Il libro di Renzi. Avanti? No, indietro tutta
Doveva segnare la ripartenza di Matteo Renzi, la summa programmatica e di pensiero dopo l’elaborazione della sconfitta al referendum. Niente di tutto ciò: il libro dell’ex premier è un’occasione perduta. E a «denunciare» il tentativo fallito non sono gufi
D ice che Avanti, il suo libro, non è un’operazione commerciale. Concesso, senza fatica. Dice che non è roba da festa dell’Unità, vale a dire il solito comizione per galvanizzare il popolo piddino. Concesso anche questo, quantunque con sforzo lievemente maggiore. Garantisce che « Avanti è un modo per mettersi a nudo davanti alla propria gente». Ha voluto sottolineare queste tre cose, Matteo Renzi, nella sua e-news di lunedì 10 luglio. E la sua gente le ha prese per buone.
È che poi, vedendolo davvero nudo, non è che si sia levato tutto un oh! di apprezzamento. In pochi se ne sono usciti con l’auspicato: accidenti che fisico rigenerato, il Renzi! Hanno piuttosto, alcuni, notato un di più di pancetta.
Quel lunedì, quando già siti e giornali sono pieni di anticipazioni e di capitoli del libro distribuiti a raggiera dall’editrice Feltrinelli, già si era consumato il piccolo scandalo dell’«aiutiamoli a casa loro» a proposito dei migranti.
Perfino Pier Luigi Bersani, l’uomo più barcollante e sbandato del Paese, ma in piena sintonia con il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, s’era concesso il lusso di bollare come «balzana» e «di destra» l’idea renziana di abbassare le tasse in deficit. E avevano incominciato, i più maligni, a far circolare l’idea che quella premessa così umana, forse troppo, e a cuore così aperto, forse troppo («questa volta nessun resoconto sui numeri dell’Istat, una semplice chiacchierata tra amici»), potesse effettivamente
far pensare più a un modo spregiudicato di promuovere il volume che a un esame di coscienza avviato con gli iscritti. Che pazienza, fin qui.
Il problema più serio era un altro. Era che tutte quelle anticipazioni di stampa, tutti quei paragrafoni dedicati ciascuno a un problema, sembrava non riuscissero a far recedere di un passo la delusione non dei nemici, ma degli amici di Renzi. Anzi, degli amicissimi. Di coloro che lo avevano difeso a spada tratta nel referendum,, prima, e nelle elezioni primarie poi. Di quelli che e avevano sventolato per anni la bandiera dellaa novità renzista. Parevano proprio non farcela, glii ordinati capitoletti di Avanti, a sollevare il morale e e la fiducia dei critici sinceri del segretario.
Di quegli schieratissimi sostenitori, cioè, chee ormai da parecchie settimane non riuscivanoo a nascondere la delusione per quel loro leader insabbiato, impacciato e come incapace di scuotersi per cercare la nuova strada resa obbligatoria dalla solenne tranvata del 4 dicembre.
Era stato Claudio Velardi, dal suo blog, ad aprire le danze per riassumere il disagio di un renzismo ripiegato quasi sulla depressione: sei fermo al 4 dicembre, caro amico mio, se vuoi tornare a parlare all’Italia devi cambiare linguagggio. E per cambiare linguaggio, è la tua testa chee devi cambiare.
Giuliano Ferrara glielo stava ripetendo per laa centesima volta dalle colonne del Foglio: la sconnfitta referendaria, certo, un’enorme occasione e perduta. Ora basta, però. È cambiato il contesto,o, si è ribaltato. Siamo tornati in un mondo dove i partiti contano più dei leader. Si è riaperta l’eraa del proporzionale. Per coincidenti nostalgie daa sinistra e da destra? Vero.
