fattore di successo, «su cui anche Enrico Mentana dovrebbe meditare».

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Il «signore del liscio» fa 80 anni e racconta la sua musica come specchio del Paese, tra Romagna

mia e Bob Marley, tra Renzi e Berlusconi passando per Macron. E rivela il suo fattore di successo, «su cui anche Enrico Mentana dovrebbe meditare».

Col “liscio” balli anche se non ne sei capace. Prende tutti: adulti, bambini, vecchi, ragazze, i timidi e i goffi. Una medicina sociale. Ci hanno chiamato per suonare pure ai funerali...». Quando parla Raoul Casadei è lucido e inarrestab­ile. Racconta e ogni ricordo si porta un mondo. Nella sua «musica solare» c’è la Riviera d’estate - sabbia, campi di girasoli, notti d’amore, cuore, mamme, nostalgia. Nel verso facile di una canzone, però, è capace di fotografar­ti « i simpatici italiani che han la bandiera tricolore con qualche stella americana ». Più efficace di un trattato sociologic­o. Lui è stato lo sciamano del rito collettivo di mazurche di periferia e valzer di Romagna: con la chitarra Gibson consumata sul palco a forza di serate («Ne abbiamo fatte trecento l’anno per 15 anni: mi tenevo su con bottiglia di whisky e tranquilla­nti»). Qui a Gatteo Mare, dove vive e Panorama lo incontra, gli hanno dedicato una rotonda con sagome di suonatori in metallo (« Senza di te non si

può star... »). Su di lui Wim Wenders ci avrebbe girato uno dei suoi epici film musicali. Il 15 agosto Casadei compirà 80 anni. Fisicament­e ne dimostra dieci di meno. La testa veloce, precisa, passa da Bettino Craxi («Voleva che suonassi al congresso dei socialisti») a J-Ax, che lo cita in un rap: l’Italia vista cambiare in una manciata di ricordi. E poi, i gialli di Andrea Camilleri e la caccia al tordo sul lago di Lèsina, Puglia («In una botte, ad aspettare l’alba senza sparare un colpo»). Il mondo, appunto. Con dentro la musica e la famiglia. Per questo con la moglie («Pina, che mi sopporta da 54 anni») ha riunito figli e nipoti nella casa-comunità che chiama «il Recinto». Insieme quattro generazion­i, dato che lui è già bisnonno. Ormai ha passato il testimone dell’orchestra al figlio Mirko («Bisogna innovare: lui ha rifatto i miei successi in versione ska»). Raoul, però, c’è eccome. Nonostante a volte il cuore faccia le bizze con qualche fibrillazi­one, a una grappa non rinuncia. La sorseggia sul divano e accende la mitica pipa. Lui va, viene, cura l’orto

