Voglio una vita in carta stampata
Adesso tocca al diario-manifesto di Renzi. Ma ogni esponente del Palazzo che si rispetti è autore di saggi, biografie, romanzi. Con alterne fortune di vendita.
Dal parlamento al comodino. È più autentico Paolo Gentiloni, che i libri «non ha più tempo di leggerli», o Matteo Renzi che non smette di scriverli? La politica è finita. Ma sullo scaffale. Per vendicarsi delle «ventisei coltellate», l’ex sindaco, Ignazio Marino, ha scritto Un marziano a Roma (Feltrinelli). Per candidarsi alle primarie del Pd, Michele Emiliano ha sudato perché Chi non lotta ha già perso (Rizzoli). In fuga dall’Italia, e da Renzi, Enrico Letta ha raccolto pensieri Contro venti e maree (Laterza). E ancora. Da «Professore», Romano Prodi ha studiato Il piano inclinato (Il Mulino), ma da esperto di coalizioni, durante la presentazione del suo libro, si è offerto d’«incollare» Renzi e Giuliano Pisapia: «Posso fare il Vinavil».
Ebbene, come si vede, nessuno di questi libri è scritto per essere letto ma tutti servono per liberarsi dai propri mostri. E non sono solo saggi, memorie e diari. Da anni il nostro ministro della Cultura, Dario Franceschini, si esibisce nel romanzo che come scriveva il filosofo JeanPaul Sartre è il «docile e spaventoso feticcio». «E a me arrivano ancora i racconti di Walter Veltroni a cui va riconosciuto il primato di uomo politico prestato alla scrittura» dice Giulio Ferroni, docente emerito alla Sapienza di Roma ed «Erodoto» della nostra letteratura italiana, che da anni auspica la necessità di un’ecologia del libro, insomma la decrescita felicissima.
Logorati dalla televisione, scacciati dalle piazze e maltrattati dalle urne, i parlamentari si sono rifugiati in tipografia. E poi c’è la Noia. Per scongiurare il pericoloso male, l’ex segretario dell’Udc, Marco Follini, ha riflettuto appunto su Noia, politica e noia della politica. Lo ha pubblicato la nobile Sellerio e contiene il più severo tra i moniti. È del poeta Paul Valery: «Siamo tutti condannati a diventare noiosi!». «E però, la vera domanda è sapere chi glieli
scriva dato che pure il Memoriale di Napoleone, si racconta, non sia di Napoleone» si chiede ancora Ferroni che da settimane viene allagato dalla newsletter di Renzi, uno che di volumi ne ha già scritti nove se si esclude l’ultimo, Avanti, uscito giusto il 12 luglio ( vedi articolo a pag. 52). Annunciato dopo le dimissioni da Palazzo Chigi, si dice sia stato scritto e riscritto da Renzi, che, insoddisfatto come il Manzoni, ne ha cambiato il finale. Non solo. Per condividere le sue fatiche, il segretario del Pd, il 5 luglio, ha pure postato sul suo profilo Twitter la foto dei caffè che è stato costretto a bere: «Notte di rilettura, come ai tempi dell’università. 238 pagine e sei caffè dopo, ci siamo». Di sicuro dobbiamo dire grazie a un altro libro, Di Padre in figlio, (Paper First), scritto dal giornalista de Il Fatto Quotidiano Marco Lillo, per averci svelato non tanto i pasticci da babbo di Tiziano Renzi quanto i tormenti del figlio Matteo che al telefono dice: «Papà, non ti credo». Ed è bastata, ancora, una pagina del libro Poteri forti (o quasi) (La Nave di Teseo), dell’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, ad appannare irrimediabilmente la luce dell’ex ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che, nel 2015, scrive De Bortoli, «non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, e chiese di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria…».
Seppelliti dalla carta? «A volte un libro può favorire una crisi di governo. Ricordo che cheAm Ammazziamo il Gattopardo, del giornalista Alan Fr Friedman, non dico che causò la fine del governogovern Monti ma di certo la accelerò» spiega Alessia Dimitri che a Rizzoli si è occupata di classici e che oggi lavora con gli effimeri «perché è chiarochiar che il libro di un politico segue la sua parabola».parabo E però non solo li cercate, ma li pubblicateblicat e forse glieli scrivete pure… «In alcuni casi però vendono e anche bene» risponde la Dimitri.D Il libro di Alessandro Di Battista, A testa in su, (Rizzoli) ha venduto 16 mila c copie. La prosa è spericolata al punto che il Foglio ogni mattina ne riproduce un frammento. Ci limitiamo a proporre alcune schegge notevoli: «Per quasi due anni viaggiai in autostop per l’America Latina alla ricerca di spremute di umanità»; «Conoscere il turpiloquio è fondamentale quando si viaggia. Infilare qualche trivialità autoctona nei tuoi discorsi riduce persino le possibilità di essere derubato». Secondo una ricerca di Gfk, lo scorso anno i libri dei politici che hanno più venduto sono quelli di Matteo Salvini, Secondo Matteo (20 mila copie), Di Battista (16 mila), Marino (9 mila copie). «Ma la verità è che per due che decidiamo di pubblicare ben 8 li rifiutiamo» aggiunge Alessia Dimitri che si è occupata della biografia di Emiliano, il Mangiafuoco del Pd, che, leggete un po’, da magistrato arrivò ad Agrigento così: «Scesi dalla motocicletta davanti alla procura, in un’atmosfera che mi sembrò Mezzogiorno di fuoco». Più che biografia sembra epica. Eppure non solo si fa leggere ma diverte e funziona più della caricatura che di Emiliano ne ha fatto Maurizio Crozza.
«E tutti sono forme esibizionistiche di sé. Il problema è che i libri degli onorevoli di destra si possono stroncare mentre quelli di sinistra si devono recensire» riflette Ferroni che parla quasi di morbo della prosa, la librocrazia per contagio. La verità è che resta ancora la carta il più vasto ricovero di peones e reduci, rimane la quarta (di copertina) la tenda dell’onorevole.
E dunque per catarsi ha scritto Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, i suoi Pensieri di un ottuagenario (Sellerio), un tortuoso itinerario inverso: da Marx a Nietzsche. Più utile di un’auto blu, più prestigioso di un’onorificenza, più necessario di un vitalizio, solo il libro ha rimpicciolito i politici (in tascabili), solo i libri possono permettervi di mandarli... (in archivio).
Attenzione, però. Non provate mai a bruciarli come han tentato di fare i centri sociali di Bologna con quello di Salvini. Non lo potevano sapere ma è l’ambizione di ogni scrittore (e politico). Racconta Bertolt Brecht che quando il regime ordinò un rogo di libri, un poeta si accorse, sgomento, che dall’elenco mancava il suo. Fu così che «corse al suo scrittoio, alato d’ira, e scrisse ai potenti una lettera. Bruciatemi!, scrisse di volo, bruciatemi! Questo torto non fermatelo! Non lasciatemi fuori! Che forse la verità non l’ho sempre, nei libri miei, dichiarata?».