Ma da lì bisognerà ripartire, per un progetto capace di mordere. Non ci sono santi. E non sarà un libro destinato alla vivisezione riga per riga, a farlo. Proprio questo pare stia succedendo, mentre un Avanti paradossalmente già digerito ancora non è impilato sugli scaffali delle librerie italiane. Nessuna meraviglia se Enrico Franceschini, o Romano Prodi, prendono adesso più nettamente le distanze da un segretario del Pd appoggiato fin qui con la boccuccia sempre di traverso. Nessuna meraviglia che Walter Veltroni abbia reso esplicito, tramite posta prioritaria, quel suo fare falsamente comprensivo e solidale.
Nessuna meraviglia se un Carlo Calenda, troppo ritroso sulla propria carriera politica per suonare sincero, martella ogni giorno precisazioni polemiche con la politica economica del Renzi che lo ha voluto in quel posto. Ma l’insofferenza degli amici un secolo fa d’alemiani, e che ora hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo per Matteo, quella sì che colpisce. Fabrizio Rondolino aveva affrontato roventi platee televisive a mani nude, per battersi nel nome delle buone ragioni renziane. Aveva fatto ogni giorno, sull’Unità, da controcanto al Fatto quotidiano e alla lugubre supponenza travagliesca. Aveva fondato un sito come Italiaincammino.it, che di più entusiasticamente renziofili, francamente, nemmeno col lanternino. Finché, un bel giorno di giugno, Rondolino comunica e fa sapere a tutti, addio, «lascio l’impegno pubblico e l’attività politica nelle forme praticate finora. Per dedicarmi alla scrittura».
Nessun tradimento, intendiamoci, nessuna sfiducia sbandierata contro il leader appoggiato di slancio fino al giorno prima. Anzi, «continuo a considerare Matteo Renzi la risorsa più pregiata della politica italiana». Tant’è. Pochi giorni, e arriva il «Non ti reggo più» di Velardi. Accompagnato da un sottofondo di brontolii disillusi degli amici più stretti nei caffè e sui social. E non
SI RIMPROVERA A RENZI DI RINCORRERE UN POPULISMO ALLA GRILLINA, LA LATITANZA SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
c’è libro che tenga, o almeno così pare, finora. Pioveranno probabilmente le vendite di
Avanti. Dilagano, per adesso, i mal di pancia nel circolo più stretto. Si rimprovera a Renzi di rincorrere un populismo alla grillina. Si rimprovera la latitanza di posizioni chiare sulla riforma radicale della Giustizia.
E non bastano le giuste professioni di garantismo, non sempre lineari, in verità, rivendicate con orgoglio in un importante ma deludente capitolo. Si rimprovera l’ambiguità grave di estendere il codice antimafia ai sospetti di corruzione. Neanche imputati, sospetti. Non è stato apprezzato l’allineamento (tardivo) alle critiche del magistrato Raffaele Cantone. Giusto, in extremis, ma la battaglia contro le invadenze alla Davigo sarebbero tutt’altra cosa.
Quando è il sito del Pd ad anticipare
le pagine del libro sui migranti con la fatidica frase «aiutiamoli a casa loro», sembra addirittura un galoppo paraleghista. Non è vero. E la fantastica battuta di Lercio, il sito satirico: «La frase è stata estrapolata da un discorso razzista più complesso», provoca risate a denti stretti. Resta probabile un fatto: ogni difetto comunicativo nasconde un’incertezza programmatica.
Luca Sofri, che di Matteo Renzi è stato spesso estimatore, l’ha spiegato bene: è vero che le reazioni suscitate da quella frase «guardano al dito invece che alla luna», ma se quel dito è riuscito a oscurare la luna, «forse c’è qualcosa che non va in quel dito (e in quella testa)».
L’immigrazione è tema epocale e drammatico, richiede respiro e spregiudicatezza che nessuno, ma nemmeno il libro del segretario Pd sembra avere. Si parla di un nuovo piano Marshall per l’Africa. Ottima idea. Accompagnata da nuove forme di controllo dei paesi occidentali sui ras locali? Esercitate come? Da adeguati neocolonialismi? Chissà. Avanti non risponde. Mai cedere alla rassegnazione o al pessimismo. Renzi, lui, bravo è senz’altro. Quanto a noi, aspetteremo l’uscita di Più avanti.