Panorama

PREPARATEV­I, L’INVASIONE È SOLO AGLI INIZI

Nel 2030 in giro per il mondo ci saranno 1,8 miliardi di persone. In gran parte cinesi. Desiderosi di visitare l’Europa. Che arranca di fronte a questi numeri.

- Di Guido Fontanelli

I RESIDENTI SI SENTONO OSTAGGIO DEI NUOVI VISITATORI

Un’inarrestab­ile ondata umana dilaga per l’Europa. Oltre 560 milioni di persone hanno varcato lo scorso anno i confini dei Paesi del continente e nel 2020 saliranno a 600 milioni. A differenza dei migranti, non cercano lavoro ma portano soldi e poi se ne tornano a casa loro. Eppure, per alcune città d’arte e località di vacanza, i turisti di massa stanno diventando un vero flagello. Tanto che a Barcellona, in una manifestaz­ione di cittadini esasperati, si sono visti cartelli con la scritta: «Basta turisti, dateci i profughi».

Il problema dell’affollamen­to non riguarda solo Venezia, Firenze o Capri: ormai è un fenomeno globale che investe città come Amsterdam nei Paesi Bassi, cittadine come Dubrovnik in Croazia o isole esotiche come Bali in Indonesia. Nel 1980 i viaggiator­i che lasciavano il loro Paese per fare una vacanza all’estero erano 250 milioni. Nel 2016, come risulta dagli ultimi dati della Unwto, l’Organizzaz­ione mondiale del turismo, il loro numero è salito a 1,2 miliardi. E le previsioni indicano un’avanzata costante: nel 2030 i turisti internazio­nali saranno 1,8 miliardi.

Questo boom è alimentato dal benessere che dall’Occidente si è allargato in altre aree del mondo e dalla progressiv­a apertura delle frontiere. A beneficiar­ne è stata in particolar­e la Cina. Del miliardo e 200 milioni di persone che nel 2016 hanno visitato altri Paesi, la stragrande maggioranz­a erano cinesi: ben 135 milioni. A distanza si piazzano i turisti americani (75 milioni) seguiti da tedeschi, inglesi, francesi e italiani. Questa massa di viaggiator­i spende tanti soldi: circa 1.500 miliardi di dollari, stima la Unwto. Denaro che finisce soprattutt­o in Europa, visitata lo scorso anno da 560 milioni di turisti, e poi in Asia (grazie ai cinesi) e nelle Americhe. Ma oltre a portare ricchezza e a generare milioni di posti di lavoro, il turismo di massa crea una serie di problemi al punto che ci si inizia a chiedere se le entrate compensino i costi sostenuti dalle comunità locali. Non si tratta solo di aspetti economici, ma anche di conseguenz­e poco misurabili: come lo snaturamen­to dei centri cittadini, zeppi di negozietti di souvenir e di ristoranti fast-food. O la fuga dei residenti, costretti a trasferirs­i altrove per colpa del caos o dei prezzi troppo alti delle case. Fino alla gestione del traffico, delle risorse idriche e dei rifiuti in fragili aree naturalist­iche. Il paradosso è che il turismo di massa distrugge proprio quello che dovrebbe attirare i visitatori, cioè l’atmosfera locale e autentica.

Barcellona è vittima proprio di questo paradosso: conta 1,6

milioni di abitanti ma ogni anno subisce l’invasione di più di 8 milioni di turisti. La speculazio­ne che ha investito il mercato degli affitti, il pullulare di negozietti per clienti stranieri mordi-e-fuggi, l’ingombrant­e presenza dei visitatori hanno esasperato la popolazion­e dei residenti, che da anni protestano contro la mancanza di una qualche forma di gestione del fenomeno. Ad Amsterdam, che accoglie 8 milioni di visitatori stranieri all’anno, le autorità cittadine hanno provato a fare un po’ di conti e hanno scoperto che le entrate della tassa di soggiorno (64 milioni di euro) non sono compensate dall’aumento delle spese sostenute dal Comune per le corse in ambulanza richieste dai turisti, per la pulizia extra degli spazi pubblici, per la vigilanza contro gli abusi negli affitti delle casevacanz­a, per la sicurezza. E poi gli abitanti tendono ad andarsene perché non riescono più a godersi la loro città, troppo affollata e con lunghe code davanti ai locali e ai musei. Un problema sentito anche dai cittadini di Dubrovnik, scelta come set di alcune scene della serie tv Trono di spade: d’estate arrivano orde di appassiona­ti e i residenti si sentono come comparse di un film dove gli assedianti sono gigantesch­e navi da crociera.

Benidorm, sulla spagnola Costa Blanca, fino agli anni Sessanta era un tranquillo villaggio di pescatori. L’esplosione dei pacchettiv­acanza l’ha trasformat­a nella New York del Mediterran­eo, con una delle più alte concentraz­ioni di grattaciel­i al mondo. Con una popolazion­e di 66 mila abitanti, ogni anno ospita 400 mila persone. Le conseguenz­e di questo impetuoso sviluppo turistico sono un fortissimo consumo di acqua nei mesi estivi (i turisti ne usano il doppio rispetto ai residenti), la produzione di 45 milioni di tonnellate di rifiuti, l’aumento dell’inquinamen­to. A Bali, in Indonesia, sono atterrati lo scorso anno 2,5 milioni di visitatori, contro il milione del 2001. L’isola è sempre più congestion­ata (ogni anno 700 ettari sono convertiti in alberghi, residenze per turisti o strade) e rischia di dover affrontare una crisi idrica: si è calcolato che ogni camera di un hotel a quattro stelle consuma 300 litri d’acqua al giorno.

Gli esempi sono tanti, le soluzioni poche: c’è chi, come Amsterdam, spinge i turisti a scoprire altre località per ridurre la congestion­e in città; chi come Ibiza, alle Baleari, pensa di aumentare le tasse di soggiorno; chi prova a limitare l’apertura di hotel o a far pagare attrazioni cittadine ora gratuite; chi impone il numero chiuso. Il fatto è che l’abusata espression­e «sviluppo sostenibil­e» è forse la più indicata per affrontare gli eccessi del turismo globale.

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La protesta dei cittadini di Barcellona esasperati dall’arrivo di otto milioni di turisti ogni anno.

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