Il mio jazz è come un film
La prima artista italiana a suonare con la Verve records, ha scelto famose colonne sonore e le ha reinventate. Così Chiara Civello ha conquistato il mondo.
Il segreto per comporre un brano che seduce le orecchie di chi ascolta gliel’ha svelato Burt Bacharach in persona davanti a un pianoforte, a Santa Monica, in California. «Tre giorni indimenticabili con un genio», ricorda Chiara Civello, un’eccellenza della nostra musica nel mondo, la prima italiana a incidere un album per una delle etichette discografiche più prestigiose di sempre: la Verve records, il marchio del jazz di qualità. Iniziamo da Burt Bacharach: che cosa le ha insegnato il più importante e prolifico compositore di canzoni da classifica (72 hit single in America)? Ci siamo seduti a uno dei tanti pianoforti che arredano la sua casa pazzesca, praticamente ce n’è uno in ogni stanza. Gli ho fatto ascoltare una melodia su cui stavo lavorando e l’abbiamo elaborata insieme. A un certo punto, gli ho proposto di inserire una variazione nel secondo ritornello del brano, giusto per differenziarlo un po’ dal primo. «No», mi ha detto, «queste cose non si fanno, chi fa il nostro mestiere non può mai permettersi di ingannare l’orecchio dell’ascoltatore. Se scegli una melodia perché credi che funzioni, quella deve essere l’elemento immutabile della canzone». Che dire? Per me aver scritto con lui è stato come se fossi stata battezzata dal Papa. Per quanto riguarda la stesura dei testi, invece, il consiglio più prezioso glielo ha dato James Taylor, intenso e raffinato songwriter d’America. James stava incidendo October road, il suo album capolavoro del 2002 prodotto dallo stesso team che si stava occupando del mio disco d’esordio. Un giorno, il produttore mi chiamò perché a James servivano dei cori in alcuni brani. Ovviamente mi precipitai in studio sulla 57esima strada a New York. Dopo la registrazione mi misi a parlare con lui della difficoltà che stavo incontrando nello scrivere i testi delle canzoni. «Sto facendo molta fatica», ammisi, «mi sembra di essere sempre davanti alla pagina bianca». Mi rassicurò dicendomi: «Non ti preoccupare, succede anche a me dopo tanti anni e decine di dischi. Quando arriva il momento di mettere insieme le parole giuste per una canzone, anch’io sudo... proiettili, “I sweat bullets”», sospirò. Le suggerì un rimedio? Quando il testo non arriva, prendo il mio taccuino, lo metto in tasca e mi metto a passeggiare. Dopo un po’ mi fermo, scrivo qualcosa e riprendo a camminare. Bisogna percorrere l’assenza dell’ispirazione senza ansia. L’ansia non serve a nulla, anzi toglie spazio e respiro alla creatività. Il suo nuovo album, Eclipse, è un mix di brani inediti e cover ispirate alle colonne sonore del grande cinema italiano. Perché questa scelta? I remake hanno uno spiccato sapore cinematografico: ci sono una versione delicata per chitarra e voce di Amore, amore, amore scritta da Alberto Sordi e Piero Piccioni; Quello che conta, interpretata da Luigi Tenco e composta da Ennio Morricone e Luciano Salce per il film La cuccagna; Eclisse twist, una celebrazione del cinema di Michelangelo Antonioni, che realizzò il brano con Giovanni Fusco per consegnarlo poi alla voce di Mina. Quella era la musica italiana che andava nel mondo. Un esempio: Elvis Presley rimase stregato da Io che non vivo di Pino Donaggio e volle reinterpretarla. Purtroppo, i compositori pop di oggi si limitano a replicare paradigmi uguali a se stessi e così la musica italiana ha quasi smesso di viaggiare al di fuori dei nostri confini. Quando mi dicono che non ho un approccio nazional popolare, rispondo che è vero perché la mia aspirazione è di essere internazionalpopolare. Pur senza saperlo, Claudia Cardinale ha avuto un ruolo nella realizzazione di Eclipse. Ero a Parigi e, mentre camminavo lungo Pont de Sully, ascoltavo le canzoni che avevo appena inciso chiedendomi se quella cinematografica fosse la direzione giusta, se avesse un senso che celebrassi le grandi colonne sonore. Dopo pochi istanti, alzai la testa e mi trovai di fronte Claudia Cardinale. Ho vissuto quell’istante come una sorta di conferma divina della mia scelta. Dopo lo stupore, l’ho inseguita come una fan e le ho detto due sole parole: «Grazie Claudia».