biologico, riceve omaggi, prossimame­nte anche in television­e. Festeggia ricorrenze («Nel 2018 saranno 90 anni da quando mio zio fondò l’orchestra Casadei») e si arrabbia perché i politici nella Regione continuano a «considerar­e questa musica figlia di un dio minore». Lo spettacolo come sempre, deve continuare. Prime memorie musicali? A 14 anni, con la chitarra. Lo zio Secondo suonava con la sua orchestrin­a sulle aie. A seguirlo non mi arrischiav­o. Così, avevo messo su un mio gruppo: la Little band che riprendeva il rock di Bill Haley. Mi piaceva stare con la gente. Mi chiamarono in un locale a Cattolica...Ma io non sono un suonatore virtuoso. Suono la chitarra. Però anche il trombone a tiro, il violino. E il piano. Capìto lo strumento, passavo oltre. Ero carino, studiavo da maestro elementare e c’erano le tedeschine che mi prendevano in simpatia. A 16 anni ho scritto San Marino goodbye, una canzone perché questa ragazza che stava con me doveva tornarsene in Germania. Qui ho visto nascere il turismo. Che Italia era, quella lì? Aveva appena aperto l’albergo Rubicone. Asfaltata la strada, cominciava­no ad arrivare le macchine tedesche, da nord. Gli italiani iniziavano a guadagnare, ma spendevano poco. Ci si ricordava della guerra. La spiaggia, però, è diventata di massa. Il diritto di fare le vacanze: il liscio ha fatto da colonna sonora alla trasformaz­ione. Io ero sempre in tour. Alla fine mi conoscevan­o più in Sicilia che in Romagna. Gli albergator­i ci amavano perché nella zona gli facevamo il pieno di clienti negli hotel! Da quello abbiamo capito che eravamo diventati importanti. Il boom economico dei ’60, poi il vostro successo nei ’70. Un decennio difficile. Il terrorismo, la crisi, gli attentati sui treni. Anche nei locali, quasi ogni sera c’era un allarme. Arrivava il commissari­o durante il concerto per dirci che avevano telefonato: c’era la bomba. Allora finivo il brano e la prendevo un po’ alla lontana. Che forse avevamousc­ire con un calma problemada­lla sala...e che bisognavaR­estavo fino all’ultimo:anche per uscireche paura!da quell’atmosferaS­i ballava il liscio cupa. La «sua» musica, d’accordo. Dell’«altra», però, che cosa le piace? Tutto. Mi fa impazzire Bob Marley: il reggae è «solare» come il liscio. I Caraibi... Una volta ho pensato: che bello sarebbe suonare con Tito Puente. Dieci giorni ed eravamo insieme, qui in Italia! Poi amo Carlos Santana, Mango e Vinicio Capossela. Le canzoni più belle per me sono Yesterday dei Beatles ed Emozioni di Battisti. In ogni stanza tengo una radiolina. L’accendo quando mi stanco di sentire in television­e questa politica. A proposito. Guarda, mi è sempre piaciuta, la politica. Ho adorato Berlinguer. A Bettino Craxi gli facevo simpatia: mi mandò il suo libro su Garibaldi con una macchina da Roma. Più di recente, c’è Silvio Berlusconi. Una capacità assoluta di entusiasma­re... Non gli hanno lasciato fare granché, poi. La sua è una comunicazi­one istintiva e conquista. Un po’ come Macron adesso. Matteo Renzi? Mi ha colpito per la sua voglia di cambiare tutto. Non m’interessa se uno è di destra o di sinistra. Conta il carisma. E Beppe Grillo ne ha parecchio? Lo conosco da tanto tempo: andavo sempre ai suoi spettacoli - e sempre pagando, s’intende. A mettere insieme i discorsi è geniale. Sul concreto, vedremo. Qual è il suo segreto per comporre un brano di successo? La ritmica trainante, il fatto di suonare dal vivo, il rapporto col pubblico. Gino Paoli arrivava, faceva la sua Gatta e andava via. Io ho sempre coinvolto la gente. Spiegando le canzoni, magari in dialetto: parlavo ai grandi come avessi dei bambini a scuola. D’altronde, ho fatto il maestro per 17 anni. È fondamenta­le farsi comprender­e. Andrebbe detto a Enrico Mentana quando nel tg racconta: «Perché il jobs act e blablabla...». Ma chi capisce? Le fa effetto il tempo che passa? Io sono un positivo. Dobbiamo morire, ma intanto viviamo. Mi tengo in attività, mangio le verdure che coltivo, non mi nego nulla. La mia è stata anche una vita difficile. Ho costruito grandi locali che hanno chiuso; sono stato ricattato dai parenti. Eppure, non porto rancore. Dopo un po’ mi dimentico le cose. Quanti album ha venduto? Milioni. Non li ho mai contati. In classifica a un certo punto c’erano gli Alunni del sole, De André, la Rettore, Santo e Johnny e Morris Albert con la sua

Feeling. Il primo vendeva 16 mila lp. Noi, 250 mila. Ma eravamo comunque decimi. Da soli facevamo più fatturato di tutti gli altri insieme. Va bene così, però. È bello quando adesso incontro i «giovani» - Morgan, Roy Paci, Goran Bregovic´– tutti abbracci e compliment­i. Anche i rapper. Già: J-Ax, Fedez… Sono bravi, vendono. Parlano pure di me nelle canzoni: « Tutto fila liscio come con i

Casadei… » (canta). Ora vanno di moda. Un po’ consumisti­ci, eh... Si può definire un «Fattore Romagna», nel liscio ma anche nella vita?

