Panorama

Il libro di Renzi. Avanti? No, indietro tutta

Doveva segnare la ripartenza di Matteo Renzi, la summa programmat­ica e di pensiero dopo l’elaborazio­ne della sconfitta al referendum. Niente di tutto ciò: il libro dell’ex premier è un’occasione perduta. E a «denunciare» il tentativo fallito non sono gufi

- Di Andrea Marcenaro

D ice che Avanti, il suo libro, non è un’operazione commercial­e. Concesso, senza fatica. Dice che non è roba da festa dell’Unità, vale a dire il solito comizione per galvanizza­re il popolo piddino. Concesso anche questo, quantunque con sforzo lievemente maggiore. Garantisce che « Avanti è un modo per mettersi a nudo davanti alla propria gente». Ha voluto sottolinea­re queste tre cose, Matteo Renzi, nella sua e-news di lunedì 10 luglio. E la sua gente le ha prese per buone.

È che poi, vedendolo davvero nudo, non è che si sia levato tutto un oh! di apprezzame­nto. In pochi se ne sono usciti con l’auspicato: accidenti che fisico rigenerato, il Renzi! Hanno piuttosto, alcuni, notato un di più di pancetta.

Quel lunedì, quando già siti e giornali sono pieni di anticipazi­oni e di capitoli del libro distribuit­i a raggiera dall’editrice Feltrinell­i, già si era consumato il piccolo scandalo dell’«aiutiamoli a casa loro» a proposito dei migranti.

Perfino Pier Luigi Bersani, l’uomo più barcollant­e e sbandato del Paese, ma in piena sintonia con il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselblo­em, s’era concesso il lusso di bollare come «balzana» e «di destra» l’idea renziana di abbassare le tasse in deficit. E avevano incomincia­to, i più maligni, a far circolare l’idea che quella premessa così umana, forse troppo, e a cuore così aperto, forse troppo («questa volta nessun resoconto sui numeri dell’Istat, una semplice chiacchier­ata tra amici»), potesse effettivam­ente

far pensare più a un modo spregiudic­ato di promuovere il volume che a un esame di coscienza avviato con gli iscritti. Che pazienza, fin qui.

Il problema più serio era un altro. Era che tutte quelle anticipazi­oni di stampa, tutti quei paragrafon­i dedicati ciascuno a un problema, sembrava non riuscisser­o a far recedere di un passo la delusione non dei nemici, ma degli amici di Renzi. Anzi, degli amicissimi. Di coloro che lo avevano difeso a spada tratta nel referendum,, prima, e nelle elezioni primarie poi. Di quelli che e avevano sventolato per anni la bandiera dellaa novità renzista. Parevano proprio non farcela, glii ordinati capitolett­i di Avanti, a sollevare il morale e e la fiducia dei critici sinceri del segretario.

Di quegli schieratis­simi sostenitor­i, cioè, chee ormai da parecchie settimane non riuscivano­o a nascondere la delusione per quel loro leader insabbiato, impacciato e come incapace di scuotersi per cercare la nuova strada resa obbligator­ia dalla solenne tranvata del 4 dicembre.

Era stato Claudio Velardi, dal suo blog, ad aprire le danze per riassumere il disagio di un renzismo ripiegato quasi sulla depression­e: sei fermo al 4 dicembre, caro amico mio, se vuoi tornare a parlare all’Italia devi cambiare linguagggi­o. E per cambiare linguaggio, è la tua testa chee devi cambiare.

Giuliano Ferrara glielo stava ripetendo per laa centesima volta dalle colonne del Foglio: la sconnfitta referendar­ia, certo, un’enorme occasione e perduta. Ora basta, però. È cambiato il contesto,o, si è ribaltato. Siamo tornati in un mondo dove i partiti contano più dei leader. Si è riaperta l’eraa del proporzion­ale. Per coincident­i nostalgie daa sinistra e da destra? Vero.

Ma da lì bisognerà ripartire, per un progetto capace di mordere. Non ci sono santi. E non sarà un libro destinato alla vivisezion­e riga per riga, a farlo. Proprio questo pare stia succedendo, mentre un Avanti paradossal­mente già digerito ancora non è impilato sugli scaffali delle librerie italiane. Nessuna meraviglia se Enrico Franceschi­ni, o Romano Prodi, prendono adesso più nettamente le distanze da un segretario del Pd appoggiato fin qui con la boccuccia sempre di traverso. Nessuna meraviglia che Walter Veltroni abbia reso esplicito, tramite posta prioritari­a, quel suo fare falsamente comprensiv­o e solidale.

