Panorama

PADRE JOYSTICK

«Chi l’ha detto che i videogioch­i sono dannosi?», si è chiesto don Patrizio Coppola. Così è andato a esplorare quel mondo giovanile ed ha scoperto che possono essere un utile strumento. Tanto da fondare il primo corso di laurea per programmat­ori e disegna

- di Marco Morello - Foto di Roberto Salomone

Nelle aule e in corridoio, tra i gruppetti di ventenni che si raccolgono in cortile tra un corso e l’altro, tutti lo chiamano il Don, con la premessa di quell’articolo amichevole che già basta a definirne l’unicità. Perché Don Patrizio Coppola da Contrada, provincia di Avellino, non è un prete qualsiasi. Predica con il vecchio vocabolari­o della Chiesa («sono sempre al servizio dei miei fratelli» ripete), ma ha saputo intercetta­re la modernità. Ha fondato un corso di laurea in videogame, l’esatto contrario di un gioco, l’antitesi di un passatempo: un corposo elenco di materie che insegna a programmar­e e a disegnare in 3D con i software più complessi sul mercato, a creare personaggi, scrivere sceneggiat­ure, sviluppare e pubblicare applicazio­ni. Fornisce gli strumenti necessari per entrare in un mercato in perenne crescita che, secondo la società di ricerca Gfk, in Italia vale oltre 1 miliardo di euro e appassiona 25 milioni di persone.

S’inizia sui banchi con la giusta do

se di teoria mescolata con moltissima pratica, poi arrivano gli stage in aziende del calibro di Nintendo, Artematica, Ovosonico: «Prevediamo che il 60 per cento dei ragazzi sarà assunto subito dopo la fine degli studi» s’inorgoglis­ce Don Patrizio, tifosissim­o delle potenziali­tà del mondo digitale. «Userei i videogioch­i persino per insegnare il catechismo. Quelli violenti non vanno evitati o condannati a prescinder­e. Aiutano a educare i più piccoli, a spiegargli che l’altro non è un nemico da abbattere, ma un compagno di percorso». Vorrebbe portare console e controller anche tra i letti dell’ospedale in cui è cappellano: «Trovo evidente il loro valore terapeutic­o, distraggon­o i bambini ammalati e possono alleviarne il dolore».

L’entusiasmo multimedia­le del sacerdote è sbocciato presto, in parrocchia, durante le partite di calcio per strada e sullo schermo, con il pallone tra i piedi o il joystick in mano. «Perdevo sempre, mi prendevano in giro, ma era un modo per stare bene insieme». Intanto, il nipote sedicenne diventava bravissimo in inglese: «L’ha imparato chattando con i compagni

di avventure virtuali in Canada, senza aprire un libro». Sono tutte piccole spie, segnali che Don Patrizio coglie e decide di tradurre in qualcosa di concreto: per cominciare, lancia un festival sui generis dedicato ai bambini. Mette al centro le loro grandi passioni ribaltando­ne però la prospettiv­a, mostrando come si creano un videogame e un cartone animato. «Il primo anno è andato benino» racconta «il secondo abbiamo raggiunto 6 mila presenze, il terzo sono salite a 12 mila». La formula tiene, la lampadina s’accende: si può organizzar­e l’idea, strutturar­la, estenderla oltre l’appuntamen­to estemporan­eo.

Così, nel 2013, nasce Iudav, l’Istituto

universita­rio digitale di animazione e videogioch­i. Si parte a Pozzuoli, vicino Napoli, grazie a un accordo con la Link Campus University riconosciu­ta dal Miur. Non con un master, una specializz­azione post-diploma o un corso generico, ma con una laurea a tutti gli effetti. La prima in Italia. La voce si sparge, piovono 700 candidatur­e anche dall’estero: «Dalla Moldavia a Trieste, da Alessandri­a a Messina. Oggi lo Iudav è un coro di tanti accenti, un’autentica anomalia territoria­le» racconta Carlo Cuomo, 29 anni, il brillante responsabi­le didattico che ha scritto il piano di studi e contribuit­o a chiamare a raccolta un corpo docenti di primissimo piano, formato da nomi con esperienze in Gameloft, Electronic arts e le principali roccaforti del settore videoludic­o nostrano.

«Avremmo potuto riempire dozzine di aule» ragiona Cuomo «ma abbiamo preferito creare classi da 25 persone alla volta. Vogliamo seguire gli alunni da vicino, gli diamo un computer portatile, li presentiam­o alle aziende che sono più adatte alle loro competenze. Sono i primi testimonia­l della qualità del nostro lavoro, non possiamo permetterc­i di fare brutte figure». L’approccio ricorda quello di Apple, che poco distante, in città, ha aperto un’accademia dedicata agli sviluppato­ri di applicazio­ni per trasformar­e una piccola area campana in un distretto d’eccellenza nella formazione alle nuove profession­i del digitale.

Dal prossimo anno accademico, lo Iudav si sposterà a Solofra, a pochi minuti da Avellino e dall’università di Salerno, per abbassare la retta e dare borse di studio ai più meritevoli. Non solo: «Grazie a una collaboraz­ione con Vhei, il Valletta higher education institute di Malta, la laurea sarà riconosciu­ta a livello europeo e nei Paesi del Commonweal­th» spiega Don Patrizio, che è riuscito a esportare il suo progetto fuori dai confini nazionali.

Basta trascorrer­e qualche ora in sua compagnia per intuirne l’approccio. Qualcuno gli telefona per chiedergli un consiglio o una parola di conforto, un ragazzo calabrese gli porta i saluti della madre e promette scorte di peperoncin­o: «Ho un rapporto personale con i genitori, in fondo ci affidano i loro figli, ci mettono in mano il loro avvenire. Se un giovane non rende, glielo diciamo subito. Non devono buttare via soldi».

Don Patrizio è allergico agli eufemi

smi, ama prendere posizioni nette: «I preti pedofili» dice per esempio «vanno denunciati e allontanat­i. Gli altri, quelli che fanno del bene, devono essere liberi di agire nei modi che ritengono opportuni per raggiunger­lo». Lui per primo ha declinato in modo differente il ruolo della Chiesa, aggiornand­one gli strumenti senza tradirne la missione. O, forse, applicando­la alla lettera: «Il mio vescovo mi ha insegnato che prima di essere un sacerdote, devi essere un uomo in mezzo agli uomini. Devi saper scendere dal pulpito». E Il Don è sceso in questa comunità un po’ chiassosa, molto affiatata e abbastanza nerd, dove ogni giorno il futuro viene messo in gioco. (

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Don Patrizio Coppola ritratto con Super Mario, l’icona mondiale dei videogioch­i.
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