Significa prenderla con fiducia e leggerezza. I romagnoli hanno poi questa vena anarchica. Se uno propone una cosa, l’altro risponde subito di no: «Faccio a modo mio». E non ci sta nel gruppo. Ciò provoca spesso grandi casini, ma è anche un principio di creatività. È un atteggiame­nto che qui ha fatto la fortuna di personaggi dell’imprendito­ria, come i fondatori dei surgelati Orogel o Francesco Amadori dei polli. Dopo, però arriva la burocrazia, che ti obbliga a mettere in buste di plastica panini e piadine. La globalizza­zione impone lo standard. E questo non funziona per l’identità della Romagna. Con Lucio Dalla eravate amici. Mettemmo su quest’associazio­ne per il diritto d’autore e ci trovavamo a casa sua, a Bologna. Lui era umile. «Mi sento un rudere», ripeteva. Aveva pure trovato un sosia perfetto. E quando venivano a trovarlo delegazion­i dall’estero, mandava lui! Lucio apprezzava la mia musica. Non come certi politici che ancora la consideran­o figlia di un dio minore. Però, se poi aprono l’encicloped­ia Garzanti ci trovano il mio nome, non il loro. Le rode questa «apartheid» musicale? Ma no. Parrebbe che ora che il presidente Mattarella mi voglia fare cavaliere. Che piacere sarebbe! Noi stiamo cercando di sensibiliz­zare l’Unesco perché il liscio diventi patrimonio dell’umanità. In fondo ha dato visibilità, lavoro e turismo a questa parte di Romagna. Come ha detto Sergio Zavoli, «più di Federico Fellini». E lei ha guadagnato parecchi soldi. Sì, e li ho anche perduti tutti. Quando è morto mio zio, per suonare alla feste dell’Unità i comunisti mi volevano ridurre il cachet da 250 a 180 mila lire. Li ho mandati a quel paese. Così, poi, hanno dovuto darmene 500. Se ne volevano approfitta­re! Di me, con un’orchestra che era una cooperativ­a. Con cui ho pure diviso i diritti di Simpatia e Ciao mare... Ha un hobby dominante, oggi? Ti faccio la lista. L’orto, per quattro o cinque ore al giorno. La caccia nella botte sul lago. La bici. Ero iscritto al «Pedale riminese»: sognavo Fausto Coppi. Se c’era da fare una volata battevo i velocisti; sul pendio, però, mi staccavano di cento metri. «Devi correre in pista» mi hanno consigliat­o. E io ho smesso. Ah, poi vado a pesca di anguille. Quando c’è burrasca vengono fuori da sotto gli scogli e allora esco in barca. Da riva si chiedono: «Chi è quel fanatico che esce con ’sto tempo». Che cosa la fa arrabbiare davvero? La falsità. Quelli che ti adulano. Però c’è anche un’altra cosa: a 80 anni non riesco a stare più con i coetanei. Quelli che stanno davanti alla tv e basta, o al bar a giocare tutto il giorno a marafone, che è una specie di tresette. Non riescono a parlare di politica. Non fanno più l’amore. Non bevono la grappa... Che ci faccio io con loro? Gli voglio bene, sono amici. Ha ragione Charles Aznavour ne

L’istrione: « Perdonatem­i se con nessuno di voi non ho niente in comune » (canta). Il sesso per lei è sempre importante? Con una donna se ci metti la vicinanza di pensiero e il sesso, sei al massimo. Non credo a quelli che a 60 anni trovano la pace dei sensi. Anche se non hai più le capacità di un giovane, coraggio! Pure la tua compagna, con l’età, ha i problemi... Cosa apprezza di più in una persona? La lucidità. Incontrere­i volentieri Andrea Camilleri. I suoi libri sono splendidi. Anche se credo sia più vecchio di me, ha uno spirito giovane. Starei ad ascoltarlo e basta. Strano per me, ma starei zitto! Come vede il futuro? «L’importante è che la morte ci colga vivi!», ha detto l’umorista Marcello Marchesi. Il futuro per me è il presente. E soprattutt­o mi diverto ancora. Qual è il posto più strano dove si è esibito? Per due anni di fila sul Monte Bianco. Un luogo meraviglio­so. Un altro ricordo particolar­e in Trentino: lì non ci volevano nelle discoteche perché facevamo alzare i cachet degli altri gruppi. Allora, m’arrabbiai. Era agosto e così, in un campo di grano appena tagliato, ho affittato una pista da ballo e un tendone da circo. E abbiamo suonato per tre sere di seguito. Gratis. È arrivata gente da ogni parte. Ci abbiamo rimesso, ma ci siamo divertiti come pazzi. Questa è democrazia. n

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L’orchestra-spettacolo di Raoul Casadei in una foto degli anni 70.
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 ??  ?? RAOUL CASADEI nasce il 15 agosto 1937. Prende la guida dell’orchestra Casadei (fondata dallo zio Secondo), nel 1972 e crea il fenomeno del «liscio» con successi come Romagna mia, Ciao mare, Simpatia.
Oggi l’orchestra Casadei è guidata dal figlio...
RAOUL CASADEI nasce il 15 agosto 1937. Prende la guida dell’orchestra Casadei (fondata dallo zio Secondo), nel 1972 e crea il fenomeno del «liscio» con successi come Romagna mia, Ciao mare, Simpatia. Oggi l’orchestra Casadei è guidata dal figlio...

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