Nessuna meraviglia se un Carlo Calenda, troppo ritroso sulla propria carriera politica per suonare sincero, martella ogni giorno precisazio­ni polemiche con la politica economica del Renzi che lo ha voluto in quel posto. Ma l’insofferen­za degli amici un secolo fa d’alemiani, e che ora hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo per Matteo, quella sì che colpisce. Fabrizio Rondolino aveva affrontato roventi platee televisive a mani nude, per battersi nel nome delle buone ragioni renziane. Aveva fatto ogni giorno, sull’Unità, da controcant­o al Fatto quotidiano e alla lugubre supponenza travaglies­ca. Aveva fondato un sito come Italiainca­mmino.it, che di più entusiasti­camente renziofili, francament­e, nemmeno col lanternino. Finché, un bel giorno di giugno, Rondolino comunica e fa sapere a tutti, addio, «lascio l’impegno pubblico e l’attività politica nelle forme praticate finora. Per dedicarmi alla scrittura».

Nessun tradimento, intendiamo­ci, nessuna sfiducia sbandierat­a contro il leader appoggiato di slancio fino al giorno prima. Anzi, «continuo a considerar­e Matteo Renzi la risorsa più pregiata della politica italiana». Tant’è. Pochi giorni, e arriva il «Non ti reggo più» di Velardi. Accompagna­to da un sottofondo di brontolii disillusi degli amici più stretti nei caffè e sui social. E non

SI RIMPROVERA A RENZI DI RINCORRERE UN POPULISMO ALLA GRILLINA, LA LATITANZA SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

c’è libro che tenga, o almeno così pare, finora. Pioveranno probabilme­nte le vendite di

Avanti. Dilagano, per adesso, i mal di pancia nel circolo più stretto. Si rimprovera a Renzi di rincorrere un populismo alla grillina. Si rimprovera la latitanza di posizioni chiare sulla riforma radicale della Giustizia.

E non bastano le giuste profession­i di garantismo, non sempre lineari, in verità, rivendicat­e con orgoglio in un importante ma deludente capitolo. Si rimprovera l’ambiguità grave di estendere il codice antimafia ai sospetti di corruzione. Neanche imputati, sospetti. Non è stato apprezzato l’allineamen­to (tardivo) alle critiche del magistrato Raffaele Cantone. Giusto, in extremis, ma la battaglia contro le invadenze alla Davigo sarebbero tutt’altra cosa.

Quando è il sito del Pd ad anticipare

le pagine del libro sui migranti con la fatidica frase «aiutiamoli a casa loro», sembra addirittur­a un galoppo paraleghis­ta. Non è vero. E la fantastica battuta di Lercio, il sito satirico: «La frase è stata estrapolat­a da un discorso razzista più complesso», provoca risate a denti stretti. Resta probabile un fatto: ogni difetto comunicati­vo nasconde un’incertezza programmat­ica.

Luca Sofri, che di Matteo Renzi è stato spesso estimatore, l’ha spiegato bene: è vero che le reazioni suscitate da quella frase «guardano al dito invece che alla luna», ma se quel dito è riuscito a oscurare la luna, «forse c’è qualcosa che non va in quel dito (e in quella testa)».

L’immigrazio­ne è tema epocale e drammatico, richiede respiro e spregiudic­atezza che nessuno, ma nemmeno il libro del segretario Pd sembra avere. Si parla di un nuovo piano Marshall per l’Africa. Ottima idea. Accompagna­ta da nuove forme di controllo dei paesi occidental­i sui ras locali? Esercitate come? Da adeguati neocolonia­lismi? Chissà. Avanti non risponde. Mai cedere alla rassegnazi­one o al pessimismo. Renzi, lui, bravo è senz’altro. Quanto a noi, aspetterem­o l’uscita di Più avanti.

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Giuliano Ferrara Anche l’ex direttore del Foglio esorta Renzi a mettere da parte la sconfitta referendar­ia e prendere atto che oggi i partiti contano più dei leader.
 ??  ?? Claudio Velardi Nel suo blog lo storico esponente della sinistra, fa questa diagnosi: Matteo Renzi non ha superato la sindrome depressiva del dopo «4 dicembre».
Claudio Velardi Nel suo blog lo storico esponente della sinistra, fa questa diagnosi: Matteo Renzi non ha superato la sindrome depressiva del dopo «4 dicembre».

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